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Scuderie del Quirinale. Il Superbarocco da Rubens a Magnasco
Alle Scuderie del Quirinale fino al prossimo 3 luglio sarà possibile visitare la mostra “Superbarocco. Arte a Genova da Rubens a Magnasco”, una rassegna curata da Piero Boccardo, già direttore del genovese Palazzo Rosso e fra i massimi esperti mondiali della materia, Jonathan Bober, Curator and Head of the Department of Old Master PrintsNational Gallery of Art, Washington, e Franco Boggero funzionario della Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici della Liguria.
La mostra avrebbe dovuto iniziare alla National Gallery of Art di Washington ma è stata annullata per l’aggravarsi della pandemia nell’autunno scorso. Nonostante questo, nell’ambito di una straordinaria occasione di collaborazione fra due grandi istituzioni, la National Gallery ha mantenuto il suo ruolo di co-organizzatore della mostra, che ora si svolge alle Scuderie del Quirinale. La Città di Genova ha partecipato al progetto della rassegna, non solo per i numerosi e prestigiosi prestiti, ma anche con la mostra “La Forma della Meraviglia. Capolavori a Genova tra il 1600 e 1750” a Palazzo Ducale che terminerà il 10 luglio. Nella città si svolgono anche una serie di iniziative con il titolo “I Protagonisti”, che focalizzano con un taglio monografico l’attenzione su singole personalità artistiche e sono allestite, contemporaneamente alla mostra di Palazzo Ducale in diversi musei e palazzi cittadini.
I tre curatori dell’esposizione, Piero Boccardo, Jonathan Bober e Franco Boggero, lo sono anche del catalogo, edito da Skira, ricco di immagini a colori e di grande interesse per i saggi, che affrontano diversi aspetti storici e artistici del periodo preso in esame dalla mostra. Nel catalogo vengono spiegate le peculiarità del barocco genovese, conseguenti alla storia della “Superba”, appellativo che le diede Francesco Petrarca in una sua relazione di viaggio del 1358:
“Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, “superba” per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”.
Genova da potente Repubblica marinara medioevale, in seguito al progressivo spostamento dei traffici dal Mediterraneo agli oceani e per la concorrenza insostenibile con gli stati, che dominavano le colonie d’oltremare e quegli oceani, si era gradualmente trasformata in una capitale finanziaria che, grazie ad Andrea Doria, aveva creato un legame privilegiato con la Spagna di Carlo V. Legame che continuò e tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Settecento Genova divenne una delle grandi capitali finanziarie d’Europa. Questa premessa storica è indispensabile, non solo per spiegare la straordinaria potenza economica e la notevole ricchezza delle famiglie nobili, ma anche la loro visione come committenti. I vari splendidi oggetti d’argento in mostra sono la testimonianza dell’enorme afflusso a Genova del prezioso metallo, che proveniva dai domini americani della Spagna e con cui saldava i debiti ai Genovesi, che avevano anticipato con le loro risorse finanziare i capitali necessari allo stato spagnolo. Per chi volesse approfondire il saggio di Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II edito da Einaudi, chiarisce esaurientemente i rapporti finanziari tra Genova e la Corona spagnola.
Una delle caratteristiche dell’arte genovese è stata, come sottolineano i curatori, di non avere dato vita ad una scuola nelle arti figurative, ma di averne accolte diverse contemporaneamente. I gusti dei committenti, che seguivano le diverse tendenze di moda provenienti dai centri di diffusione delle diverse scuole, condizionarono anche l’attività degli artisti genovesi, così che stili e scuole diverse convissero. Bisogna anche sottolineare che le idee che guidavano la committenza genovese sono straordinariamente vicine a quelle di molti collezionisti contemporanei: l’opera d’arte era intesa soprattutto come investimento finanziario, quindi chiamarono gli artisti più in voga e comprarono le loro opere. A questo si aggiunge che la committenza fu esclusivamente privata e volta ad ornare magnificamente i palazzi di proprietà, incrementando le collezioni in essi contenute e le chiese e le cappelle legate alle famiglie nobili. Di conseguenza a Genova non furono eretti palazzi di rappresentanza e per questa ragione fu creato il registro dei Rolli ovvero dei palazzi che, selezionati in base alla opulenza della dimora, in occasione della visita di sovrani, ambascerie e personaggi illustri, venivano estratti a sorte per ospitare gli eminenti ospiti con i loro seguiti, un onere finanziario non indifferente. Per questo è così importante e affascinante visitarli oggi per ammirarne la magnificenza e gli inamovibili sontuosi affreschi.
