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Santa Cecilia. Trionfale ritorno di Daniel Oren nel Requiem di Verdi
Dopo diciassette anni di assenza Daniel Oren è tornato a dirigere l'Orchestra e il Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia con un cast di livello formato da Eleonora Buratto, soprano, Ekaterina Semenchuk, mezzosoprano, Franceco Demuro, tenore che ha sostituito René Barbera, e Ain Anger, basso. La fine del concerto è stata salutata dal pubblico entusiasta con una lunga e infuocata stading ovation a tutti gli interpreti, che ha commosso il maestro Oren.
La storia della composizione della Messa da Requiem è lunga e complessa e comincia con la morte di Gioacchino Rossini a Parigi nel 1968. I rapporti personali tra Verdi e Rossini basati sulla stima e il rispetto reciproco furono cordiali anche se non legati dall’amicizia. Verdi conservava, incorniciato, un arguto biglietto scritto da Rossini che recitava così: "Rossini ex-compositore e pianista di quart'ordine, all’illustre compositore Verdi, pianista di quint'ordine".
Quando morì Rossini, per celebrarne degnamente la memoria, Verdi propose a Ricordi la composizione di una Messa, che sarebbe stata composta da dodici noti compositori italiani scelti da un’apposita commissione. I musicisti avrebbero partecipato gratuitamente, ciascuno con un proprio brano. Verdi si riservò la composizione del Libera me domine finale e la Messa sarebbe stata eseguita ad un anno dalla morte dell’illustre musicista a Bologna. Il progetto purtroppo fallì miseramente anche se i compositori furono scelti e i brani consegnati. Quando nel 1870 la possibilità di esecuzione alla Scala di Milano svanì Verdi ne fu molto amareggiato.
Tre anni dopo nel 1873 morì a Milano Alessandro Manzoni, per cui Verdi nutriva non solo un’immensa stima ma un’autentica venerazione. Nella primavera del 1874 il compositore chiese a Ricordi il manoscritto del Libera me Domine per soprano e orchestra, lasciato in custodia con la consegna di non usarlo. In quello stesso anno la composizione della partitura fu completata e il Requiem fu eseguito in memoria di Alessandro Manzoni il 22 maggio nella chiesa di S.Marco, quando il musicista aveva sessantatré anni.
Il testo del Requiem è basato sulla liturgia cattolica pur essendo una composizione profondamente laica, che manifesta la visione pessimista del musicista, che nel 1883 scrisse a Clara Maffei: "Penso che la vita è la cosa più stupida e quello che è ancor peggio inutile. Cosa si fa? Cosa faremo? Stringendo ben tutto la risposta è una umiliante e tristissima: NULLA". Parole non così diverse da quelle che l’amatissimo Shakespeare mette in bocca a Macbeth: "La vita…è un racconto narrato da un idiota, pieno di strepitìo e di furore, e senza alcun significato".
La musica del Requiem testimonia la cupa meditazione di Verdi sulla vita ed è la drammatica rappresentazione della tragicità della condizione umana. Il Libera me Domine, non a caso scelto in precedenza, pone le angosciose domande senza risposta dell'uomo di fronte alla morte. L'aldilà è assente e manca il rasserenante conforto della speranza nell'eternità, che usualmente conclude i Requiem.
Verdi, come molti musicisti prima di lui, è stato accusato di aver composto un Requiem operistico ma non si può che concordare con Bruno Cagli quando afferma che: "E' l'Opera ad aver preso molto delle forme e dei moduli espressivi dalla musica sacra". Ricorda anche che fino al '900 quasi tutti i compositori si sono formati nell'ambito delle cappelle ecclesiastiche (cfr. La Creazione di Haydn).
La grandiosa composizione si apre meditativa e solenne con il Requiem ed il Kyrie, che preparano la violenta e angosciosa esplosione del Dies Irae, costituito da più parti collegate tra loro dal tema di apertura. Questa è la parte più lunga, il cuore interpretativo e ricorrente della composizione in cui è vividamente presente la visione tragica della condizione umana.
Il Lacrymosa per soli e coro che chiude il Dies Irae ha la sua origine in un pezzo poi soppresso del Don Carlos. Nell'edizione di Parigi al quarto atto, dopo la morte del Marchese di Posa, c'è il lamento di Filippo II, la splendida e disperata melodia iniziale viene qui ripresa e adattata al testo lasciando intatte le armonie (cfr. Julian Budden, Le Opere di Verdi, III vol ed. EDT Musica del 1988).
Seguono poi Domine Jesu – intenso Offertorio meditativo, in cui domina un'intensa invocazione e poi in questa atmosfera cupa brilla il Sanctus,in cui è presente una breve fuga a due cori. L' Agnus Dei e il Lux Aeterna permeati da un senso di accorata invocazione preludono all'impervio Libera me Domine per soprano e orchestra, diverso da quello concepito originariamente, servito solo come base. Nell'epilogo drammatico della composizione manca una serena visione della morte, ma al contrario si evidenziano invece i dubbi e le angosciose domande senza risposta dell'uomo posto di fronte alla morte.
Questa composizione è profondamente sentita dal maestro Oren, attento e sensibile alle sfumature dinamiche e timbriche, anche se a volte ci è parso che dilatasse troppo i tempi. L'Orchestra ne ha ben seguito le indicazioni e il Coro ottimamente preparato dal maestro Piero Monti ha fornito una prova eccellente. Nel cast ha brillato Eleonora Buratto, dotata di una voce vellutata e di una tecnica sicura, Ekaterina Semenchuk ha splendide note gravi, ma quando sale la voce non mantiene la stessa brillantezza, una caratteristica riscontrabile anche nel basso, Ain Anger, infine il tenore Francesco Demuro ha fornito una prestazione efficace.
Il concerto è stato dedicato alla memoria di Bruno Cagli, ad un anno dalla sua scomparsa.