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Teatro dell'Opera di Roma. Il Naso ovvero il nodo scorsoio della burocrazia
Beffardo, ironico, grottesco, una vera presa al lazo per la burocrazia, i suoi pregiudizi, le cariche di uno stato gerarchico che aveva completamente tradito le premesse rivoluzionarie di Lenin, in cui Trotsky era stato sostituito da Stalin e dal suo patto di non-aggressione con Hitler, le accuse di “formalismo” contro Dmitrij Šostakovič (la prima nel 1937), si possono evincere già versus la sua prima opera teatrale tratta da Gogol', Il naso (racconto del 1835), e proposta con il libretto a cura di Evgenij Zamjatin, Georgij Jònin, Aleksandr Préis e Dmitrij Šostakovič. La regia di Peter Stein e la direzione dell'argentino Alejo Pérez completano il simbolico allestimento dell'Opera di Zurigo per presentarlo a Roma al Teatro dell'Opera fino al 3 febbraio 2013.
Completato nel 1928 a 22 anni, – Šostakovič nasce nel 1906 – Il Naso ebbe una vita burrascosa: l'interminabile successo delle prime 14 recite del 1930 nell'allora Leningrado (toponimo di San Pietroburgo dal 1924 al 1991), fu silurato dalla Pravda, il giornale del PCUS, a firma di Zdànov con l'articolo dal titolo: “Confusione al posto di musica”. In breve Šostakovič, invece di uniformarsi a scrivere la gloria nazionale secondo la classica partitura librettistica, si era permesso di “creare” ed in questo caso, come in tanti altri e con tanti altri, fu messo all'indice dagli stessi organi di partito che poi lo osannavano e lo leggevano al Soviet Supremo, Stalin in primis, naturalmente. A Mosca si dovettero aspettare ben 44 anni, data 1974 infatti la rappresentazione al Teatro dell'Opera della capitale allora ancora sovietica, un anno prima della morte di uno dei massimi compositori russi del Novecento insieme a Prokofiev e Strawinskij, suoi coevi.
La musica sperimentale del nostro quindi fece effetto, ed ancora si propone con una forza dirompente, soprattutto dal lato percussivo, in un confronto e rimando ovvio con il dissidente emigrato Strawinskij ed il suo “Le Sacre du Printemps”, di circa un quindicennio prima che sconvolse l'Opéra de Paris insieme ai Ballets Russes di Diaghilev. La musica infatti dialoga aspramente con i personaggi e ne enfatizza i difetti, le angoscie, in modo burlescamente amarognolo, con un senso del ridicolo sempre rivolto verso il tragico, la caratura stessa di Šostakovič. I suoi lampi difatti si stemperano in scampanellii, ritorni sulla scena del delitto, il fantomatico naso perduto dal maggiore Platon Kuz’mič Kovalëv (il bravissimo e pieno di sfumature Paulo Szot); la comparsa del Naso sotto le vesti di un prestigioso Funzionario di Stato (il flessuoso e ironico Leonid Bomstein), grandiosa presa in giro dell'ossidata gerarchia e burocrazia staliniste; il ricorso a feroci parti recitative che offendono il povero Kovalëv in preda all'angoscia (la scena al giornale per far pubblicare l'annuncio di perdita del proprio naso) e che giunge ad accusare la vicina Pelagia Podtočin (brava Elena Zilioche nella parte) che le offre la figlia in sposa (carina e più leggiadra Elena Galitskaya).
Nell'amarissimo percorso musicale si situano a perfezione le scenografie meccaniche di Ferdinand Wögerbauer che concretamente riconducono visivamente alle avanguardie russe, ai formalisti e allo stesso Mejerchòld: sia a destrutturare quella visione sia a riproporla per indagarla attivamente oggi. Il cubismo che appare dall'inizio cifra degli interni fa coppia con il “Sol dell'Avvenire” sullo sfondo rosso, che viene parodicamente ricoperto da un muro che piano piano si sgretola, come nel 1989, e come la precisa regia di Peter Stein, berlinese di nascita, sottolinea con evidenza.
La citazione dalla Parade di Strawinskij che è stata riproposta qualche anno fa per uno speciale al completo sui Ballets Russes, è una schiccheria: il cavallo bianco sotto cui si nascondono due uomini a traino della carrozza si situa su uno sfondo tipico dell'est orientale, che ricorda quadri e foto di una Praga (per esempio) di inizio Novecento, a tratteggiare un sentiero che guarda avanti e porta la percezione ad allargarsi verso una critica ancora utile affinchè quei grandiosi e anacronistici meccanisimi (meraviglioso il quadro con il funambolo a caminare sul cerchio all'interno di un orologio) della burocrazia vengano divelti e ridotti in polvere.