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Pompei e Santorini. L'arte, memento igneo
Due eruzioni, a distanza di millenni, un'unica mostra: i resti di due città colpite dal fuoco dei vulcani Vesuvio a Pompei e Thera ad Akrotiri, l'antica città di Santorini, chiamata così in onore a Sant'Irene, ci spiega Mario Tozzi nel suo libriccino così raffinatamente curato; i due siti archeologici del Mediterraneo sono straordinariamente legati da un destino comune che, sebbene infausto, soprattutto per Pompei, dove ha mietuto migliaia di vittime, ha mantenuto quasi del tutto intatto il memento storico-artistico nascosto tra le ceneri. La mostra, che dall'11 ottobre fino al 6 gennaio 2020, viene ospitata alle Scuderie del Quirinale, ed accoglie fra queste due città una visione contemporanea di quanto avvenuto con opere da Warhol a Damien Hirst.
A cura di Massimo Osanna, Direttore del Parco Archeologico di Pompei e di Demetrios Athanasoulis, Direttore dell'Eforia delle Antichità delle Cicladi, con Luigi Gallo e Luana Toniolo, l’esposizione getta un ponte tra le vissitudini due dei siti archeologici piu' celebri della classicità: Pompei, investita dalla furia del Vesuvio nel 79 d. C. e Akrotiri, fiorente capitale dell’isola di Thera, oggi conosciuta come Santorini, sepolta da un’eruzione nel 1613 a. C.
Camminare in mezzo a due eredità culturali come quella greca e quella latina mette i brividi, e ci rendiamo ancora piu' conto di queste emozioni avviluppanti quando guardiamo le sagome (copie di calchi) dei corpi di uomini e animali vissuti a Pompei e rinvenuti negli ultimi atti della loro vita, che fossero gesti d'amore per i propri figli, amanti, oppure gli uffici sacri, come può ricordare agevolmente il Larario con altarino e nicchia esposto al lato dello stupefacente trompe l'oeil del Ninfeo, meraviglioso esempio di quanto il concetto del rifugio paradisium era già in voga presso i pompeiani. Le gemme, i ciondoli, i forzieri tratti da Pompei insieme alla splendida arte scultorea, tra ermafroditi, satiri, erme bifronti con sileni e dedicate a Bacco, ci conducono fra efebi bronzei e scaldavivande con decorazioni applicate, Osserviamo poi da voyeur, la finestra aperta nel giardino pompeiano che dà sul dipinto di Warhol, Vesuvius, peraltro conservato nel Museo di Capodimonte a Napoli. I due schermi che ci accerchiano subito dopo trascinano tra l'incessante rumoreggiare fino di quegli elementi naturali di cui non possediamo la forza eppure cerchiamo di maneggiare, come nel Cretto di Burri, oppure nella Vanitas di Op de Beck, memento mori imprescindibile delle camminate tra i vulcani, come l'impressionante Black Widow di Jan Van Oost: sembra che i “fiamminghi” contemporanei intaglino quell'inveterato e corretto timore per un passaggio temporale in un aldilà dove ci aspetta il Black Monochrome delle mosche di Damien Hirst quanto la grigia polvere dell'ardesia di de Beck.
Solo il figurativo consola da questa devastante mestizia, irrorando città ideali, resti storici di neoclassicità e misticismo, come ne La città sommersa del russo fin de siècle Andrej Jakovlevič Beloborodov (1886-1965), così carezzandoci come faceva De Chirico con le sue muse, seppur inquietanti, sullo sfondo di agglomerati urbani dai mille occhi e labirinti. Anche gli spruzzi di colore di Turner ne L'eruzione delle Souffrier Mountains nell'isola di Saint Vincent, ci irrora di colori forti, magmatici, e con lui Guttuso con l'Eruzione dell'Etna e Valenciennes, la grandiosa copertina del curatissimo catalogo ARTEM, dal titolo propedeutico alla nostra mostra, l'Eruzione del Vesuvio del 24 agosto dell'anno 79 a.C. sotto il regno di Tito, e siamo tornati all'inizio, di un complesso ciclo aperto da una finestra all'interno della terra.