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Poliziano di Edgar Allan Poe al Globe Theatre. L'incompiutezza dell'assassinio
L’unica unfinished tragedy che Edgar Allan Poe ha composto tra 1835 e 1836 (le prime cinque scene), e delle cui restanti sei (1843 circa) non approvò mai la pubblicazione, è Poliziano. La versione che è andata in scena al Globe Theatre di Roma dal 23 al 27 giugno 2009 è stata curata, anche per la regia e l’impianto scenico, da Riccardo Reim, uno dei grandi curatori e traduttori di Poe.
Lo spunto lo diede a Poe la Kentucky Tragedy in cui Anne Cook, messa incinta da un politico di dubbia moralità, Salomon P. Sharp, l’abbandona. La vendicherà Jeroboam O. Beauchamp che verrà poi impiccato il 7 luglio 1826.
Le musiche originali di Massimo Bizzarri accolgono con un impianto desueto ed antico una tragedia che si svolge tra petali riversi sul palcoscenico e personaggi ricoperti di abiti semplici, scuri, lembi stracciati che ricoprono donne alla deriva - ognuna a suo modo - come Lalage (Elisabetta Ventura) e Giacinta (Silvana De Santis), ed uomini che non fanno che declamare la loro sconfitta.
Alcool, droghe probabilmente, caratteri traballanti in oscillanti parole di poesia che si trastullano con l’afasia, le scelte non vidimate di una vita si trascinano come mangiatori d’oppio alla De Quincey, oscuri portali della dissoluzione. Vino, donne perdute, duelli a cui si sottraggono, il Fabio Mascagni che impersona Castiglione, finti romani, il Poliziano di Marco Belocchi, troppo muscoloso per un personaggio di Poe, i due servi volgari e dissennati Ugo e San Ozzo.
Lalage è un nome sintomatico: deriva dal greco λαλαγέω (lalageo) che significa “ciarlare, chiacchierare a vanvera” ciò che la determinerà durante tutto il tempo, sebbene con tragica disperazione. È’ un personaggio incompleto, non come la Madeleine di La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher che, sebbene appaia soltanto in due scene, ha una parte imprenscindibile per lo svolgimento del racconto). Tanto più lontana dalla Ligeia dell’omonimo racconto, una revenenat dall'incrollabile potenza di volontà, che prende il posto della nuova moglie del narratore.
Nomen omen, Lalage è destinata a non essere ascoltata, sebbene l’ode di Orazio dalla quale è ripresa (e poi Carducci) la confezioni come “colei che parla e sorride dolcemente” (Carm.1,22,10 e 23). Una mellifluità nella voce di Elisabetta Ventura che rincara la dose di sicurezza, per cui ci aspettiamo che non trascorra la notte invano. Che sia un’eroina votata alla morte dall’inizio, e come Ofelia si addormenti fra quei petali disseminati sul palco di un nudo bosco ove incontrerà il già perduto Poliziano.
Il Poliziano di Marco Belocchi, che giunge dopo le lamentose incongruenze di Castiglione (Fabio Mascagni), un personaggio insipido che mira solo a matrimoni d’interesse, è una specie di frate oscuro che tenta di salvare la giovane Lalage senza però riuscirvi, e pregiudicando sé stesso. L’incompiutezza del suo gesto – non ucciderà Castiglione sebbene l’abbia promesso a Lalage per serbarne l’onore – lo riconferma. Non un “young and noble roman” come si leggeva nell’annotazione cancellata di e da Poe, piuttosto un nobile irrimediabilmente sconfitto dai suoi stessi tremori, indecisioni, pietà malsane (per Castiglione che non vuole combattere e che così potrà salvarsi). Di certo lontano da quei narratori inconsapevolmente assassini di Il cuore rivelatore , La caduta della casa degli Usher , Berenice e molti altri ancora.