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Theater Basel. Una metaopera per Didone abbandonata
La coinvolgente Didone abbandonata di Niccolò Jommelli (1714-1774) messa in scena al Teatro di Basilea dalla regista olandese Lotte de Beer sotto la direzione musicale di Daniela Dolci alla guida dell’ensemble Musica Fiorita, merita senz’altro il viaggio fin sulle sponde elvetiche del fiume Reno. Non solo perché la Didone di Jommelli è opera splendida ma ormai quasi dimenticata, ma anche per le soluzioni davvero originali escogitate per annullare tutte le barriere che spesso inevitabilmente in una rappresentazione teatrale si frappongono tra azione drammatica, musica e spettatori.
Appena entrati, ad accogliere il pubblico che prende posto in sala, troviamo l’orchestra che già suona musica da ballo e sembra di essere ospiti di una festa di corte del Secolo dei Lumi! Orchestra che poi che non è nella solita buca, ma occupa una porzione di platea, che a sua volta diventa spesso palcoscenico, poiché cantanti e protagonisti sono seduti in mezzo agli spettatori e da lì, facendosi largo, guadagnano la scena, che Christof Hertzer ha immaginato come una lunga passerella che taglia in due in senso longitudinale l’intera sala.
Su questa passerella, giudici e testimoni, vedremo consumarsi la parabola - dall’apoteosi alla caduta - di Didone regina di Tiro e Cartagine.
Opera seria in tre atti, primo melodramma scritto nel 1724 da Pietro Metastasio (1698-1782), Didone abbandonata è uno dei libretti più famosi e rappresentati della storia dell’opera; basti pensare alle oltre sessantacinque versioni composte nell’arco di circa un secolo, dal 1724 al 1823, da altrettanti compositori, da Domenico Scarlatti fino a Saverio Mercadante, passando per Georg Friedrich Händel e Luigi Cherubini, tanto per fare qualche nome. Il solo Niccolò Jommelli ne compose ben tre versioni, la prima andata in scena al Teatro Argentina di Roma nel 1747, la seconda rielaborata due anni dopo per Vienna e la terza, nel 1763, per essere rappresentata a Stoccarda, all’epoca considerata una sorta di “Bayreuth del Settecento”, alla corte di Carlo Eugenio, duca del Württemberg.
Proprio quest’ultima versione, sfrondata per l’occasione di quasi tutti i recitativi secchi e di una discreta quantità di arie, è alla base del nuovo allestimento [in scena fino al 23 giugno al Teatro di Basilea.
L’argomento, liberamente tratto dall’Eneide (I e IV libro) di Virgilio, rielaborato da Metastasio per la stesura del libretto, è noto. Enea, in fuga dopo la caduta di Troia verso l’Italia, si trova a Cartagine dove dopo un naufragio è stato soccorso insieme al suo equipaggio dalla regina Didone con la quale ha avviato ben presto una profonda relazione amorosa.
Il primo atto si apre quando la decisione più drammatica, quella di Enea di lasciare Didone e Cartagine per compiere il volere divino di fondare Roma, è stata già presa. È a Selene – sorella della regina, a sua volta segretamente innamorata dell’eroe troiano – che Enea rivela la sua ormai improcrastinabile partenza, senza trovare il coraggio di dirlo a Didone.
Ed eccola apparire, attorniata da un codazzo di cortigiani ossequiosi, la regina di Cartagine, una magnifica Nicole Heaston, soprano americana dalla voce insieme dolce e potente, calata perfettamente nella parte fin dal primo ingresso in scena, sfolgorante nel sontuoso abito rosso come la passione che la pervade, mentre intona la prima aria “Son regina e sono amante”, affermando il diritto di governare il suo regno come un sovrano e di amare come una donna senza l’assillo di dover scegliere tra il potere e l’amore.
Il conflitto che anima l’intera opera è proprio questa contrapposizione, ancora oggi non risolta, tra femminilità e potere ma la riflessione forse più amara è sulla solitudine a cui è condannato colui, o colei, che è chiamato a governare.
Didone alla fine del terzo e ultimo atto avrà perso tutto: la ritroveremo sulla stessa passerella dove l’avevamo vista trionfante, in ginocchio, con i capelli scompigliati, avvolta in un lugubre abito nero, mentre prima di morire tra le mura di Cartagine in fiamme, intona commossa e disperata l’aria “Da sola, tradita, abbandonata, abbandonata”.
Sarà stata l’ambizione di una donna troppo “in carriera” a decretarne la tragica fine, certo, ma anche l’intreccio di intrighi, menzogne e tradimenti di una corte specchio di ogni tempo. Non c’è personaggio che si avvicendi sulla passerella che non abbia tradito Didone: la sorella (il soprano Sarah Brady) perché rivale in amore, il comandante del suo esercito Osmida (il mezzosoprano Ena Pongrac) venduto al nemico Jarba (il tenore Hyunjai Marco Lee) con la promessa di ereditare il trono di Cartagine e soprattutto Enea, eroe troiano – quello di Metastasio - pusillanime, meschino, egocentrico e, diciamolo, insopportabilmente lamentoso, interpretato e recitato in modo impeccabile dal controtenore americano di origini coreane Vince Yi, in possesso di un bel legato fluido, di una vocalità mai sforzata ma dalla dizione un po’ approssimativa.
A non tradire mai Didone rimane solo la musica di Niccolò Jommelli: una partitura appassionata, carica di emozione profonda e commossa – che lasciò stupito lo stesso Metastasio quando ascoltò per la prima volta l’opera a Vienna – insomma, quanto di più lontano si possa immaginare da quello “stile galante” che dominava l’epoca dei Lumi e che indicò una via nuova che solo il genio di Mozart porterà avanti da par suo.
Grande successo di pubblico per l’ottimo cast, dai protagonisti ai personaggi secondari, e in particolare applausi a non finire per la magistrale l’esecuzione di Daniela Dolci alla guida dell’ensemble Musica Fiorita, compagine di 25 musicisti che sposa integralmente la prassi barocca senza rinunciare mai al piglio e alla vitalità della partitura del compositore campano.