Palazzo Braschi. Roma nella camera oscura

Articolo di: 
Nica Fiori
Pompeo Molins, Rovine dell'Acquedotto Claudio, 1868 ca.

La fotografia acquista un po’ della dignità che le manca quando cessa di essere una riproduzione della realtà e ci mostra cose che non esistono più. Questa frase di Marcel Proust (da All’ombra delle fanciulle in fiore, 1919), che leggiamo a Palazzo Braschi nell’ambito dell’esposizione “Roma nella camera oscura. In mostra al Museo di Roma le fotografie della città dall’Ottocento ad oggi”, rende in parte quel senso di curiosità, o di nostalgia, per qualcosa che non c’è più, che proviamo davanti alle immagini di Roma immortalate dai primi fotografi ottocenteschi.

La mostra, a cura di Flavia Pesci e Simonetta Tozzi, vuole celebrare i 180 anni della nascita ufficiale della fotografia, e nella prima sala accoglie le prime sperimentazioni (dagherrotipo, carta salata, albumina), realizzate dai pionieri della nuova arte quali Giacomo Caneva, Frédéric Flachéron, Eugène Constant, Robert MacPherson e altri. Sono immagini che ci appaiono ovviamente ancora più lontane nel tempo di quanto potessero esserlo per Proust, se le avesse viste. Ed è forse per quella patina giallastra o perché esprimono il vissuto storico di una città che è sì “eterna”, ma sicuramente peggiorata e involgarita negli ultimi anni, che ci sembrano particolarmente attraenti. E dobbiamo ringraziare per questo sia i fotografi che le hanno realizzate, sia il museo che le ha custodite.

La fotografia è indubbiamente un’invenzione straordinaria, uno strumento di comunicazione universale che consente di fissare un luogo, un volto, un evento in un secondo. Se proviamo a immaginare per un attimo come sarebbe la nostra vita senza la fotografia, ci rendiamo conto di come molti ricordi cadrebbero inesorabilmente nell’oblio. Tutti noi, grazie agli attuali smartphone, ci sentiamo oggi un po’ fotografi, senza avere quelle conoscenze tecniche e quelle doti di osservazione che permettono invece ai grandi maestri dell’immagine di provocare con i loro scatti forti emozioni o di esprimere mirabilmente l’anima di una città. Attraverso 320 immagini, conservate nelle raccolte del Museo di Roma, questa mostra romana ci conduce alla scoperta della storia fotografica della capitale.

Non possiamo non notare come i primi fotografi hanno ripreso pari pari quelle visioni della Roma antica che erano tipiche dei pittori vedutisti, con una luminosità morbida che fa pensare a volte di avere a che fare con dipinti o stampe, più che con fotografie. I paesaggi prediletti dai viaggiatori del Grand Tour erano i fori, i templi, le chiese, le piazze, i Musei Capitolini e la Campagna romana: tutte cose che ritroviamo nelle fotografie ottocentesche e che riconosciamo, ma notiamo anche le differenze rispetto ai nostri giorni, e in certe immagini percepiamo anche il silenzio, che oggi è un’utopia. “Documentare l’antico. Percorsi tra le rovine” è una sezione che mostra la passione di alcuni archeologi per la fotografia e l’intento di documentare con essa i singoli dettagli architettonici della romanità.

Ricordiamo in particolare John Henry Parker, che commissionò a fotografi professionisti 3300 fotografie della Roma antica e monumentale, di cui 800 esemplari sono conservati nell’Archivio Fotografico del Museo di Roma. Utilizzandole come corredo iconografico per i suoi tredici volumi di archeologia romana (editi tra il 1874 e il 1883), sancì di fatto la validità della nuova tecnica, che avrebbe a poco a poco sostituito nei libri le stampe. Alcune immagini fotografiche ci colpiscono per il desiderio di cogliere la luce nelle diverse ore del giorno. Il Chiaro di luna al Foro Romano, del 1866, eseguito da Gioacchino Altobelli con stampa all’albumina, è uno dei primi effetti notturni nella storia della fotografia, realizzato con una tecnica da lui brevettata che consisteva nella sovrapposizione in fase di stampa di due diversi negativi di foto scattate di giorno. Il risultato è quello di una visione romantica, dovuta alla sua formazione iniziale di pittore.

