Teatro dell'Opera di Roma. Le diaboliche picche di Čajkovskij

Articolo di: 
Livia Bidoli
La dama di picche

Al Teatro dell'Opera di Roma è tornata La dama di picche di Pëtr Il'ič Čajkovskij dopo più di mezzo secolo (59 anni per la precisione) dal 19 al 30 giugno: l'opera più riuscita del compositore russo, e più amata da lui stesso, con il libretto del fratello Modest e tratto dal poeta russo per eccellenza: Puškin. L'allestimento nato dalla coproduzione tra Welsh National Opera, Den Norske Opera, Teatro Comunale di Bologna e Canadian Opera Company ed un cast tutto russo, con Maksim Aksenov nella parte di Hermann; Oksana Dyka in quella di Liza; Tómas Tómasson in quella del Conte Tomskij e Elenza Zaremba in quella della Contessa, è diretta gloriosamente da James Conlon, la regia di Richard Jones è ripresa da Benjamin Davis.

La composizione de La dama di picche (1890) succede a quella, particolarmente laboriosa, del balletto La bella addormentata nel bosco: per questo Čajkovskij partirà per l'amata Italia e a Firenze, che visitò per la prima volta nel 1878: fu lì che iniziò a scriverne la partitura su un libretto che già amava. Per lui la scrittura fu straordinariamente impegnativa, la parte di Hermann canta in tutte le scene, l'aria in francese della Contessa è particolarmente toccante “Je crains de lui parler la nuit” (ripresa dall’opera Richard Coeur-de-Lion di Grétry - nota di P. I. Čajkovskij) ed è una “ninna-nanna mortale”; la musica, di una ricchezza inusitata e che nelle sue introduzioni alle scene ne racconta tutto con il suo crescente incupimento; le varie parti scritte per il coro, a partire dalla prima scena dopo l'introduzione. La prima messa in scena assoluta si svolse il 7 (19, calendario giuliano) dicembre 1890 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, sotto la direzione di Eduard Nápravník ed il successo fu completo.

L'incipit dell'opera, che si pronuncia con un Andante mosso, contiene al suo interno i tre temi principali delle tre carte, l'amore di Hermann e Liza nel suo andamento cromatico, esponendo lo sviluppo narrativo in musica. La dama di picche è chiaramente rappresentativa della Contessa benefattrice di Liza che l'ha accolta in casa sua insieme ad altre orfane, dedicando la sua immensa fortuna vinta al gioco a queste sfortunate. Dietro la sua ricchezza vi è un viluppo “diabolico”: la cosiddetta “Venere moscovita” come la chiama il Conte Tomskij che ne racconta la storia a Hermann innamorato della sua protetta Liza promessa invece al Principe Eleckij, ha ricevuto il segreto delle “tre carte” per vincere al tavolo verde – molto in voga nelle classi agiate della Russia dell'Ottocento, e grande giocatore fu Puškin stesso – dal Conte di Saint-Germain, effettivamente vissuto a quel tempo ed avventuriero che conquistò la Contessa con la rivelazione del segreto. Puškin, per l'ispirazione del personaggio della Principessa sedotta con il segreto del gioco usa la Contessa Golicyna, che effettivamente visse a Parigi all'epoca, conobbe il Conte che gli rivelò le tre carte: il nipote Golicyn lo disse al poeta che lo tradusse in racconto. Tómas Tómasson, nella parte del Conte Tomskij  lo racconta nell'opera al povero Hermann che vuole trovare un modo per coronare il suo sogno d'amore con Liza: una grande laude alla voce di questo baritono islandese (prima basso, da poco e con successo passato a questo ruolo canoro) dal grande carattere ed espressività. La voce di Hermann, nel ruolo Maksim Aksenov, già notato positivamente nel debutto della stagione con Rusalka nel ruolo principale, sale e si approfondisce soprattutto dal secondo atto, ed il duetto con Liza – brava Oksana Dyka ma limitata dall'Orchestra a volte nella parte - nella camera risulta commovente, ed ancora di più nel terzo atto prima del suicidio.

La San Pietroburgo dell'Ottocento viene ripresa nella sua vita reale, a cominciare dalle citazioni dei “bei tempi andati dell'imperatrice Caterina” fino all'arrivo della zarina Elisabetta all'incontro di corte con la messinscena metateatrale della pastorella Prilepa (Yuliya Poleshchuk) che rinuncia al ricco Montedoro (Tómas Tómasson) per l'amore del pastore Bellosguardo (la brava contralto Elena Maximova), ovvio contraltare della storia d'amore tra Hermann e Liza, in cui il Principe Eleckij rappresenta Montedoro. Qui però, al contrario della novella di Puškin, la tragedia si profila dall'inizio – nella novella Liza sposerà un facoltoso pretedente – e il tema delle tre carte, annunciato dal trombone, la esplicita nel motivo discendente molto simile a quello che accompagna l'aria di Lenskij nel secondo atto dell'Onegin, similarmente ad una frase che caratterizza l'avvio dell'ultimo movimento della Patetica, tracciato finale della lunga linea depressiva di Čajkovskij, iniziata poco dopo la composizione ed il successo de La dama di picche, e provocato tra l'altro dall'abbandono della sua principale amica e mecenate, Nadežda von Meck (il nome in russo significa proprio “speranza”), culminato in un presunto suicidio bevendo acqua non potabile e ammalandosi di colera.

