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Teatro Comunale di Bologna. La trascinante Luisa Miller di Kunde e Papatanasiu
Al Teatro Comunale di Bologna, è andata in scena la Luisa Miller di Giuseppe Verdi, un’opera che non viene proposta abitualmente, e ha riscosso un infuocato successo di pubblico, determinante la direzione di Daniel Oren e un cast di notevole spessore con Myrtò Papatanasiu, nel ruolo del titolo, Gregory Kunde, come Rodolfo, Franco Vassallo, nel ruolo Miller, Marko Mimica, nei panni del Conte di Walter e Martina Belli in quelli di Federica. La regia, scene, costumi e luce sono state affidate a Mario Nanni, in arte marionanni; l’articolo si riferisce alla recita del 5 giugno scorso.
Verdi definì “anni di galera” il periodo che precede la cosiddetta Trilogia popolare (Rigoletto, Il trovatore, La Traviata) considerata una svolta nella produzione verdiana, ma il cambiamento ebbe inizio con Luisa Miller, per il progressivo affinamento della concezione drammaturgica e musicale, maturata dall’esperienza delle opere precedenti e dal maggior tempo a sua disposizione. Infatti passò un tempo inusuale tra l’andata in scena de La battaglia di Legnano, il 27 gennaio 1949 a Roma, nel clima infuocato che precedette la proclamazione della Repubblica romana, e quella a Napoli di Luisa Miller l’8 dicembre 1949. Un artista di genio riesce a trarre da circostanze sfavorevoli esiti di grande livello artistico, così fu per Verdi che, obbligato a rispettare il contratto con il Teatro San Carlo di Napoli e ad evitare qualunque argomento potesse insospettire la censura napoletana, in un contesto politico in cui tutti moti risorgimentali del 1848 e del 1849 erano falliti, scelse di mettere in musica Kabale und Liebe (Intrigo e amore) di Friedrich Schiller.
Si deve ricordare anche l'interesse del musicista per la produzione teatrale a lui contemporanea e che buona parte dei testi utilizzati nei libretti già messi in musica da Verdi sono di autori o a lui coevi, come Victor Hugo (Ernani) e Byron (I due Foscari, Il Corsaro), o di poco anteriori come Friederich Schiller (Giovanna D’Arco, I Masnadieri). Il testo di Schiller denunciava il dispotismo dei principi tedeschi di cui divengono vittima i due giovani, che provengono da ambienti sociali molto diversi, Verdi semplificò lo sfondo sociale per concentrare la sua attenzione sui rapporti familiari, quello tra padre, il conte Walter, e figlio, Rodolfo e quello tra Miller e sua figlia Luisa, un tema caro al compositore che avrà successivi approfondimenti nelle opere seguenti.
La sua scelta di delineare, non più personaggi storici o figure bibliche e scene grandiose ed eroiche bensì persone di un ambiente borghese, lo portò ad affinare l’analisi psicologica delle motivazioni e dei sentimenti dei personaggi. Fu una scelta che proseguì con Stiffelio (1850), dramma ambientato ad inizio ottocento in cui il protagonista è un pastore protestante che scopre il tradimento della moglie, opera che ebbe problemi con la censura e non incontrò il favore del pubblico, e continuò poi con La traviata, in cui l’ambiente è a lui contemporaneo e la protagonista è una prostituta di lusso, oggi si direbbe una escort. Questo per il Verdi drammaturgo che, come affermava Silvio D’amico fondatore dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, è il grande drammaturgo italiano dell’ottocento.
Le scelte drammaturgiche si riflettono in una scrittura musicale raffinata nell’armonia e nel contrappunto fin dalla Ouverture, che è diversa dalle precedenti, il tema inquietante e angoscioso esposto dal clarinetto dà quell’atmosfera che nella concezione verdiana è la “tinta” che connota l’opera e che riappare variato all’inizio del terzo atto e annuncia la morte dei due giovani innamorati. È un opera sperimentale in cui convivono reminiscenze rossiniane e donizettiane, un esempio nella prima scena con il coro Ti desta, Luisa, nell'aria di sortita di Luisa e nel terzetto successivo, ma poi emergono forme, un esempio sono i dialoghi tra i personaggi, che si rinvengono nelle opere successive della Trilogia popolare.
