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Scuderie del Quirinale. Il “Museo universale” di Napoleone
Dal 16 dicembre 2016 fino al 12 marzo 2017 si può visitare a Roma alle Scuderie del Quirinale la formidabile mostra Il museo universale. Dal sogno di Napoleone a Canova. La cura è di Valter Curzi, Carolina Brook e Claudio Parisi Presicce. La mostra rievoca l’avventuroso recupero dei capolavori d’arte italiani – da Raffaello a Tiziano, dai Carracci a Guido Reni, oltre a numerose statue di epoca romana – rimossi da chiese e musei dell’Italia centro-settentrionale da Napoleone Bonaparte e trasferiti in Francia in virtù del Trattato di Tolentino del 13 febbraio 1797 e della successiva occupazione francese.
Nel 2016 ricorre, infatti, l’anniversario del rientro a Roma – avvenuto nel 1816 a seguito del Congresso di Vienna – delle centinaia di manufatti artistici e archeologici requisiti dai funzionari napoleonici. Ce lo ha ricordato la recente e suggestiva riapertura del Braccio Nuovo dei Musei Vaticani, che fu proprio allora costruito per accogliere le opere restituite dalla Francia. Anche altre amministrazioni della penisola rientrarono in possesso di oltre 500 dipinti che, tra il 1796 e il 1814, erano stati prelevati dai Francesi nei territori italiani.
Napoleone Bonaparte (1769-1821), generale del Direttorio della neonata Repubblica francese e comandante dell’Armata d’Italia, era stato nella Pianura Padana a partire dal 9 aprile 1796. Con una serie di brucianti vittorie militari aveva occupato il Regno di Sardegna, la Lombardia e i territori settentrionali dello Stato Pontificio. Alcuni di essi – le Legazioni di Bologna, Ferrara, Romagna e Ancona – entrarono a far parte della neonata Repubblica Cispadana, con capitale Bologna.
Grazie alla conquista, Napoleone ottenne dagli Stati preunitari una cospicua indennità di guerra. Il Papa Pio VII Chiaramonti (1800-1823) dovette rinunciare alla città di Avignone in Francia e al circostante Contado Venassino. Inoltre, in forza del trattato di Tolentino, il Papa dovette cedere alla Francia numerose opere d'arte che vennero portate a Parigi. Funzionari francesi entrarono in edifici pubblici, privati e religiosi a Roma e nella Cispadania per confiscare capolavori d’arte antica, medievale e moderna.
A Parigi affluirono così opere di ineguagliabile valore come il busto in bronzo di Giunio Bruto, la testa marmorea di Marco Bruto e le statue conservate nei giardini del Belvedere in Vaticano tra cui il Laocoonte. Tuttavia, oltre che in Italia, anche in Francia studiosi misero in dubbio la sensatezza – e la legittimità – di queste spoliazioni. Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy – nel 1796 nelle Lettres à Miranda – scrisse che un’opera d'arte è inestricabilmente collegata al luogo in cui è stata realizzata. Sradicando le opere antiche e rinascimentali dai contesti in cui erano state ambientate dagli artisti se ne sarebbe compromesso irrimediabilmente il significato.
La vicenda sette-ottocentesca riveste oggi un rilievo duplice: di ambito storico e di profilo artistico-culturale. Il primo aspetto riguarda la Francia uscita dalla sanguinosa rivoluzione antiborbonica del 1789 e pervenuta al Primo Impero con Napoleone Bonaparte. Le opere d’arte italiane furono infatti inviate a Parigi per essere esposte nel nascente Museo del Louvre che aspirava a divenire un “Museo Universale” della storia e della cultura umane: dall’Egitto a Roma, dal Medioevo al Rinascimento all’età rivoluzionaria. L’idea di un museo della storia dell’umanità e dei suoi costumi e civiltà risentiva della concezione enciclopedica e astrattiva degli Illuministi, come pure delle ambizioni imperialistiche della Francia. In questo quadro, i capolavori italiani furono posti al centro del progetto culturale di un «museo universale della libertà».
