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Šostakovič e Mahler a Monaco. Tra guerra e fratellanza universale
Il 12 maggio 2023 i Münchner Philharmoniker, diretti da Tugan Sokhiev, nella nuova sede della Isarphilharmonie, hanno dato vita a un concerto incentrato su due capolavori "tonali" della prima metà del Novecento, ossia la Sinfonia n. 9 op. 70 di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič e Das Lied von der Erde di Gustav Mahler, composizione a metà tra il sinfonico e il cameristico-corale.
Per i musicisti classici di quell'epoca dire "La Nona" significava rievocare la celebre sinfonia di Ludwig van Beethoven, ossia una sinfonia che alludeva alla fratellanza universale, l'inno della pace nel mondo, la lode e la gloria per il "caro padre sopra le stelle" (liebe Vater überm Sternenzelt, Schiller). Ma per paradosso, la Nona di Šostakovič finì per celebrare niente meno che Iosif Vissarionovič Džugašvili, detto Stalin, soprattutto alla fine trionfale della cosiddetta Grande Guerra Patriottica, come spesso i sovietici chiamavano la Seconda Guerra Mondiale. O almeno così la pensava il dittatore stesso. Già prima della capitolazione tedesca, Šostakovič aveva accennato, con noncuranza, al progetto di una sinfonia della vittoria per grande orchestra, coro e solisti, e un servizio dell'agenzia di stampa russa TASS nell'estate del 1945 aveva trasformato la voce in certezza; almeno così sembrava. Tuttavia, quando il compositore e il pianista Svjatoslav Richter eseguirono una versione per pianoforte di questa Nona Sinfonia a Mosca in ottobre, al Comitato per gli Affari Artistici di Mosca, i volti degli artisti e dei critici presenti si oscurarono.
La première ebbe luogo a Leningrado (l'odierna San Pietroburgo) il 3 novembre del 1945, con la direzione di Yevgeny Mravinsky, ma si trasformò in uno scandalo. Invece dell'atteso inno eroico - in mi bemolle maggiore, tra tutte le tonalità, quella dell'Eroica - si avvertì quasi una derisione canzonatoria di tutto ciò che era eroico e un'ironia troppo scontata sul militarismo e l'esercito. L’atmosfera minacciosa del "Moderato" (secondo tempo), l’ampia e libera declamazione del fagotto solista nel “Largo” suonarono stranianti per l'uditorio sovietico dell'epoca. il finale risuonò ancora più sconcertante: non c'è traccia di un'apoteosi, anzi, al contrario, si nota una maliziosa variazione, con un procedimento che richiama certe partiture di Franz Liszt (“per aspera ad astra"): l'equilibrio tonale viene turbato e la sinfonia risulta abissalmente pessimista.
Così commentò la rivista di regime Sovietskaya musyka: "Su chi contava Šostakovič, quando ha ritratto lo spericolato yankee nella sua Nona Sinfonia, invece dell'immagine dell'uomo sovietico vittorioso?"
L'interpretazione di Sokhiev è stata notevole soprattutto nel primo movimento, nella tonalità di mi bemolle maggiore, che offre due possibilità di interpretazione. Da un lato, il mi bemolle maggiore può essere un'allusione al culto della personalità di Stalin dopo la vittoria dell'Armata Rossa, grazie allo sfondo storico di Beethoven e ai riferimenti a Napoleone; dall'altro, questo movimento manca di mezzo tono la tonalità della Nona Sinfonia di Beethoven, in re minore, e quindi porta all'assurdo le richieste fatte alla sinfonia dalla leadership sovietica. Il primo movimento è apparentemente privo di fantasia. Domina infatti una struttura dialogica caratterizzata dalla dialettica tra archi e flauti. Caratteristici sono i risoluti salti di quarta, che anticipano l'eroismo grottesco di una musica quasi da circo, ma ricordano anche la Sinfonia "Leningrado", in cui questi salti di quarta sono simbolo di violenza. Peraltro, il compositore russo cita qui la canzone Lob des hohen Verstandes da Des Knaben Wunderhorn di Gustav Mahler, in cui l'asino decide che il cuculo canta meglio dell'usignolo. E l'asino viene dipinto come "il più saggio dei saggi", ossia con lo stesso appellativo con cui venne descritto Stalin, in quanto grande vincitore dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
La seconda parte del concerto è stata dedicata a Das Lied von der Erde, quasi il testamento spirituale di Gustav Mahler, composto tra il 1908 e il 1909, e che ebbe la première proprio alla Tonhalle di Monaco di Baviera, il 20 novembre 1911 con la direzione di Bruno Walter.
Gustav Mahler era un uomo superstizioso. Quando guardava al grande passato storico-musicale, all'opera di Beethoven, Brahms e Bruckner, di Schubert, Schumann o Mendelssohn giunse alla conclusione che nessun grande sinfonista avesse mai creato più di nove contributi al genere sinfonico (con l'eccezione di Haydn e Mozart). Infatti, dopo aver composto la sua "Ottava" sinfonia, nel 1906/07, la possente "Sinfonia dei mille", dovette temere che il suo successivo lavoro sinfonico sarebbe stato anche il suo canto del cigno.
il suo canto del cigno. Ma naturalmente voleva evitare che ciò accadesse. Così Mahler attinse al suo bagaglio di trucchi e chiamò la sua ultima opera "Das Lied von der Erde" e in seguito aggiunse solo il sottotitolo senza numero: "Sinfonia per tenore e voce di contralto (o baritono) e orchestra”.