Il tema dei numeri, “tre-sette-asso” sicuramente è legato al suo senso esoterico e questo ben combacia con l'ascendente fantastico del racconto, enunciato dalla stessa epigrafe scelta da  Puškin “dall'Ultimo libro dei sogni”, sincreticamente legato a Swedenborg (1688-1772) ed alle sue teorie sul Cielo e l'Inferno, e alle scienze esoteriche per cui il numero tre, per cominciare, è proprio la triade iniziatica del percorso di trasformazione dell'uomo per raggiungere la Grande Opera. Il sette, numero dell'uomo perfetto: iniziato e giunto alla fine della sua esperienza iniziatica, ma anche sette sono i gradi della perfezione, i cieli, le gerarchi angeliche, i peccati capitali e, contrapposte, le virtù.

L'asso di picche è rappresentativo dell'antico ordine dei Magi: il simbolo dei misteri antichi e dei loro insegnamenti. Una carta simbolo per l'intera scienza delle carte: considerato come un figura di morte e di segreti, l'unico asso che si distingue per essere il più grande ed il più importante all'interno del mazzo. Trasformazione, morte e rinascita conferisce se usato a fini spirituali, non quelli di Gerrman, che invece lo fa “scadere” ad essere un'ossessione di liberazione economica: ripete sempre “tre carte” ed è disposto ad uccidere la Contessa pur di appropriarsene, tramutandolo in una maledizione per lui e chi ama, la bella Liza che, scoperta la follia di German, si getta nel canale della Neva. Lo spettro della Contessa che German trova  nel letto ed in forma di scheletro, già figura dell'aldilà che lo terrorizza, gli rivela un segreto chiaramente “diabolico”, dal quale si dovrebbe ben guardare: molto di Tim Burton in questa scena di John Macfarlane, come in quella successiva alla tavola da gioco, con ancora lo scheletro che lo conduce al suicidio dopo aver trovato la Donna (Dama) di picche al posto dell'asso vincente. In questa regia del 2002 di Richard Jones ripresa da Benjamin Davis ci si avvale anche delle marionette ventriloque di Green Ginger, molto eloquenti sulla tavola da gioco e particolarmente inquietanti nella loro versione grottesca, coadiuvati da un ballerino en travesti.

L'allestimento scenico
presenta la sua parte migliore dal secondo atto, con riprese dall'alto della camera da letto di German; e la tavola da gioco usata come gran plateau per gli scommettitori; anche interessanti gli interni della camera di Liza con il dipinto Belle Époque della Contessa che poi risulta tumefatto quando muore (presentato all'inizio rivelando la tragedia). Molto belli i Cori diretto dal Maestro Roberto Gabbiani e le voci bianche; bravo il Principe Eleckij di Vitalij Bilyy e, sebbene un tantino sottotono, struggentemente patetica Elena Zaremba come Contessa.
Una lode sperticata alla musica diretta brillantemente e con profondità da James Conlon, che ci ha accompagnato in questo viaggio che ci ricorda la grandezza di un compositore così legato alla sua patria russa, che così bene la rappresenta unendo il poeta nazionale russo Puškin ad uno dei compositori più ricchi della storia della musica, così convergente su quella “Nostalghia” e struggente materia esoterica dell'Ultimo dei suoi Sogni.

Pubblicato in: 
GN32 Anno VII 2 luglio 2015
Scheda
Titolo completo: 

Teatro dell'Opera di Roma
LA DAMA DI PICCHE

Teatro Costanzi
Musica di Pëtr Il'ič Čajkovskij 
Opera in tre atti
Libretto di Modest Čajkovskij
da una novella di Puškin

durata 3 ore e 45 minuti circa
(compresi due intervalli)
Direttore James Conlon
Regia Richard Jones
ripresa da Benjamin Davis
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene e Costumi John Macfarlane
Luci Mario De Amicis

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell'Opera

Allestimento nato dalla coproduzione tra Welsh National Opera, Den Norske Opera, Teatro Comunale di Bologna e Canadian Opera Company
 
in lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese
Prima rappresentazione

venerdì 19 giugno, ore 20.00
Repliche fino a martedì 30 giugno

La recita di venerdì 19 in diretta su RAI Radio Tre

Personaggi e Interpreti
Hermann Maksim Aksenov
Il Conte Tomskij Tómas Tómasson
Il Principe Eleckij Vitalij Bilyy
Cekalinskij Vadim Zaplechny
Surin Mikhail Korobeinikov
Caplickij Vladimir Reutov
Narumov Gabriele Ribis
Il cerimoniere Vladimir Reutov
La Contessa Elena Zaremba
Liza Oksana Dyka
Polina Elena Maximova
La governante Anna Victorova
Maša Magdalena Krysztoforska
Prilepa Yuliya Poleshchuk
Bellosguardo Elena Maximova
Montedoro Tómas Tómasson