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Roma al tempo di Caravaggio. A Palazzo Venezia un florilegio tra 1600 e 1630
La sontuosa mostra – perché altro termine non sarebbe appropriato in questo caso di eccellenza – che ci aspetta dal 16 novembre 2011 al 5 febbraio 2012 a Palazzo Venezia, e che vede Roma dal 1600 al 1630 protagonista attraverso gli artisti sopraggiunti durante i quattro papati – e le sue innumerevoli committenze – che diedero lustro, oltre a Caravaggio e Annibale Carracci con la Madonna di Loreto a principiare la mostra, ai talenti di Guido Reni, Domenichino, Lanfranco, ed a tantissimi altri, come Artemisia Gentileschi, cui è dedicato ampio spazio in una sala rubinosa come il suo carattere.
L'allestimento di Pier Luigi Pizzi mette in luce, e stavolta le luci son ben dosate (a parte quelle di qualche didascalia in cui si trovava qualche difficoltà a leggere perché al buio, che invece esaltava i chiaroscuri caravaggeschi appunto), la profondità, la grandiosità, l'aura magica che da simili capolavori viene trasmessa al fortunato che vi si avvicina. Tale è la possanza delle centoquaranta opere esposte che se ne riesce sconcertati per la bellezza insita in ognuno di essi, ed in questo caso una seconda visita è doverosa: la prima quasi aggredisce col dono incommensurabile della bellezza tracotante delle opere di questo periodo.
In questi trent'anni, dal 1600 al 1630 (ricordo la morte di Caravaggio nel 1610 – nato a Milano nel 1571 –, ad un anno di distanza da quella di Carracci, il 1609, – nato a Bologna nel 1560), vi è stato un furore di committenze, di artisti giunti a Roma per entrare nella bottega del “classicista” Annibale oppure per studiare i quadri di chi la bottega non l'apriva che a Cecco (del Caravaggio ovvero Francesco Boneri: in mostra il suo Giovane musicista in una bottega con strumenti musicali, 1620 – 1625), Michelangelo Merisi detto Caravaggio, il lombardo rivoluzionario artista della luce e delle ombre, e di quei ritratti dal vero che tanto lo contraddistinguevano nella pittura. Saggio ne è il raffronto tra le due Madonne di Loreto, contrapposte e complementari e dipinte negli stessi anni: 1604 – 1605: il Caravaggio che “senza creanza” (secondo alcuni) metteva in mostra i piedi stanchi e “sudici” dei pellegrini; mentre dall'altra parte Annibale ricostruiva la casetta di Maria sollevata dagli angeli; a simbolo dello spostamento verso il luogo sacro. Due capolavori che diedero vita ad opposti schieramenti che con Baglione arrivarono in tribunale: i suoi quadri migliori risalgono ai primi del 1600, come il San Giovanni Battista, quando ancora influenzato dagli studi di Caravaggio, metteva in risalto le parti in ombra, o nel chiaro derivato da Amor vincit omnia del Merisi, che è l'Amor sacro e amor profano del 1602.
Il naturalismo di Carracci emerge in un quadro di cui cambiò il soggetto, che passò da Santa Caterina a Santa Margherita (1599) e che rappresenta un paesaggio con la Santa che indica il cielo con un dito e nell'altra mano porta un libro: un quadro ammirato da Caravaggio stesso. Vicino, a volo radente sempre sulla sponda dei classicisti, si leva il fascino celeste da una parte, ed il sensuale seno nudo dall'altra, di Santa Barbara riceve dall'angelo il vestito bianco (1596 – 1597) del Cavaliere d'Arpino (Giuseppe Cesari, Arpino 1568-Roma, 1640).Un'altra meraviglia, è la Morte di Santa Cecilia (1601 – 1602) di Francesco Vanni (Siena, 1563-1610), con la santa che giace con i tre tagli al collo, martirizzata, tra due donne che le danno conforto ed uno sfumato San Michele arcangelo sulla sinistra a difesa della purezza della santa.
Tra gli altari dell'allestimento, che riproducono quelli veri dove si trovano gran parte delle pale e dei quadri, si incontra il Martirio di San Callisto (1610) di Giovanni Bilibert (Firenze, 1585 – 1644), che si appalesa con la dolcezza della remissione per colori e soggetto, prima di volgersi verso un Domenichino (Domenico Zampieri, Bologna, 1581– Napoli, 1641), che espone le divinazioni della Sibilla Cumana (1617), mentre le sue mani svolgono uno spartito e tengono un libro, probabilmente dedicato all'antica musica cromatica ed enarmonica che tanto ricercava il pittore.
Interessanti le nuove ipotesi di attribuzioni al Caravaggio, come la Flagellazione di Cristo della fine del XVI secolo, proveniente dalla Basilica di Santa Prassede a Roma, a firma di Calvesi, e sulla scia non solo di Strinati, che convergono su un connubio tra il lombardo e Peterzani. Segue lo studioso Sant'Agostino (1600), attribuito al solo Merisi e giunto da una collezione privata da Londra: si nota lo studio della luce e dettagli che lo avvicinano alla prima versione di San Matteo con l'Angelo perduta nel 1945.
Per concludere un escursus minimo e scontatamente incompleto visto la mole della mostra, e volto soltanto a dire in nuce ciò che personalmente esalta maggiormente lo scrivano, uno spazio alla galleria soprattutto dedicata ad Orazio Gentileschi (Pisa, 1563 – Londra, 1639) ed a sua figlia Artemisia (Roma, 1593 – Napoli, post 1654), prima grandissima “pittora” che a 17 anni ritrasse Susanna e i vecchioni (1610), con la figura di lei in primo piano ed in diagonale ed i vecchi giudici lubrici che la calunniarono di adulterio allo scopo lussurioso di averla (sconfitti), e che in qualche modo rappresenta quel forte carattere caparbio di un'artista già completa allora. Il quadro dedicato alla Madonna col Bambino, del medesimo anno, bilancia amabilmente lo studio del vero col disegno preparatorio, seguendo le orme maestre del padre Orazio, che nel suo San Michele arcangelo e il diavolo (1608 ca.), espone spada, scudo e tessuti come inganni ottici seguendo la pittura naturalista dell'amico e collega Merisi.
I due dipinti ultimi sono scelti come buon auspicio: l'Amore dormiente (1617 – 1618) di Battistello Caracciolo (Napoli, 1578-1635), che ritrae un angelo disteso di una squisitezza e levità uniche, e nell'iconografia (cfr. Panofsky e Calvesi) ravvicinato al tema della Fortuna bendata da cogliere immediata; l'altro è Il trionfo dell'Italia, ovvero l'Allegoria dell'Italia (1627 – 1628), che chiosa anche la mostra, di Valentin de Boulogne (Coulommiers.en-Brie, 1594 – Roma, 1632), con i rappresentanti dei fiumi piuttosto agée ma contornati da putti, e con una fanciulla irata e imporporata, che però brandisce lancia e scudo a difendere e a rappresentare la patria italica.