Il periodo di un secolo e mezzo, che fu il più splendido, è oggetto dell’esposizione, tra i maestri forestieri, che influenzarono il gusto della committenza genovese, furono determinanti Pieter Paul Rubens (1577-1640), Antoon van Dyck (1599-1641) e la colonia degli altri fiamminghi, il milanese Giulio Cesare Procaccini, lo scultore francese Pierre Puget. Nonostante queste premesse alcuni artisti genovesi riuscirono a sviluppare il loro talento compatibilmente con le esigenze dei committenti e alcuni come Giovanni Battista Gaulli (1639-1709) detto il Baciccia riuscirono anche a lasciare la città e a trasferirsi con successo all’estero, in questo caso a Roma. Tra quelli che lavorarono anche in altre città ricordiamo i più noti: il pittore Bernardo Strozzi e lo scultore Filippo Parodi a Venezia, Giovanni Benedetto Castiglione a Roma e Alessandro Magnasco a Milano.
Venendo alla mostra è articolata per temi si inizia con una sezione che con le opere esposte evidenzia l’importanza dell’arrivo a Genova degli straordinari artisti che hanno influenzato gli artisti locali a cominciare Rubens, che esercitò una grande influenza più per gli aspetti tecnici, della sontuosità nell’uso dei colori e della luce nel delineare personaggi e paesaggi, che per la forza espressiva. In esposizione c’è il dipinto Miracoli del beato Ignazio di Loyola proveniente dalla chiesa dei Santi Ambrogio e Andrea e il ritratto di Giovan Carlo Doria, che fu un importante committente di vari artisti e un notevole collezionista. La ritrattistica ha un peso notevole per celebrare il prestigio dei membri di una casata e questo spiega il grande successo riscosso da Antoon van Dyck, di cui sono in mostra alcuni strabilianti ritratti. Rubens lo considerò il suo migliore allievo, la formidabile padronanza tecnica spicca nella sontuosità delle vesti esaltata dall’uso superbo della tavolozza cromatica che spicca nella sfarzosa veste rossa di Agostino Pallavicino, ambasciatore al Pontefice. Nel ritratto di Elena Grimaldi lo schiavo africano che regge il parasole introduce un dettaglio di una scena di genere, come anche il gesto civettuolo della mano, che alza la sopravveste nera per far vedere la sottostante sfarzosa veste intessuta con filo d’oro. La Lapidazione di Santo Stefano di Van Dyck in mostra è un esempio di pittura religiosa su modello tizianesco, splendida per composizione e colori, ma senza quella religiosità del grande Vecellio.