Per quel che riguarda la parte visiva Mario Nanni, in arte marionanni, ha voluto realizzare una messa in scena essenziale con scenografie di luce e pochi essenziali elementi scenici, una luce che definisce pittorica e metafisica come guida all’ascolto. Queste le intenzioni, ma non sempre la simbologia è chiara, la scena più riuscita ci è sembrata l’ultima in cui la diminuzione della fonte di luce allude allo spegnersi della vita dei due giovani. Quello che è mancato è la regia, non basta il canto come sostiene marionanni, quindi i cantanti si sono regolati in base alla loro esperienza, ma il coro era schierato e immobile.
La direzione di Daniel Oren è stata magnifica ed è stata lungamente acclamata dal pubblico presente. L’appassionata e trascinante direzione del Maestro ha dato respiro alla frase musicale esaltandone la cantabilità, e messo in luce tutte le sfumature ritmiche, agogiche e melodiche che descrivono i diversi rapporti sentimentali o conflittuali tra i personaggi e le loro motivazioni angosciose e tormentate. Daniel Oren ha sempre avuto una particolare sensibilità e inclinazione per le opere di Verdi, ricordiamo la memorabile esecuzione de I due Foscari con Bruson e Bergonzi che inaugurarono nel 1980 la stagione del Teatro dell’Opera di Roma. Nei suoi intenti si è giovato della solida perizia dell’Orchestra del Teatro Comunale, encomiabili le prime parti, in particolare il clarinetto che interviene nei momenti topici dell’opera, eccellente la prestazione del coro ottimamente preparato da Gea Garatti Ansini.
Myrtò Papatanasiu ha reso con notevole efficacia le varie sfaccettature psicologiche e drammatiche della protagonista, la parte richiede sia una grande padronanza tecnica che espressività negli accenti, in alcuni casi non è parsa completamente a suo agio, ma la sua interpretazione ha convinto ed è stata calorosamente applaudita.
Gregory Kunde, è uno straordinario artista giunto al quarantaquattresimo anno di carriera, “un fenomeno” l’ha definito Daniel Oren, una constatazione che descrive una voce calda e luminosa utilizzata con magistrale perizia, è elegante e raffinato nel fraseggio e nel legato, essendosi perfettamente impadronito di quell’ardua disciplina che è il Belcanto. A questo si aggiunge l’eccelsa bravura espressiva nella resa psicologica dell'impeto giovanile del personaggio. Un esempio è stata la grande scena Rodolfo nel secondo atto, il disperato recitativo, il mirabile cantabile Quando le sere al placido e la cabaletta L’ara, o l’avello apprestami conclusa con formidabile acuto, il tutto accolto dall’acclamazione a scena aperta del folto pubblico presente.
Franco Vassallo è stato un ideale Miller, unisce una eccellente tecnica vocale a una grande e intensa forza espressiva, che rende così drammaticamente incisivi i recitativi, la sua calda e potente voce baritonale si dispiega con grande bravura nel canto e passa abilmente dalla dolcezza paterna all’irata reazione della dignità offesa. Vassallo molto amato dal pubblico è stato lungamente e vivacemente acclamato al termine dello spettacolo.
Il ruolo de iI conte di Walter è ingrato perché impersona la peggiore figura paterna: quella che considera il figlio una sua continuazione e pretende che abbia la sua stessa visione. Marko Mimica ne ha ben interpretato senza eccedere le varie sfaccettature, l’ira, la protervia, la simulazione, l’angoscia. Gabriele Sagona è stato Wurm (verme in tedesco) ma senza renderne la strisciante malvagità sia nel canto che nel porgersi scenicamente, la mancanza della regia in questo caso è stata determinante. Martina Belli è stata una efficace Federica, la sua bella voce di contralto ha ben delineato i vari aspetti del ruolo, bene Veta Pilipenko come Laura. Il pubblico ha lungamente e calorosamente applaudito tutti gli interpreti alla conclusione della recita.