Il secondo aspetto – che riguardò l’Italia del primo ‘800 al rientro delle opere esodate – fu il determinarsi di un nesso culturale di ordine generale fra la cultura classica e neoclassica e la nazione italiana: politicamente divisa ma culturalmente unitaria. Si predispose, a Roma come in altre città, un piano di destinazione delle opere d'arte che erano state sottratte a chiese e conventi e che – a seguito della soppressione degli ordini religiosi intervenuta nel Decennio francese – dovevano trovare nuova collocazione.
Da un lato, quindi, vi fu la fortuna del Museo del Louvre in quanto “museo universale” – sede espositiva di opere decontestualizzate topologicamente e etnicamente, ma ricontestualizzate con metodo storico e estetico –, museo che conobbe un enorme sviluppo grazie ai reperti provenienti da mezzo mondo e ai capolavori rimasti in Francia. Dall’altro lato vi fu, in Italia, la demanializzazione di una gran quantità di opere d'arte accumulate in depositi improvvisati.
Tanta arte in movimento alimentò un vivace dibattito sul valore “pubblico” del patrimonio artistico italiano – dall’antica Roma, all’arte medievale, ai geni del Rinascimento – dibattito che determinò, oltre all’ampliamento delle Gallerie Vaticane, l'apertura di musei come la Pinacoteca di Brera, le Gallerie dell'Accademia di Venezia o la Pinacoteca di Bologna.
Fu all'interno di questi musei che venne ripensata l'esperienza del Louvre e si procedette alla rivisitazione della storia delle opere d’arte «italiane» con avanzamenti significativi sul piano critico. Si giunse all’ideazione di metodologie conservative e di soluzioni espositive tese alla valorizzazione del patrimonio culturale in quanto patrimonio insieme “locale” e “nazionale”. Il legame dell’Italia – divisa allora in dieci stati preunitari – con l’arte antica di Roma, poi con le evoluzioni cristiane e medievali e con gli artisti prima “primitivi” e poi rinascimentali, sembrò illuminare quel nesso fra classicismo e “identità italiana” che sarebbe stato alla base del Risorgimento.
La mostra delle Scuderie del Quirinale sottolinea anche il fondamentale apporto di Antonio Canova (1757-1822), eccelso scultore oltre che grande promotore della riscoperta della “classicità”, alle trattative per la restituzione, in particolare, dei beni pontifici. Lo scultore veneto, tenuto in grande considerazione per il suo immenso talento presso tutte le nazioni europee, fu nominato da Pio VII commissario straordinario per il recupero delle opere d’arte: la sua missione si concluse con un grande successo. Alle Scuderie si ammira il calco in gesso della sua “Venere Italica” (1809-1811), scultura commissionatagli da Ludovico I di Borbone Parma re d'Etruria per sostituire la “Venere dei Medici” (I sec. a.C.), che era stata portata da Napoleone al Louvre e che sarebbe tornata a Firenze solo nel 1815.
La mostra alle Scuderie del Quirinale genera il ricordo di un’altra infausta epoca di spoliazione imperialistica del patrimonio d’arte di cui è custode l’Italia. Mi riferisco al vero e proprio saccheggio perpetrato da Hermann Göring nella seconda metà degli anni ’30 del Novecento quando – auspice il Fascismo – furono carpite dai nazisti circa 3mila opere d’arte per il progettato “Museo Hitler” di Linz: evento rievocato nel 2014 da Luca Scarlini nel saggio: Rodolfo Siviero contro Hitler. La battaglia per l’Arte.
Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova, oltre a raccogliere per i visitatori opere meravigliose, ma disparate e diverse, consente di ripercorrere le tappe di una complessa vicenda storica e di sensibilizzare il pubblico sul valore che assunse – nel 1816 per la prima volta – il patrimonio culturale italiano: visto come strumento di educazione del cittadino. Per i suoi «giacimenti culturali», l’Italia si pose allora come la terra sorgiva – oltre che di una composta civiltà nazionale – anche di una comune identità europea. Il rapporto originario dell’Italia con le radici della storia d’Europa, avrebbe motivato - oltre alle smanie predatrici delle grandi Potenze - la virtuosa curiosità estetica e intellettuale dei viaggiatori del “Grand Tour”.