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Presagi. Opere di Bruno Pedrosa al Lu.C.C.A.
Cominciamo dalla conclusione, stavolta: il brasiliano Bruno Pedrosa, come asserito da lui medesimo, vive per l’arte e con l’arte. Tutta la sua vita è un riflesso dei suoi trascorsi artistici, e viceversa: raramente ho visto una sintesi così completa e al tempo stesso semplice dell’essere artisti come in quest’uomo. Ovvio quindi che le sue opere, una felice selezione delle quali è esposta al Lu.C.C.A. fino al 18 Marzo 2012, siano la documentazione della vita di un artista.
Possiamo dibattere all’infinito sulla natura della pratica artistica, sulla sua espressione e il suo manifestarsi: fatto sta che l’ispirazione (dal latino spiritus, come già fatto notare altrove su questa testata) fluisce in ognuno secondo modalità uniche, estrinsecandosi all’esterno nella produzione artistica “materiale”, che altro non è che la coagulazione del principio che l’aveva mossa in primo luogo. Una sorta di creazione in senso metafisico.
Ma questa condensazione di un principio inspirato (come un vento che porta con sé voci di paesi lontani) deve per forza materializzarsi attraverso la sensibilità di un uomo, e in questo passaggio dall’universale al particolare si rivela la cifra artistica dell’individuo, e il suo momento storico attuale. Quanto egli riesce a lasciarsi andare allo spiritus, e a condensarlo nel suo proprio linguaggio.
Non confondiamo questa dinamica con una sorta di possessione! La parola giusta, nel caso di cui ci occupiamo oggi, è il titolo stesso della mostra, “presagi”. Come fa notare il curatore Maurizio Vanni nell’introduzione al catalogo, “[il presagio] può essere capito solamente da determinate persone che conoscono il codice per interpretare specifici segnali. Bruno Pedrosa è uno di quegli artisti che possiamo definire predestinati.”
Predestinato perché riesce come pochi altri a lasciarsi cavalcare da un impeto creativo molto puro, che lo ha portato, nel corso dei decenni, a misurarsi con una miriade di tecniche e stili differenti; esemplare è il suo peregrinare dal figurativo all’informale, o la sua “scoperta” della lavorazione del vetro.
Oppure, rovesciando la questione, Pedrosa (classe 1950) è un uomo che ha abbandonato da bambino la tradizione familiare diventando “il primo artista della famiglia degli ultimi 400 anni”. E questo è un altro segno, o presagio, che lo spirito dell’arte dimorava, e dimora tuttora, in lui.
Poi ha studiato all’Accademia (“a 3500 km da casa”), poi è entrato in monastero per 5 anni, poi ha sposato Elinor. Poi si è trasferito varie volte, ha scelto l’Europa e adesso vive a Bassano del Grappa (dal 1991, quando l’idea iniziale era di rimanere in Italia per un anno!). Questo fluire di vita è già di per sé arte, l’arte di vivere.
Ma l’arte di quest’uomo, nella sua manifestazione materiale, com’è? Come abbiamo detto, dipende dal periodo storico di realizzazione. La mostra si concentra sulla produzione dagli anni ’90 in poi, con enfasi sull’ultimo decennio e con molte opere recenti e inedite; in questo periodo la figura è stata abbandonata da molti anni (e non sarà più, almeno finora, recuperata) e siamo in un territorio informale.
Negli olii e nelle tempere, l’assenza di enfasi sulla forma catalizza tutta la verve artistica nell’atto fisico della stesa del colore, nel gesto creativo forte e deciso che splende attraverso l’opera anche senza il supporto figurativo. Queste opere sono esplosioni di colore che rapisce; rapisce in primo luogo l’artista stesso che ne è visibilmente trascinato, al di là dell’impeto iniziale. C’è un gioioso perdersi nell’espressione, nel gusto del materiale e del supporto.
E questo non è a caso; Pedrosa, si sarà intuito dai brevi cenni biografici, è un gran curioso, e affamato sempre di conoscenza e perfezionamento di tecniche espressive e manuali differenti. Si accennava alla lavorazione del vetro (non in mostra), ma altrettanto può dirsi delle altre tecniche: degno di nota, e tipico del vero artista, ossessionato dai materiali, la realizzazione manuale della carta usata come supporto per le tempere.
In quest’ultime, l’imprecisione del taglio del supporto cartaceo artigianale e le sue asperità, insieme all’immediatezza connaturata alla tempera stessa (in contrapposizione all’olio, ad esempio) rende ancora più diretta la partecipazione all’urgenza artistica che ha mosso la mano del creatore.
Ma sia le tempere che gli olii sfoggiano colori di grande magniloquenza, giustapposti in composizioni ora calde come focolari accesi (La Vie en Rose, 2011), ora fredde e placide come alte nubi (Trovo i miei versi intingendo il calamaio nel cielo, 2011). Altre opere sfoggiano un mirabile equilibrio (Reencontro, Ritrovarsi, 2007), altre l’assenza di esso, sia compositivo che psicologico, interiore (Missing you, 2007).
Discorso a parte, ma sempre perfettamente inserite nella generalità della produzione, meritano i disegni della Suite Cearense (2011): Cearà è il luogo natale di Pedrosa, a nord-est del Brasile, e ad esso dedica questa serie di vedute delle sue spiagge. Si tratta di 74 disegni 40 × 80 cm, ciascuno col nome di una spiaggia, realizzati su carta con pastelli Conté, con una miriade di linee rette a formare motivi curvilinei che si sovrappongono senza posa, come le onde del mare sul bagnasciuga, che sempre ritornano a cancellare quanto era stato scritto.
Anche qui, formidabile il lavoro di giustapposizione cromatica, dove pare di ascoltare la transizione fluida tra più tonalità in un’opera sinfonica; oppure, semplicemente, il suono della risacca che va e ritorna ogni volta uguale e diverso.
In mostra sono presenti anche opere tridimensionali, che altro non sono che l’estensione allo spazio di ciò che altrove era stato espresso su un piano. Nascono così due tipologie differenti di creazione: quelle in cartapesta e quelle in metallo.
Le opere metalliche (Si può essere qualcuno semplicemente pensando I-IV, 2010) sono bilanciate composizioni di filo d’ottone, attorto a creare incroci tridimensionali di linee dalle origini più disparate. Le sculture in cartapesta sono invece giocosi totem policromatici che paiono crescere di vita propria, come alberi, dal suolo che fa loro da base.
La mostra, che come sempre con le produzioni di questo museo è incentrata sull’artista prima che sulle sue opere, è completata da una lodevole iniziativa: laboratori creativi per bambini, in uno spazio apposito loro dedicato nella struttura del museo stesso, ai quali parteciperà in due date anche lo stesso Bruno Pedrosa.
In opposizione alla famosa frase di Picasso “tutti i bambini sono degli artisti nati; il difficile sta nel fatto di restarlo da grandi”, trascritta proprio sull’ingresso del laboratorio.