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Teatro dell'Opera di Roma. Benvenuto Cellini, il Carnevale romano di Gilliam
L'artista ribelle Benvenuto Cellini secondo Terry Gilliam è approdato al Teatro dell'Opera di Roma e vi è rimasto, con il suo circo colorato, la sua regia spasmodica e vitale, dal 22 marzo fino al 3 aprile 2016: un girotondo di colori per il Grand Opéra Comique (potremmo riassumere così il connubio francese) del grande romantico d'oltralpe, Hector Berlioz. Con la direzione di Roberto Abbado, la co-regia e coreografia di Leah Hausman, ripresa da Natasha Metherell, il Carnevale romano dell'ex Monthy Python ha fatto sterzare il Teatro Costanzi su una grande produzione in coproduzione con l'English National Opera e De Nationale Opera & Ballet di Amsterdam, ricchissima di verve e di continue sorprese
Il cesellatore e scultore Cellini innamorato di Teresa, ma grande infedele, briccone, come canta il libretto ad opera di Léon de Wailly e Henri Auguste Barbier (Alfred de Vigny che voleva Berlioz per il suo libretto era occupato nella scrittura di Servitude et grandeur militaires nel 1834) e come sa bene Terry Gilliam che l'ha scelto anche per questi motivi insieme al Faust, l'unica altra opera lirica di cui ha curato la regia, ancora a firma di Berlioz. La Vita di Cellini, autobiografica, - che quasi quasi rimanda alla sua Gilliamesque pre-postuma a firma del regista nato americano divenuto cittadino britannico nel 2006 – è già di per sé materiale sufficiente per un'opera, e quella di Berlioz, con la sua stessa briosità musicale, la riflette del tutto.
Fece bene Liszt a Weimar a ridargli lustro dopo il tonfo all'Académie Royale de Musique di Parigi (attualmente Opéra Le Peletier) del 1838, solo un altro musicista poteva capire come la densa materia orchestrale ricca di particolarità timbriche, dotata di una spazializzazione sonora imprevista e sussultante, un caleidoscopio di sorprese incredibili che si succedono le une alle altre, potesse risultare di difficile ascolto ed avanti coi tempi. Berlioz d'altronde, colpito dalla lettura della Vita di Cellini, dal suo genio anarchico, aveva perfettamente colpito nel segno sottolineando la natura dell'artista come tema principe dell'opera di sua scelta ed allla quale lavorò per quattro anni. Gilliam in questo assomiglia ad entrambi: riprendendo il fulcro dell'opera di Berlioz che si scatena attorno al Carnevale romano – omonima ouverture tratta proprio dal Cellini e di grande celebrità – e cui dona grande spazio fin dall'inizio, coinvolgendo il pubblico con l'entrata dei gigantici pupazzi, acrobati, giocolieri che rivedremo nella grandiosa scena metateatrale del teatro dei Burattini (Atto primo, scena XII) dopo lo “Chant des ciseleurs” di gloria per gli artisti del metallo come Cellini e dei loro assistenti (che spesso Cellini truffa sui compensi!).
Un affresco romano capitale con la storia d'amore, chiaramente avversato come vuole la tradizione, tra Cellini e Teresa, giovanissima promessa a Fieramosca, artista mediocre favorito da Balducci, tesoriere del Papa Clemente VII (nella realtà il tutto si svolse a Firenze ed il committente era Cosimo dé Medici), che lo preferisce a Cellini perché più manovrabile. Al centro, la promessa di Cellini di fondere la statua del Perseo richiesta dal Papa per ottenere la grazia di tutte le sue malefatte – compresa l'uccisione di Pompeo di cui verrà accusato invece Fieramosca – e la promessa di matrimonio con Teresa, di cui alla fine Cellini si innamorerà sul serio. Le voci sono superlative, specialmente quella di John Osborn come Benvenuto Cellini, accattivante, vivace e mordace come vuole il personaggio. La giovanissima Teresa è interpretata da Mariangela Sicilia che ha anche il physique du rôle come richiesto da Gilliam per la parte. Una lode particolare per Ascanio, la freschezza e l'agilità di Varduhi Abrahamyan sono piacevolissime all'ascolto. Bravo il nostro Marco Spotti nella doppia parte del Papa e del Cardinale; come anche Balducci interpretato da Nicola Ulivieri, particolarmente flessuoso nella modulazione.
Speciale anche la lode per il Coro del Teatro dell'Opera di Roma diretto da Roberto Gabbiani, che si è mosso agevolmente tra le macchine in movimento semi-continuo delle scene curate da Terry Gilliam e Aaron Marsden da un'idea di Rae Smith, su cui si sono sperticati gli acrobati coloratissimi che hanno infuso palcoscenico e pubblico di coriandoli variopinti e dorati. Ottima prova per l'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma diretta da Roberto Abbado, che è stata condotta con sicurezza tra le sponde di un fiorire di rimandi, acrobatici e sussultanti quanto l'intima vitalità dell'artista riflesso dalle note di Berlioz. La riposta del pubblico è stata entusiasta, e fin dall'inizio trascinato nel pieno dei calembours ritmici di Gilliam.