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Santa Cecilia. Petrenko dirige la matrice wagneriana del mondo
L'Accademia Nazionale di Santa Cecilia offre al suo pubblico un'anteprima di Bayreuth: Kirill Petrenko infatti ha diretto, dal 23 al 27 febbraio 2013, Das Rheingold (L'Oro del Reno) in forma di concerto, il prologo alla tetralogia wagneriana di Der Ring des Nibelungen, ovvero il primo degli espisodi che daranno vita all'intreccio dei Musikdramen per antonomasia. La dedica, che ritroviamo riprodotta in originale nel programma, è a Ludwig II di Baviera, il re “incantato” da Wagner (il libro a cura di Nicola Montenz, Parsifal e l'Incantatore, pubblicato da Archinto nel 2010, racconta passo passo questa relazione di seduzione tra i due, il colto musicista ed il sensibile amante delle Arti), e suo primo ed ultimo mecenate.
Das Rheingold è il primo capitolo di quell’opera d’arte dell’avvenire in forma di tetralogia, L’Anello del Nibelungo, terminata vent’anni dopo, nel 1874. La fine della redazione definitiva del Prologo (Vorabend) è avvenuta infatti nel 1854, con svariate interruzioni nella stesura iniziata mentre Wagner era e Dresda durante i moti rivoluzionari del 1848, ai quali partecipò. L’Oro del Reno è il preludio che contiene già il germe del capitolo finale del Crepuscolo degli Dei (Die Götterdämmerung), che nel secondo e terzo episodio (o giornate) prendono il nome di Die Walküre (La Walchiria) e Siegfried (Sigfrido), l'eroe wagneriano anarchico e iconoclasta che ruberà l'anello al drago Fafner.
La prima rappresentazione fu a Monaco di Baviera, nel Königliches Hof- und Nationaltheater, il 22 settembre 1869, e forse non è un caso che il magico direttore russo che abbiamo ascoltato stasera, Kirill Petrenko, oltre a dirigere l'intero ciclo a Bayreuth la prossima estate, prenderà il posto di Generalmusikdirektor proprio alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera nel prossimo settembre. Un luogo capitale per Wagner, non solo per le prime e le sue composizioni, ma perchè proprio nell'Alta Baviera, ovvero a Bayreuth, nascerà quel teatro con l'orchestra invisibile, per dare un tempio all'opera d'arte totale del compositore tedesco di cui ricorre quest'anno il bicentenario della nascita.
Il Vorabend all'Anello del Nibelungo ruota intorno alla creazione del mondo, secondo le leggende unite da Wagner del carme nordico dell’Edda norrena dell'XI secolo, da cui derivano sia l'Edda di Snorri Sturluson sia il Nibelungenlied (XIII secolo), dal quale nasce direttamente il Ring di Wagner. Il dramma cosmico della creazione del Valhalla con l'aiuto dei due giganti Fasolt e Fafner (i due poderosi bassi Roman Astakhov e Dirk Aleschus), subito inquadra Wotan come “falso e vile”, come dicono le Figlie del Reno anche nel finale grido dopo il furto dell'Oro, e che si presenta senza un occhio, denunciando altresì, mediante un tratto fisico, la mancanza di oculatezza nelle scelte degli dei germanici. Il basso potente ed esperto di Wolfgang Koch ci ha accompagnato nella storia con sicurezza dall'inizio alla fine. Wotan però comparirà nella seconda scena perchè nella prima, annunciata da un meraviglioso mi bemolle maggiore, sulle note prima dei contrabbassi poi raggiunti dai fagotti, si evince la solennità fluida dell'acqua da cui germoglia la vita, e solo con l'arrivo del nano Alberich, il Nibelungo, e la sua cupa e viscida voce di basso acuto come Wotan, che è interpretata dall'inizio alla fine da Andreas Scheibner, il quale ha una voce piuttosto insinuante e quindi ben adatta al ruolo, si avrà un primo cenno degli abissi entro cui sprofonderà il regno degli dei.
Il fulcro del dramma scaturisce dalla rapina dell'Oro che le Figlie del Reno custodiscono sul letto del fiume: Alberich, dopo essere stato schernito e rifiutato nelle sue profferte d'amore, e saputo da loro dell'esistenza di simil tesoro, maledice l'amore come richiesto e ruba l'Oro con cui si fa forgiare (si odono i suoni della fucina di Mime attraverso le percussioni metalliche) un anello del potere da suo fratello Mime (il bravissimo Kurt Azesberger), che ha ormai schiavizzato insieme a tutti gli altri abitanti di Nibelheim.
