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Santa Cecilia. Grande concerto romantico per Martha Argerich
La Sala Santa Cecilia, occupata da un numero strabocchevole di spettatori in ogni ordine di posto, ha lungamente acclamato la travolgente interpretazione di Martha Argerich del Concerto per pianoforte e orchestra n.1 di Liszt lo scorso 31 ottobre. Questa straordinaria pianista è stata diretta dal maestro Antonio Pappano, sul podio dell'Orchestra dell’Accademia, a cui il pubblico ha riservato una festosa ovazione al termine della sinfonia n° 2 di Schumann.
Il concerto è stato imperniato su composizioni appartenenti al romanticismo musicale ad iniziare dalla Ouverture di Euryanthe di Carl Maria von Weber. Weber è considerato il precursore della nuova concezione dell'opera tedesca con la sua trilogia teatrale: Der Freischūtz, Euryanthe e Oberon, spiccatamente innervata di spirito romantico Proprio con Euryanthe si delinearono quei principi da cui derivò il dramma musicale wagneriano. Weber, infatti, ebbe come progetto la stretta unione delle arti nel dramma musicale, già auspicata da Hoffmann: «Laddove presso le altre nazioni - scrisse Weber - tutto è sacrificato alla gioia sensuale momentanea, la Germania intende creare un'opera d'arte d'insieme, ove tutte le parti si uniscano armoniosamente in una bellezza totale». Il libretto dell'opera di Wilhelmine von Chézy, è basato sul romanzo medioevale Histoire de Gerart de Nevres et de la belle et vertueuse Euryanthe de Savoie, sa mie, a cui Boccaccio si ispirò per una novella del Decamerone e Shakespeare per il dramma Cymbeline. La sua scrittura musicale insieme alla corposità dell'orchestra con i colori e le soluzioni ritmiche, armoniche e melodiche influenzò Wagner, Marschner, Meyerbeer, Liszt e Schumann.
Venendo al concerto di Liszt, secondo brano in programma, Piero Rattalino nesuoi scritti dedicati a questo argomento, ha esaurientemente argomentato sull'importanza del Concerto in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra n. 1 di Liszt nella storia di questa forma musicale per il romanticismo. Il trascendentale virtuosismo pianistico di protagonisti come Chopin, Thalberg e lo stesso Liszt aveva relegato l'orchestra a banale accompagnamento, d'altra parte si era sviluppata anche la scrittura orchestrale con l'organico di conseguenza ampliato. I problemi da risolvere erano il rapporto paritario tra solista e orchestra per realizzare una composizione sinfonica, la continuità senza interruzioni e l'unità tematica tra le parti con finale riassuntivo. A parte Mendelssohn, che aveva risolto brillantemente il problema, in quanto grande pianista, compositore, anche sinfonico, e direttore d'orchestra con una esperienza che andava da Bach a Beethoven, nessuno fino a Liszt era riuscito nell'intento.
La ricostruzione di Rattalino, del lungo percorso del pianista ungherese per arrivare alla soluzione del problema, parte da primi appunti del 1830 e attraverso tappe intermedie termina nell'ultima stesura del 1856 del Concerto in mi bemolle maggiore. La parte del pianoforte è degna della trascendentale bravura del compositore ma lo strumento ha l'indispensabile sostegno dell'orchestra. Il rapporto con tutta l'orchestra non è solo di dialogo, ma anche di accompagnamento di singoli strumenti come il clarinetto o i due violini. La struttura fin dalla prima parte - Allegro maestoso - si basa sulla forma sonata con l'esposizione dei due temi,ma le successive elaborazioni nello sviluppo, breve, riesposizione, solo del primo tema, rielaborato, su cui è imperniata la lunga coda, si distaccano dai dettami della forma classica. Nella pensosa e lirica seconda parte stupisce l'uso delle tonalità dal si maggiore al finale in mi maggiore, mentre nella terza, introdotta senza modulazione, si passa al mi bemolle minore con l'inquietante apparizione, tra beffardo e demoniaco, del triangolo. Il secondo tema della seconda parte introduce il brillante e marziale finale che nella vorticosa ripresa dei temi precedenti si ricollega al primo tema e allo sviluppo dell'Allegro maestoso che conduce alla pirotecnica conclusione.
Può sembrare scontato scrivere della grandezza di Martha Argerich, è sorprendente la sua capacità di eseguire con la più grande scioltezza, precisione e velocità gli ardui passaggi virtuositici, coniugati ad un tocco eccelso, dal fortissimo più assertivo e drammatico al pianissimo più etereo e soave. L'interpretazione è ancora più intensa e coinvolgente nei momenti di maggiore pensosità e introspezione, sottolineati dalla coinvolgente cantabilità dell'esecuzione. L'accordo con il maestro Pappano e l'orchestra è stato ottimale, come tra due amici di lunga data che si ritrovano a suonare insieme. Non ci ha sorpreso l'entusiastica accoglienza e l'ovazione finale riservata a questa somma artista, che per la prima volta ha eseguito questo suo “cavallo di battaglia” a Santa Cecilia.
Ha concluso il programma la Sinfonia n. 2 in do maggiore per orchestra, op. 61 di Robert Schumann, una composizione che, giunta dopo un periodo di profonda depressione, ne raccoglie il ricordo e il superamento. Il compositore mirava aandare oltre il modello della forma sonata nella composizione, che nella conclusione ripropone il tema o motto iniziale del primo movimento ripresentando il carattere ciclico della prima sinfonia. L'uso dell'orchestra riflette il tormentato percorso emotivo della composizione, ma fu a lungo incompreso da mitici esecutori come Mahler e Furtwängler che apportarono innumerevoli correzioni alla partitura. La composizione inizia con un salto di quinta ascendente do/sol, che verrà riproposto anche nell'ultimo movimento, e ha un carattere interlocutorio. Nel secondo movimento, Scherzo, concepito come un ossessivo "perpetuum mobile" ripropone come nella sinfonia n.1 due Trio, il secondo è in forma di corale, una breve pausa nel moto convulso brano. Il centro emotivo della composizione è nell'Adagio espressivo, malinconico e angoscioso, che è in un certo senso autobiografico, un ripercorrere lo stato d'animo del periodo precedente, attraverso la melodia struggente, percorso che si conclude nel finale Allegro vivace. Antonio Pappano possiede una viva sensibilità che gli permette di rendere la variegata e tormentata personalità di Schumann, la morbida cantabilità delle melodie, la dinamica incalzante e i colori dell'orchestra sono stati interpretati con grande efficacia. Festosi e lunghi applausi hanno accolto la conclusione del concerto.