Quando nel 1909 affrontò effettivamente la la sua "Nona", pensava già di essere al sicuro, perché era in realtà la sua "Decima". Ma il destino non si lasciò ingannare così facilmente: anche Mahler non riuscì ad andare oltre il numero nove ufficiale. Morì nel maggio del 1911, all'età di soli cinquant’anni, lasciando la sua
"Decima" in uno stato frammentario. Ecco perché Arnold Schönberg, in un discorso commemorativo, ebbe a dire: "Sembra quasi che il numero nove costituisca un limite. Chi vuole andare oltre, deve andare nell'aldilà. Sembra che nella Decima sia contenuto qualcosa che non siamo ancora tenuti a sapere, per il quale non siamo ancora preparati”.
L’orchestra ha mirabilmente accompagnato il mezzosoprano Ekaterina Gubanova e il tenore Andreas Schager, che hanno ottimamente riprodotto la partitura (ci hanno ricordato un'analoga performance di dodici anni fa a Roma, quando l’Orchestra di Santa Cecilia, diretta da Antonio Pappano, si cimentò con la stessa opera, dove i primi violini e le due arpe avevano accompagnato il contralto Anna Larsson e il tenore Ian Bostridge, fino a conferire alla composizione mahleriana una Stimmung piuttosto operistica che liederistica).
In effetti, si tratta di una composizione per voci soliste e orchestra che però sembra piuttosto una sinfonia che un semplice ciclo di Lieder (non si dimentichi peraltro che Mahler aveva già introdotto parti cantate nella Seconda, Terza, Quarta e Ottava sinfonia): e non a caso il sottotitolo suona Eine Symphonie für eine Tenor- und eine Alt- (oder Bariton-) Stimme und Orchester (Una sinfonia per voce di tenore e di contralto [o baritono] e orchestra).
Il testo è tratto dalla raccolta Die chinesische Flöte (Il flauto cinese) di Hans Bethge, pubblicata nell'autunno del 1907, una meditazione sul destino dell’uomo sulla terra che traduce in termini occidentalizzanti la poesia della tradizione cinese, al punto che, come ha scritto Theodor Wiesengrund Adorno, le fanciulle cinesi che colgono i fiori in quest'opera di Mahler coincidono idealmente con le jeunes filles en fleurs nella Recherche du temps perdu di Marcel Proust.
Mahler cominciò la composizione di Das Lied von der Erde a Schluderbach, in Sudtirolo, afflitto da una cardiopatia valvolare e quasi presago della morte, che comunque non temeva. Fu l’angoscia esistenziale a farlo accostare alla raccolta poetica di Hans Bethge, nella quale una visione disillusa della vita è contrapposta alla bellezza della natura (in termini che Hegel, come ha ben sottolineato Remo Bodei, non avrebbe condiviso, disdegnando egli la cosiddetta “tenerezza per le cose del mondo”).
La musica di Mahler si combina perfettamente con questi componimenti, che associano l’esotismo cinesizzante a un tono malinconico anche qui tipico della fin de siècle. Addirittura Mahler aggiunge alcuni suoi versi alla poesia “Der Abschied” (Il commiato): "die müden Menschen geh' n heimwärts, um im Schlaf vergess' nes Glück/und Jugend neu zu lernen!" (Gli uomini stanchi tornano verso casa,/per imparare di nuovo/la felicità della giovinezza dimenticata nel sonno!).
Ascoltando anche questa volta l’opera di Mahler, ci rendiamo conto di quanto sia difficile stabilire una linea di demarcazione tra i generi: occorre dimenticare che si tratta quasi di un ciclo di Lieder, per ascoltarla quasi come se fosse una sinfonia in sei tempi.
Già nel primo movimento, “Das Trinklied vom Jammer der Erde”, ci accorgiamo del fatto che i cantanti solisti sembrano in qualche modo riprodurre le timbriche orchestrali. Viceversa, strumenti come gli oboi, appaiono svolgere un ruolo simile a quello delle voci umane.
Così, nel secondo e nel quinto movimento (“Der Einsame im Herbst” e “Der Trunkene im Frühling”) sembra di ascoltare un Lento e uno Scherzo di intonazione sarcastica. Ma è l’ultimo, sublime movimento, “Der Abschied”, a ricordare più da presso il tempo di una sinfonia. Anche il passaggio della tonalità da do minore a do maggiore sembra preludere a una sorta di apoteosi finale.
In realtà, a differenza che nel grandioso finale dell’VIII Sinfonia, qui Mahler sembra non voler riprodurre il respiro dell’intero universo, bensì solo la desolata condizione dell’uomo nella sua "gettatezza" (Geworfenheit, per usare un termine heideggeriano) sul mondo terreno.
Usando la tecnica del Doppelschlag (o gruppetto), Mahler riesce a fondere i suoni della natura con i più profondi sentimenti umani, in modo che, come sottolinea Adorno, “le più semplici soluzioni sono nel Lied von der Erde a tal punto sature di contenuto come le parole quotidiane di una persona che invecchia piena di esperienza”.