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Santa Cecilia. Finalmente dal vivo, Beatrice Rana e Alpesh Chauhan
Finalmente la musica dal vivo! Un’emozione a cui nessuna registrazione o streaming può lontanamente accostarsi. Eccellenti interpreti ne sono stati protagonisti: Beatrice Rana, ormai beniamina del pubblico romano, e Alpesh Chauhan al suo debutto a Santa Cecilia. Concerto di venerdì 14 maggio 2021.
Prima di dedicarci al concerto vorremmo sottolineare quanto sia assurdo dare un tetto al numero massimo di spettatori senza prendere in considerazione la grandezza della sala, le vie di accesso e il ricambio dell’aria. Cinquecento posti in una sala così grande sono un numero ridicolo, tenendo presente che c’è l’obbligo della mascherina e che il pubblico dei concerti sinfonici e da camera rimane seduto durante l’esecuzione e si muove ordinatamente all’entrata e all’uscita. Ci si può giustamente chiedere se chi ha pensato a questa limitazione sia mai entrato in una sala da concerto o un teatro, d’opera o di prosa, ma si può anche temere che, rispetto ad altre attività, quelle culturali siano considerate inutili.
L’incontro tra il pubblico e gli interpreti, orchestra, direttore e pianista, gioioso e tanto atteso è stato caloroso e affettuoso con applausi da ambedue le parti. Il concerto è stato aperto dal Concerto n. 1 in re minore per pianoforte e orchestra, op. 15 di un venticinquenne Johannes Brahms. La nascita di questa composizione fu lunga e tormentata e si avvicinò alla meta attraverso successive elaborazioni, negli anni 1852-53 Brahms pensò prima a una sinfonia, che poi si trasformò in una Sonata per due pianoforti, infine nel 1854 scrisse a Clara Schumann di aver "trasformato la mia Sinfonia abortita in un Concerto per pianoforte". Il primo movimento fu rielaborato più volte, quello centrale, in origine una Sarabanda in tempo Lento funebre, riutilizzato poi nel secondo coro del Requiem tedesco, fu sostituito da un Adagio, il terzo integralmente riscritto nel 1857. Il 22 gennaio 1859 ad Hannover la prima esecuzione, solista lo stesso Brahms, direttore Joachim, fu accolta tiepidamente, mentre fu un fiasco clamoroso quella successiva al Gewandhaus di Lipsia del 27 gennaio diretto da Julius Rietz, solista ancora Brahms. Solo successivamente e lentamente la composizione incontrò il favore del pubblico.
Il pubblico non apprezzò allora la forma sinfonica della composizione in cui c’è equilibrio tra solista e orchestra e non si lascia spazio al protagonismo di esibizioni virtuosistiche, nonostante la parte pianistica presenti notevoli difficoltà tecniche. Il primo movimento Maestoso, il più lungo dei tre, è in forma sonata, intenso e drammatico, ma anche con sprazzi lirici, è immerso nella sensibilità romantica, ci sono inoltre citazioni di temi dalla Nona Sinfonia di Beethoven, un mito indiscusso di cui il giovane Brahms sentiva il peso. Diverso il clima del successivo Adagio, sul manoscritto posseduto da Joachim il compositore aveva scritto "Benedictus qui venit in nomine Domini". Il dialogo tra il pianoforte e l’orchestra si sviluppa in un’atmosfera chiara e serena quasi rarefatta in alcuni passaggi e nella conclusione. Il finale Allegro non troppo è in forma di Rondò in cui i sei temi vengono elaborati e variati, il tono vigoroso ha echi di danze popolari, amati e ricorrenti nella produzione brahmsiana.
Beatrice Rana non è certo una scoperta di oggi, le sue proposte spaziano da Bach in poi, in ognuna il tocco cristallino e sensibile ne mette in luce i colori e la dinamica, ha una chiara visione dell’architettura compositiva, evidenzia il respiro e la cantabilità della musica e contestualmente mette in rilievo la sua visione interpretativa. L’armonioso accordo tra Beatrice Rana e il direttore è stato un determinante punto di forza di questa trascinante esecuzione, non è stato possibile nonostante gli applausi scroscianti e la lunga ovazione ottenere un bis a causa dell’incombente coprifuoco.
Ha chiuso il concerto la Sinfonia n. 6 in si minore, op.54 di Dmitrij Šostakovič composta ed eseguita per la prima volta in un anno tragico, il 1939, che segno l’inizio del conflitto mondiale mentre continuavano le purghe staliniane. La composizione si distacca dalle composizione scritte dopo l’obbligato allineamento alle direttive estetiche dettate dagli apparati del partito, in seguito al diretto attacco di Stalin nell’articolo non firmato Caos invece di musica (1936), apparso sulla Pravda dopo la rappresentazione al Bolshoi di Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, composta nel 1934 e che fino allora aveva ottenuto un grande successo. La sesta sinfonia è lontana dalle intenzioni celebrative, si apre con il Largo il movimento più lungo in un clima drammatico e angoscioso, inquietante e pensoso, in cui il suono diventa, nel finale, rarefatto sino a svanire. Il contrasto con i due successivi è significativo non solo per la maggiore varietà timbrica e ritmica che evoca Prokof’ev e Stravinskij ma perché nell’Allegro irrompe un amaro tono grottesco che diventa irrisione martellante nel Presto in forma di Rondò in cui si percepiscono echi di Rossini, Offenbach e anche Gershwin.
Questa sinfonia non è tra quelle maggiormente proposte nei programmi dell’Accademia mentre invece meriterebbe maggiori ascolti. La coinvolgente esecuzione diretta da Alpesh Chauhan, lo ha ampiamente dimostrato, mettendo in luce le diverse e complesse sfumature della tavolozza timbrica e ritmica e l’amplissima varietà dinamica, ottimo il rapporto con l’orchestra che ha assecondato le sue intenzioni. Prolungati, vivaci e meritati applausi hanno salutato la fine del concerto. Alpesh Chauhan ha ringraziato con un breve discorso rivolto al pubblico e ha sottolineato l’importanza del rapporto con il pubblico, cosa anche affermata da Michele dall’Ongaro, Presidente dell’Accademia, nel discorso con cui ha accolto il pubblico. In questi discorsi ci è parso che sia sotteso il timore, non ancora superato, che le persone si siano abituate a stare a casa e non tornino ad affollare i concerti, non possiamo che augurarci che queste ansie siano del tutto infondate.