Tra gli altri arrivi emerge quello di Giulio Cerare Procaccini (1574-1625), nato a Bologna ma vissuto e attivo a Milano, fu un notevole esponente della scuola milanese e lavorò per Genova tra il 1611 e il 1622 nel periodo che intercorre tra i soggiorni di Rubens e l’arrivo di Van Dyck. La sua Estasi della Maddalena colpisce per la morbidezza della pennellata, per il lirismo e per gli splendidi colori, non gli è da meno il Sacrificio di Isacco di Orazio Gentileschi, il luminismo caravaggesco è declinato per esaltare il disegno e i sontuosi colori della sua tavolozza. L’intenso San Sebastiano curato da Sant’Irene e un’ancella di Simon Vouet (1590-1649) riflette le esperienze del periodo romano in cui l’artista fu attratto dal Caravaggio e dal Reni. Jonathan Bober rileva che: “L’assenza di un’autorità estetica riconosciuta generò anche alcune caratteristiche riscontrabili all’interno delle varie declinazioni individuali. Le modalità della formazione artistica in uso a Genova determinarono una maggiore continuità nell’ambito di ogni stile. Una manifestazione evidente di questa situazione è il numero di cognomi ricorrenti in questo periodo: Castello, De Ferrari, Carlone, Piola, Parodi, Magnasco. I singoli artisti di ogni famiglia sono di analoga levatura e i modi sono spesso così simili che non è facile distinguerli nei passaggi generazionali. Il naturalismo, sia nella rappresentazione sia nei soggetti, e un certo “manierismo” evidente nella stravagante stilizzazione e nell’intensità espressiva erano sempre le correnti fondamentali, di solito in contrapposizione tra loro e indifferenti alle tendenze esterne”.
In mostra si comincia da Bernardo Strozzi (1581-1644) la sua Madonna col Bambino e san Giovannino è un’opera caratterizzata dal prezioso manierismo, mentre la cesta di frutta e quella contenente biancheria sono esempi di pittura di genere, a cui appartiene anche il dipinto La cuoca, che ha palesi ascendenze fiamminghe. La brillante tavolozza cromatica caratterizza il manierismo teatrale del dipinto di Gioacchino Assereto (1600-1650) Alessandro e Diogene e l’olio Esther e Assuero di Giovan Andrea Ansaldo (1584-1638). L’Adorazione dei pastori di Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (1609 -1664) proveniente della chiesa di San Luca, gentilizia degli Spinola è un saggio di bravura tecnica e di rielaborazione di influssi pittura di genere, manierismo e realismo. Diversamente la Morte di Catone Uticense di Gioacchino Assereto (1600-1650) mostra influssi dei caravaggeschi fiamminghi per la luce e il realismo come anche l’Ecce Homo di Orazio De Ferrari (1606-1657). Valerio Castello (1624-1659) figlio Bernardo, celebre per aver illustrato La Gerusalemme liberata del Tasso, fu influenzato dalle opere di Procaccini e Rubens, in Diana e Atteone con Pan e Siringa e nel Ratto di Proserpina è manifesto l’influsso del sommo fiammingo.
Al piano superiore sono in mostra sfarzosi oggetti di arredamento come i preziosi orologi e i disegni e i bozzetti preparatori dei grandi affreschi di diversi artisti realizzati per decorare chiese e palazzi, tra cui Il massacro dei Giustiniani di Chio di Francesco Solimena (1647-1757), bozzetto preparatorio di una grande tela destinata a occupare la volta del salone del Minor Consiglio in Palazzo Ducale di Genova, distrutta durante un incendio nel 1777. L’illuminazione è buona per apprezzare dipinti e statue ma quella scelta per i disegni, per i bozzetti non li mette bene in luce e le indicazioni scritte sono scarsamente leggibili. Le statue sono dislocate lungo il percorso dell’esposizione, ma poste maggiormente al secondo piano dove spiccano i busti bronzei di San Giovanni evangelista e di Santa Maria di Cleofa di Alessandro Algardi (1595-1654) e il marmoreo Ratto di Elena di Pierre Pujet (1620-1694) e aiuti. Di grande fascino sono i dipinti di Alessandro Magnasco (1667-1749), che concludono l’esposizione, per la composizione, le atmosfere cromatiche e la rapida pennellata con cui descrive i soggetti paganeggianti come il Baccanale, o quelli di confraternite religiose come lo Scaldatoio dei Cappuccini, i due Paesaggi gemelli con i Cappuccini e i Domenicani in meditazione e il Sant’Agostino e il bimbo.