Il parallelo con Il Signore degli Anelli è ineludibile: difatti John R. R. Tolkien per scrivere il suo capolavoro si è ispirato agli stessi miti nordici – testimonianza ne sono i nomi degli eroi a cominciare da quello di Gandalf (cfr. Quirino Principe, Il teatro d'opera tedesco. Il 1830-1918, Palermo, L'epos, 2004) e lui stesso era un medievalista e filologo. La differenza risiede nella concezione e nella materia con la quale è tradotta: narrativa per Tolkien, poetica per Wagner. La concezione su cui fa perno Wagner preannuncia la psicoanalisi, nata proprio alla fine dell’’800, e analizza, attraverso i simboli, quelli che Jung di lì a poco chiamerà archetipi, inserendoli nel tessuto dell'opera e ricollegandoli alla musica attraverso la tecnica leitmotivica (ogni personaggio è caratterizzato da un definito motivo musicale che ne spiega nondimeno le caratteristiche psicologiche). Tolkien crea un mondo a parte che invece conserva un tratto centrale favolistico e naïf, che Wagner strumentalizza ai fini dell’esposizione “tragica”, convertendola in una visionarietà onirica e precognitiva, che si traduce perfettamente in musica. Testimonianza ulteriore ne è la nascita del Rheingold da un sogno avuto mentre si trovava a La Spezia, anzi, per essere più precisi una sorta di stato ipnagogico durante il dormiveglia: ascolta il rumore dell'acqua tradursi in mi bemolle maggiore attraverso una melodia infinita e fluida: ecco che la commozione che scatena la musica ne esprime allo stesso tempo l'essenza, proprio come asseriva “l'amico” Schopenhauer (cfr. Wagner, Mein Leben, La mia vita. introduzione e traduzione a cura di Massimo Mila, Torino, EDT, 1982).
Una volta che Alberich ha forgiato l'oro in anello comincia la maledizione: difatti gli verrà rubato da Wotan che con Loge, il dio del Fuoco ed il signore degli inganni, la voce tenorile e benemerita del noto Peter Galliard, riuscirà a giocare Alberich con le sue stesse armi, sfruttando la sua vanità. Wotan prende l'Oro, compreso l'elmo che trasforma e rende invisibili forgiato anch'esso da Mime, per scambiarlo con la dea della giovinezza Freia – la commovente voce sopranile di Nina Bernsteiner -, concessa in un primo tempo ai due Giganti per far sì che costruisssero il Valhalla. Nonostante le proteste di Froh - la pacifica voce di Endrik Wottrich, come vuole il personaggio del dio della serenità fratello di Freia-, e del dio tuono Donner, il bulgaro Martin Tzonev, che conosce bene la parte per cui è celebre; gli dei riavranno Freia, rapita dai due Giganti, solo dopo la concessione completa dell'Oro, dell'elmo e dell'Anello. A questo punto si riattiva ancora la maledizione e Fafner uccide il fratello Fasolt per tenere tutto l'oro per sé.
Un intervento da sottolineare è quello sublime di Erda, la dea della Terra interpretata dall'aulica voce di Andrea Bönig, che si eleva dall'alto sopra l'orchestra e quasi dipinge sul pubblico, attraverso le sue note alte, la figura di una Natura nella sua compatta unità e saggezza, convincendo Wotan a consegnare l'Anello ai due giganti. L'Arcobaleno per ascendere al Valhalla però non sarà la via dell'inizio ma quella della fine, come ricorda sia il motivo in re bemolle, sia le Figlie del Reno. Quest'ultime, da sottolineare, hanno le splendide voci di Talia Or per Woglinde; Dagmar Peckova per Wellgunde e la duttile voce di Hermine Haselböck per Flosshilde.
La compagine orchestrale, tra cui brillava il suono di ben sei arpe insieme ai tanti fiati e ottoni ben curati da Wagner come prescritto per l'originale, ha mantenuto un'asciuttezza, un ritmo, una sicurezza che Petrenko ha valorizzato appieno nella sua magnifica conduzione – sia con gli orchestrali quanto con i cantanti, cui suggeriva a voce muta le note -, che ha tradotto appieno la circolarità dell’opera e l’evolversi su una grande spirale la continua rotazione delle cose partendo dalla matrice del mondo.