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Valmontone. Mattia Preti en plein air
Le ricorrenze relative ad un grande artista sono sempre occasione di nuove indagini sulla sua opera. Così il quarto centenario della nascita di Mattia Preti (Taverna, 1613 - La Valletta, 1699) è stato ricordato con una serie di eventi, l’ultimo dei quali (in ritardo di un anno) è stato la giornata di studi intitolata “Sotto la volta dell’Aria. Mattia Preti: approfondimenti e nuove ricerche”, che si è tenuta il 3 novembre 2014 a Valmontone, presso il palazzo Doria Pamphilj.
L’iniziativa, promossa dall’Amministrazione comunale con la Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Lazio, diretta da Anna Imponente, e con il patrocinio della Repubblica di Malta e dell’Istituto di Studi Barocchi dell’Università di Malta, rende omaggio ad un artista che, proprio in questo luogo pamphiliano, ha lasciato nella Stanza dell’Aria una delle sue più intense interpretazioni del linguaggio figurativo barocco: un suggestivo ciclo di affreschi realizzati nella primavera del 1661, quando il Maestro si preparava a partire alla volta di Malta, dopo aver ottenuto il titolo di Cavaliere dell’Ordine.
Numerosi studiosi di Mattia Preti hanno delineato la figura storica e pittorica di questo pittore barocco legato, oltre che alla sua città natale, Taverna (Catanzaro), a Roma e a Napoli e, nell’ultima fase della sua vita, a Malta. Una vita, quella di Preti, che, proprio per questo legame con l’Ordine di Malta può essere paragonata a quella di Caravaggio, che sicuramente è stato, almeno inizialmente, suo grande ispiratore.
E nello stesso palazzo, per tutto il mese di novembre, possiamo vedere questo suo amore per Caravaggio nella prima opera realizzata dall’artista per i Pamphilj: lo stendardo dipinto per la Confraternita del Santissimo Sacramento e del Rosario di San Martino al Cimino, feudo pamphiliano e roccaforte della famosa e temuta Olimpia Maidalchini, madre di Camillo Pamphilj, che commissionò l’opera per il Giubileo del 1650 e che è stata prestata, nell’ambito del mese della Cultura Pamphilia che si tiene a Valmontone, dal Museo dell’Abate dell’Abbazia di San Martino al Cimino.
Lo stendardo, che ha avuto una serie di vicissitudini fino alla sua trasformazione in pala d’altare (prima del 1742), ha rivelato in occasione del restauro eseguito dalla Soprintendenza nel 1986/87 di essere in realtà un’opera double-face: da un lato raffigura San Martino, dall’altro Cristo Eucaristico. Il santo, che appare come un guerriero loricato sul suo destriero da parata, ha già reciso il mantello che porge al povero alla sua sinistra, episodio legato alla leggenda relativa all’estate di San Martino. Il cavallo ricorda molto da vicino quello della Conversione di Saulo di Caravaggio.
Mentre la scena di questo dipinto ci appare decisamente movimentata, il recto è caratterizzato da una sobrietà monumentale: la figura di Cristo, con lo sguardo magneticamente fisso verso l’osservatore, domina lo spazio, con le mani aperte a mostrare le stimmate, mentre un angelo inginocchiato raccoglie il sangue che zampilla dal costato.
Decisamente diverso da questo patetismo barocco è lo spirito della volta dell’Aria, teso a dare l’idea della mutevolezza e dell’impalpabilità dell’elemento aereo. La sala dell’Aria si differenzia da quelle dedicate agli altri elementi (Fuoco, Acqua, Terra, rispettivamente affrescate da Francesco Cozza, dal Borgognone e da Giambattista Tassi), eseguite secondo l’impostazione cortonesca che dominava all’epoca (ovvero con motivi architettonici monocromi che dividono lo spazio in più settori), perché le figure di Mattia Preti sembrano rincorrersi nello spazio, scandito nelle sue diverse fasi temporali, dalla luminosa Aurora fino alla nera Notte, mentre al centro della volta domina l’Aria raffigurata come una divinità seduta con un velo bianco e con in mano i fulmini, il tutto secondo l’Iconologia pubblicata da Cesare Ripa.
Sui quattro cantoni sono inserite come perni le figure allegoriche della Fama, della Fortuna, dell’Amore e del Tempo, ovvero le forze che l’uomo non può controllare, come per ribadire la caducità della condizione umana. In un primo tempo fu Pier Francesco Mola a decorare la volta, ma giunto quasi al termine della sua opera, un diverbio con il committente Camillo Pamphilj gli fece abbandonare il lavoro e il Pamphilj fece distruggere i suoi affreschi. Gli subentrò Mattia Preti che eseguì in pochi mesi la pittura della volta, dimostrando con questa sua rinuncia al paesaggio e alle scene favolistiche degli altri pittori la ricerca di una destrutturazione narrativa che dà l’idea immediata di fuggevolezza, incostanza, precarietà dell’aria. È quindi questo un momento di grande libertà che poco dopo, quando andrà a lavorare a Malta, non potrà più permettersi.
Ricordiamo che il mese della Cultura Pamphilia avrà il suo culmine venerdì 28 novembre, con l’inaugurazione della Sala del Principe appena restaurata dalla Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Lazio. Si potranno così ammirare le pareti affrescate da Gaspard Dughet, che ricordano tanto i motivi cortoneschi con colonne e paesaggi della Galleria di Alessandro VII al Quirinale.