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Scuderie del Quirinale. Le collezioni reali di Spagna
Da Caravaggio a Bernini. Capolavori del Seicento italiano nelle collezioni reali di Spagna è il titolo dell'esposizione in corso alle Scuderie del Quirinale a cura di Gonzalo Redín Michaus, che terminerà il 30 luglio prossimo. Si tratta di un evento eccezionale in quanto sono opere d'arte normalmente non esposte nei musei; la mostra arriva a Roma dopo quella di Madrid del 2016 anche se con qualche differenza.
Le collezioni d'arte appartenute alla Corona di Spagna sono vastissime per l'intensa attività di collezionismo dei re, incrementata inoltre dai doni di altri regnanti e di alti dignitari, come i viceré e gli ambasciatori. Il Museo Real poi divenuto Museo del Prado nacque nel 1819 per volontà del re Ferdinando VII e da sua moglie Maria Isabella di Braganza, delle opere esposte nel 1821 provenienti esclusivamente dalle collezioni reali circa duecento erano italiane. Il Patrimonio Nacional, che le gestisce, nacque nel 1865 quando la regina Isabella II decise di rinunciare alla proprietà personale dei beni ereditati dai propri antenati per affidarne la gestione allo Stato. Tutte le opere che non furono scelte per essere esposte al Museo del Prado, in base ai criteri degli storici dell'arte dell'epoca, restarono nelle residenze reali dove svolgevano ancora una precisa funzione ed entrarono a far parte del cospicuo Patrimonio Nacional. Queste opere che per la loro collocazione sono invisibili o raramente visibili appartengono dunque al Patrimonio Nacional, che tra i suoi compiti ha quello di agevolarne la fruibilità ai cittadini, da questo dovere istituzionale ha preso corpo l'ideazione e la realizzazione dell'esposizione in corso.
Il curatore ha deciso di scegliere un periodo preciso tra la fine del '500 e il 1600, come dichiarato nel titolo della mostra, in quanto è cruciale per descrivere gli stretti rapporti tra Italia e Spagna. I sovrani spagnoli, infatti, da Carlo V in poi, acquisirono nelle loro collezioni innumerevoli opere di artisti italiani, attraverso le committenze e le intense campagne di acquisto svolte dai diplomatici e dai viceré spagnoli, a cui si aggiunsero quelle donate da regnanti italiani allo scopo di ingraziarsi il re spagnolo per ottenere diversi benefici. La presenza dell'arte italiana contribuì alla formazione di sommi artisti, come Velásquez e Ribera, che vennero in Italia e furono influenzati dall'arte antica e da quella italiana. Il curatore ha diviso la mostra che ospita 60 opere tra dipinti e sculture, in diverse sezioni, in quello che segue abbiamo scelto di illustrare solo alcune che a nostro parere sono le più significative.
La prima sala accoglie La vocazione di S. Andrea e S. Pietro di Federico Barocci (1533 circa-1612), nello stesso tempo uno straordinario capolavoro, un esempio magistrale della fase di transizione dalla "Maniera al Barocco" e del fervore religioso che animava il pittore. La prodigiosa cromia, la plasticità delle forme, l'eleganza della composizione manifestano l'ascendenza rinascimentale che però venne reinterpretata dalla "Nuova maniera" secondo la felice definizione del Vasari. Il dipinto fu donato da Francesco II della Rovere a Filippo II ed è un esempio di quella diplomazia condotta attraverso l'arte per ottenere la protezione di un sovrano potente da parte dell'ultimo duca di Urbino.
La Salomè con la testa del Battista di Michelangelo Merisi (1573-1610) fu comprata dal conte di Castrillo viceré di Napoli tra il 1653 e il 1659 e poi donato al re Fliippo IV. L'ambientazione di Caravaggio è come di consueto contemporanea e realistica e i modelli dei personaggi furono scelti nei più sordidi bassifondi, Salomè non è giovane, come nella tradizione e nell'altro dipinto con lo stesso soggetto del Merisi, ma è una prostituta appassita dalla vita che ha condotto, l'avvizzita mezzana al suo fianco potrebbe adombrare sua madre Erodiade, una rappresentazione, che ammonisce sul come e perché Salomè ottenne da un Erode riluttante la morte del Battista. Il quadro è su un fondo verde scuro, dopo il recente restauro è tornata visibile la spada del carnefice, la luce che scende obliqua dall'alto illumina la scena, nella quale spicca il rosso del mantello di Salomè il cui viso è parzialmente in luce , come il braccio muscoloso del carnefice e la parte superiore del viso del Battista sul vassoio, una scena di straordinaria intensità drammatica.
La Conversione di Saulo in cui rifulge il “classicismo realista" di Guido Reni (1575-1642) è un brillante esempio di come la realtà possa essere reinterpretata per tendere ad un ideale di armonia e bellezza, perseguito nella descrizione drammatica della scena posta in un tempestoso paesaggio, allusivo dello stato d'animo del protagonista a cui si aggiungono la stupefacente tavolozza cromatica e la perfezione armoniosa delle forme di Saulo e del cavallo. Un altro superbo esempio è Lot e le figlie di Giovanni Francesco Barbieri (1591-1666), il soggetto biblico è scabroso e il Guercino ne sottolinea la sensualità con la plasticità e la morbidezza delle forme e l'uso del del colore nella raffigurazione del paesaggio, delle vesti e della pelle dei protagonisti. Una delle figlie sostiene con fermezza con la sua mano quella di Lot, che tiene l'elegante calice da cui beve e che a stento si sostiene seduto con l'altra, mentre l'altra mano della figlia con gesto morbido e insinuante scosta la veste che ricopre il padre. Entrambi i capolavori furono scelti da Filippo IV insieme ad altre quattro dalla collezione del principe di Piombino Niccolò Ludovisi per sua volontà testamentaria, al fine di salvaguardare il suo principato.
I due principali pittori spagnoli influenzati dall'arte antica e italiana furono Diego Velásquez (1599-1660) e Jusepe de Ribera (1591-1652) del primo è in mostra La tunica di Giuseppe, un capolavoro del giovane pittore sivigliano che come La fucina di Vulcano (Museo del Prado) mostra l'influenza dell'arte classica e della pittura italiana coeva nella composizione, nella plasticità dei corpi, nella tavolozza cromatica e nella teatralità della scena, per questo si ritiene sia stato realizzato al ritorno del primo viaggio in Italia (1629-1630). Il superbo capolavoro che è il Ritratto di Innocenzo X (Galleria Doria Pamphili), dipinto nel suo secondo viaggio in Italia, (1649-1651) è la prova evidente del successivo percorso espressivo del sommo artista. Diversamente Ribera si spostò dalla Spagna in Italia dove arrivò a Roma nel 1606 per poi lavorare e rimanere per tutta la vita a Napoli, in cui permaneva l'influenza della pittura realistica di Caravaggio, che per due volte vi aveva soggiornato. La presenza del viceré spagnolo e i conseguenti stretti rapporti con la madrepatria dell'aristocrazia e dei funzionari fece sì che nelle collezioni reali ci fossero più opere del pittore. In mostra ci sono quadri di periodi diversi, sono soprattutto pitture devozionali così amate dai religiosi sovrani ispanici ma c'è anche Giacobbe e il gregge di Labano, al realismo espressivo della fisionomia di Giacobbe si aggiungono una cromia e attenzione ai dettagli di impressionante magnificenza. Mattia Preti (1613- 1699) è un altro grande che reinterpretò in modo straordinario il realismo caravaggesco il San Girolamo ascolta la tromba del Giudizio universale ne è un'efficace testimonianza .
Al piano superiore sono esposte le sculture, la stupefacente bellezza del Crocifisso in bronzo dorato di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) attrae prepotentemente l'attenzione del visitatore e lo incanta, fu una commissione del re Filippo IV, poi però venne rimosso dalla Cappella dei sepolcri dei re, per essere sostituito da quello di minor valore di Domenico Guidi, non si conoscono i motivi di una simile decisione. Di Bernini c'è anche il modello in bronzo della Fontana dei quattro fiumi e del suo rivale Alessandro Algardi (1598-1654) ci sono due splendidi bronzi, Nettuno e Cibele, due delle figure che decoravano due dei quattro alari di bronzo che gli furono commissionati da Velásquez. Algardi disegnò il modello ma poi morì e la realizzazione fu affidata a Domenico Guidi (1625-1701) e Ercole Ferrata (1610-1686) i suoi più stretti collaboratori che apportarono della modifiche.
L'ultima sala ospita di Luca Giordano ( 1634-1705) L'asina di Baalam e L'ebbrezza di Noè sono esempi straordinari dell'abilità pittorica dell'artista, la sua capacità narrativa è evidenziata dal meraviglioso realismo dei dettagli, reso magistralmente da una mirabile tavolozza cromatica e dall'uso del chiaroscuro. Sempre di “Luca fa presto” La cattura di Cristo è impressionante per sua dinamica e vorticosa narrazione, i colori acidi che ne acuiscono la drammaticità sono esaltati dalla luce che colloca la vicenda in una dimensione onirica.
Il catalogo della mostra edito da Skira con i suoi saggi che illustrano vari aspetti del collezionismo reale, le splendide fotografie con appropriati dettagli e le schede che illustrano tutti i vari aspetti delle opere esposte, è uno strumento ideale per chi voglia approfondire l'argomento.