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Quirino Autogestito. Welcome to the Pleasure Dome
A cura di Marianella Bargilli, la rassegna del Quirino Autogestito presenta degli spettacoli – tra cui Dignità Autonome di Prostituzione di Luciano Melchionna ed Elisabetta Cianchini, acclamato dal pubblico a livello nazionale e con fila interminabile davanti al teatro – prima di tutto curiosi ed espressivi di una drammaturgia riflessiva di costumi e motivazioni sociali attuali oltreché legate a testi letterari di qualità. Il primo di questi spettacoli appare eversivo già dal titolo: Dignità Autonome di Prostituzione. Welcome to the Pleasure Dome.
Ovvero pillole di piacere teatrale pagate a suon di dollari (ovviamente finti), per riconsegnare agli attori, soggetto primario delle scene autonome, mostrate in gruppi da 7 a 15 spettatori a volta – ognuno in un luogo adibito nei meandri del Quirino – la loro dignità espropriata. Quello che si dimostra tramite lo spettacolo di Luciano Melchionna, creato a partire da un format scritto insieme a Elisabetta Cianchini, - se qualcuno avesse dei dubbi -, è che si possono creare degli spettacoli originali per ironia e coinvolgimento del pubblico, a partire da una condizione svantaggiata: quella dell’attore in una selva oscura dove la vera prostituzione è piuttosto un leit motiv ormai di tutti gli ambienti, non certo di strada (casomai altolocata). Quindi, visto che ci dobbiamo prostituire, facciamolo in teatro e divertiamoci con il pubblico: mettiamo alla berlina ciò che viene sbandierato quasi come un do ut des anche negli ambienti culturalmente sopraffini ove viene praticata nemmeno troppo silenziosamente.
All’entrata siamo accolti come in un bordello: luci rosse, ballerine di burlesque che ci adescano cortesemente, Grace Hall alias la deliziosa Emma Nitti, che ci soffia baci dalla vetrina dove è distesa in un conturbante costume à la Ditha Von Teese. Nella macchina invece Anja/Elisabetta Cianchini che la prepara per un incontro a luci rosse, ovviamente con giornali appiccicati ai vetri della macchina. Anche lì si svolgerà una scenetta adeguata per spettatori al piccolo spazio. Entriamo: il teatro sembra smontato, con poltrone le une sulle altre ed un saliscendi da avanspettacolo addossato al palco. L’Arte in Mutande di Cristiano Cristopharo è adagiato, con un frac e slip di servizio contornati da tatuaggi, sul saliscendi, poco dopo giunge in massa l’allegra brigata di sottovesti dal mondo guidata da Sandro Giordano, l’Amministratore Pappone e dal servizio di sicurezza Goran alias Giovanni Maria Buzzati.
Una delle pillole più interessanti è quella dello Stregone di Giuseppe Rispoli con Prendete l’armi: una scossa feroce alla passività incipiente nel nostro Paese che si presenta con un crescendo furioso di incitamento incorniciato tra due parodistici arrangiamenti di Summertime. Sulla stessa scia l’ironica Mogliettina di Giada Prandi, alla ricerca disperata di una scrittura, ed avulsa da qualsiasi sentimento umano financo per il marito. L’acqua e sapone di Giulia Innocenti riprende la storia della saponificatrice e serial killer Leonarda Cianciulli (1893-1970) che uccise e saponificò tre donne, adducendo però come movente la fissazione per la pulizia ed il desiderio di produrre saponi con il grasso umano delle persone che attirava nella sua casa.
Cristina Golotta è invece La Carla, altra storia vera di un’attrice cui muore il figlio e che racconta come in uno psicodramma il suo ricovero al Centro d’Igiene Mentale e la sua povertà nonostante fosse un’attrice in carriera nel momento in cui fu colpita da una serie di eventi traumatici. Una donna che oggi, all’età di 65 anni non percepisce nemmeno la pensione di attrice e fa una vita di stenti. La bravissima Teresa Micarelli ci introduce a La Tragedia Greca in greco e, nonostante nessuno avesse conoscenza della lingua, riesce a commuoverci con l’uccisione di Egisto da parte di Oreste.
Tantissimi altri sarebbero da enumerare, uno per tutti L’Inquisitore di David Gallarello che recita Dostoevskij, ed ancora Momo ed H.E.R., oppure il travestito Jane di Massimiliano Nicosia. Welcome to the (Theatrical) Pleasure Dome.
Il secondo spettacolo che abbiamo visto è Party Time – Il linguaggio della montagna, tratto da Pinter in un’edizione di Renato Nicolini e Marilù Prati alla regia, che ci è parso poco convincente e molto frammentario nell’elocuzione narrativa. E’ piuttosto chiaro il riferimento agli episodi sanguinosi del G8 di Genova e alla più che evidente estraneità ed indifferenza di un mondo festaiolo e snob oltreché iniquo, però la forza che sarebbe rinchiusa nei dialoghi tra militari intolleranti e disumani (oltreché paranoici), e povera gente dei paeselli di montagna non è poi così correlabile e, più che Beckett, sembrano episodi a sé stanti e affastellati non organicamente.
In Sul confine il ritmo e le sequenze dello spettacolo sono veicolati dal buio e dalla luce, in un intercalarsi di episodi scenici in cui l’azione dei tre protagonisti Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi si interseca alla narrazione. Tra lembi di adduzioni di malattie all’uranio impoverito (ricordo Il raggio verde di Michele Santoro nel 2001 – unica trasmissione che ne ha tratto un profilo logistico imperniato sui segreti dei militari e le confessioni degli scienziati e cfr. anche qui) e desolanti nullità di un nord-est provinciale e senza qualità, si staglia invece la poetica e virulenta storia di una ragazza con Tedeschi bravissimo nella recitazione che la insegue, in preda all’alcool e alla seduzione carnale, e che poi si uccide.
Un’epifania di eternità che infetta la sua mente e lo ridesta alla vita solo attraverso un fiume che lento scorre sulle sponde vicino a quel cespuglio, a quel coltello, a quell’unico episodio di condivisione della violenza in un immaginario desueto, acquiforme e naturalistico. L’unica falda di umanità in un paesaggio storno di emozioni e di veridicità. Lo spettacolo ha ricevuto il Premio Tuttoteatro.com “Dante Cappelletti” 2008.