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Predatori dell'Arte perduta. Il Nostos rapito nella sua dimora
Il libro di Fabio Isman, uscito di recente per Skira, I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia recita così: “Escluso il prete, ma neppure per lui metterei la mano sul fuoco, a Capodimonte scavano tutti. Dal 1975, se cercavi qualcuno andavi in necropoli, non in piazza”. In questa testimonianza di un “tombarolo” di medio calibro può essere condensata la vastità del saccheggio e commercio di beni culturali cui il nostro paese è stato, ed in parte continua ad essere esposto.
È questa Grande Razzia, secondo la formula giornalistica proposta da Isman, il tema di un libro il cui merito maggiore consiste nell’opera di sensibilizzazione che, attraverso il rendiconto dello scempio perpetrato ai danni del patrimonio culturale italiano, sarà capace di esercitare nei confronti dell’opinione pubblica.
Un rendiconto articolato attraverso le storie di alcuni suoi protagonisti, dal piccolo tombarolo al grande trafficante, all’esplorazione di un mondo tanto vicino, nella realtà dello scavatore occasionale e “appassionato”, quanto lontana in quella dei grandi musei internazionali. Ma entrambe unite nel senso di illegalità diffusa, frutto di un profondo deficit culturale e, spesso, di una impunità di fatto. Un saccheggio alimentato dalla ricerca di un facile guadagno, dalla malintesa concezione di un bene (quello archeologico) che essendo del proprio territorio potesse divenire di proprietà personale; dalla avida esigenza di rimpinguare collezioni private o museali; dal tradimento consumato da curatori e studiosi di antichità.
Vi si incontreranno figure bizzarre, rozzi “clandestini”, con disarmanti intrecci di ignoranza e supponenza, e sofisticati frequentatori del jet-set, poveri cristi alla ricerca di come sbarcare il lunario e miliardari disposti a spendere grandi cifre per arredare le proprie lussuose abitazioni. Tutti responsabili di aver dilaniato la storia iscritta nella terra di Cerveteri, Vulci, Sant’Agata dei Goti, Boscoreale, Ascoli Satriano, Morgantina e infiniti altri siti ancora; di aver dilaniato necropoli, ville, santuari ricorrendo all’invadenza indagatrice di “spidi” e metal detector, alla brutalità di picconi e ruspe; colpevoli se non della perdita del singolo reperto, di tutta la serie di informazioni intessute nella sua rete di relazioni.
Chi ha visitato la mostra Nostoi (Ritorni), tenutasi al Quirinale, ritroverà oggetti divenuti simbolo dell’attività di rapina, ma anche segno, nella loro restituzione ottenuta dallo Stato italiano, di un parziale, troppo parziale, riscatto: il volto d’avorio da Anguillara Sabazia (nella foto), il cratere e la kylix di Eufronio da Cerveteri, il trapezophoros e la lekanis da Ascoli Satriano. E poi la Triade capitolina, e ancora da restituire, la Venere di Morgantina e l’Atleta di Fano.
In questo viaggio di splendori e miserie ci introduce il libro di Fabio Isman, con uno stile talvolta farraginoso, iperboli superate dalla pura realtà dei fatti e qualche refuso di stampa di troppo, ma con il pregio di un messaggio di alto valore civico cui può incontrarsi un certo gusto del grande pubblico per l’avventura e l’intrigo.