A Piazza San Pietro è dedicata la sezione “Centro della cristianità” e all’acqua quella intitolata “Vie d’acqua. La presenza del fiume e le fontane monumentali” con diverse immagini che evidenziano la vita sul Tevere, con i mulini, le lavandaie e i barcaroli. L’abbondanza di acqua è sempre stata una peculiarità di Roma, a partire dagli acquedotti romani che, ripristinati nel Rinascimento, hanno consentito la realizzazione di fontane, mostre d’acqua, ninfei e fontane minori che ornano soprattutto le piazze e le ville storiche. La sezione successiva, intitolata “Un eterno giardino. Roma tra città e campagna”, permette di vedere e rivivere l’atmosfera di una Roma ormai scomparsa. Anche se sopravvivono alcune grandi ville come la Borghese, la Doria Pamphilj, la Celimontana, la Medici, la Torlonia, grande è il rimpianto per la distruzione di quelle aree verdi che, prima delle lottizzazioni otto-novecentesche, erano disposte a corona intorno all’abitato, penetrando entro le mura e facendo della città un immenso giardino.

Un esempio della stretta convivenza a Roma tra città e campagna era il cosiddetto Tempio di Minerva Medica, uno dei monumenti più rappresentati nelle vedute sette-ottocentesche, prima degli sconvolgimenti moderni che hanno riguardato la zona dell’Esquilino. Una foto di Gioacchino Altobelli e Pompeo Molins mostra il cosiddetto “tempio” (in realtà una sala a cupola di una lussuosa villa di età costantiniana) in un paesaggio idillico con contadini al lavoro negli orti adiacenti, mentre oggi il monumento è a ridosso dei binari della stazione Termini, che oltretutto ne danneggiano la statica. Altrettanto significativo è il confronto tra la foto della Piramide Cestia con Porta San Paolo, di Carlo Baldassarre Simelli, e la situazione attuale con automobili, tram e bus in continuo transito. Più conservata è invece l’atmosfera di campagna presso l’Acquedotto Claudio, fotografato nel 1869 ca. da Pompeo Molins, perché inserito all’interno del Parco dei Sette Acquedotti.

La nuova capitale: dai piani regolatori di fine Ottocento alla città moderna” è la sezione che documenta le nuove architetture con fotografi come Nello Ciampi (anni Quaranta e Cinquanta del ‘900) e Oscar Savio che documentò l’edilizia cittadina fino agli anni Settanta. La vita sociale è pure presente in mostra, sia con immagini di eventi ufficiali sia con scatti di ambientazione popolare, come quelli relativi a mercati e feste. Vi sono anche alcuni scatti di performance di artisti, come quella di Keith Haring (il celebre pittore esponente della Street Art statunitense, morto nel 1990) tenuta nel Palazzo delle Esposizioni l’11 settembre 1984, fotografata da Stefano Fontebasso De Martino.

Tra i nomi più celebri di fotografi non poteva mancare Berengo Gardin, la cui scelta è stata quella di essere fotografo di documentazione, sempre in prima linea, dagli anni ’50 fino ad oggi, per raccontare il mondo del lavoro e la società. Altri nomi sono quelli di Gabriele Basilico, Luigi Ghirri, Mario Cresci, Roberto Koch. La sezione “Attraverso lo specchio” è dedicata ai negativi su lastra di vetro e propone una serie di lastre ottocentesche illuminate da dietro, tra cui quella di un anonimo fotografo raffigurante Piazza San Pietro con benedizione papale, mentre nell’ultima sala possiamo ammirare dei video, che fanno rivivere la vita culturale della città attraverso le voci di alcuni suoi protagonisti, quali Pasolini, De Chirico, Schifano.

Pubblicato in: 
GN20 Anno XI 8 aprile 2019
Scheda
Titolo completo: 

Roma nella camera oscura
In mostra al Museo di Roma le fotografie della città dall’Ottocento ad oggi
Museo di Roma-Palazzo Braschi
Piazza Navona, 2 ; Piazza San Pantaleo, 12. 00186 Roma
27 marzo-22 settembre 2019

Orario: da martedì a domenica, 9-19 (la biglietteria chiude alle18)
Biglietto “solo mostra” € 7, ridotto € 5
Biglietto “integrato” Museo di Roma + mostra: per i residenti € 12 , ridotto €8; per i non residenti € 13, ridotto € 9. Ingresso gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente