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Spazi aperti all'Accademia di Romania Il dinamismo dell'io con il tu
Un viaggio nell’Accademia di Romania di Roma per Spazi Aperti dall’8 al 21 giugno 2011, tra performances, installazioni video, ma anche la forma pittorica o scultorea più d’antan nel suo olio su tela, che però mostra i segni della discrepanza tra dentro e fuori: in questo caso gli alternanti io (l’autore) e tu (lo spettatore) dell’Esperienza estetica.
La curatela è di Luisa Conte, l’assemblage artistico indirizzato all’Esperienza estetica, secondo la concezione di Vezio Ruggieri, Professore di Psicofisiologia Clinica all’Università La Sapienza di Roma, che sulle dinamiche spettatore/oggetto artistico, ha scritto il libro Fondamenti psicofisiologici per un’educazione estetica.
Notabile tra gli altri, oltre all’occhio che si apre ed interagisce con lo spettatore tramite i colpi dati ad un microfono, OneEyed il titolo dell’opera di Alessandro di Gregorio, il doppio video di Maria Diekmann, The Listener, che comporta due tempi: il primo è dedicato alla violinista, che nella sala barocca del castello di Charlottesburg a Copenhagen esegue la sonata per violino in sol minore di Bach; il secondo riguarda un’anonima ascoltatrice in abiti gialli e barocchi che, a musica conclusa (il primo video è finito), sembra ascoltare in un secondo tempo ciò che noi abbiamo appena ascoltato nel primo.
Nella stanza accanto, ancora sulla stessa linea di interazione, una piccola provocazione, quella di Ursula Nistrup, che chiede all’anonimo spettatore di coadiuvarla nel ritrovamento di un brano di Brahms per archi stampato su poster A3 e di una registrazione contemporanea di brani differenti al Conservatorio di Parigi nel 2009, durante una prova di vari musicisti, in cui nessuno di loro sapeva cosa stava suonando l’altro, mentre qui vengono fusi.
Le due opere pittoriche inquietanti e considerevoli sono i due dipinti su tela (olio) di Bianca Balog, Urban Landscape I 2011 e di Robert Fekete, untitled 2010. Il dipinto di Bianca Balog è impressionante come veicoli il senso di angoscia irreversibile nella donna, attorniata da un cane in primo piano e da una figura di uomo basso dietro l’angolo del muro, probabilmente inseguita da lui, mentre, ancora in primo piano, si staglia la luce di un improbabile candela accesa, unica luce.
L’opera di Robert Fekete è ancora più inquietante, essendo misterica: due bambini il cui volto è rovinato da tracce pesanti di colore, sono di fronte a ciò che sembra un paesaggio naturale ed invece è un poster. Simili nell’essere abbottonati fino al collo con felpe e maglioni di tinte cupe o senza vita (un giallo ocra ed un verde del tutto smorti), hanno di fronte due robot anni ’80, l’uno più piccolo, l’altro più grande, commisurati alla loro età. Completano la pittura una lastra di marmo (nel poster) ed un sole a mezzaluna che illumina la scena, accentuandone l’intensa cupezza intrinseca.
Sorin Scurtulescu invece si dedica all’olio su tela più tradizionale, figurativo ma con spesse passate di colore da osservare a debita distanza per notarne meglio le forme monumentali, come quelle più rappresentate di Castel Sant’Angelo. Borsista in pittura fino al 2012, si constata come il titolo del suo progetto, Strutturazione dello spazio: i “corpi scorticati”, siano ben rappresentati densamente sulle sue tele., non soltanto come corpi umani, piuttosto come scorticamento della tela in modo da inciderla nella sua rilevanza cromatica.
Davanti alle tele per il percorso “santo” vi sono posizionati i piedi degli Apostoli di Marius Purice, che sembrano indicare appunto il sentiero sacrale verso il Castello sul cui ponte omonimo sono situate le statue degli apostoli a formare due metaforiche ali per chi vi si avvicina. L’altro versante della sua ricerca è costituita da manichini donna di svariate taglie e forme: da quelle rubensiane alle anoressiche e militaresche silhouettes, corpi senza testa che veicolano stimoli dal carnale fino alla pietas ed alla dolcezza invereconda della nuda tenerezza dei sensi.
Tero Puha colpisce invece per il crudele sguardo sui sentimenti ridotti effettivamente a “scatola”, come faceva Warhol riproducendo i grandi marchi americani di pomodori in scatola come di piselli o di carne, allo stesso modo delle icone del cinema. Puha riproduce sulle scatole di alluminio i nomi sia di pulsioni (ira per esempio) sia di passioni, corredandoli da un macabro legame con l’oggetto di consumo/contenitore (e perdita, perché si getta via dopo averla svuotata) che le scatole (ma anche altri oggetti), rivelano con inusitata forza.