Supporta Gothic Network
Arvo Pärt Summa. La struggenza dell’Altrove
I quattro concerti che Arvo Pärt dedica a Roma dal 23 gennaio fino al 2 febbraio 2010 sono titolati Diario dell’anima, per un compositore estone che della metafisica ha scritto le note, virando direttamente al loro cuore. La collaborazione tra Fondazione Musica per Roma e Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Istituzione Universitaria dei Concerti e Accademia Filarmonica Romana ha reso possibile un ascolto vasto della sua produzione. Il concerto del 23 gennaio con cui apriamo s’intitola Summa.
Le sue mani nodose ed esperte – rilucenti nelle foto di Roberto Masotti ed in lui dal vivo come si avvicina alle teche - toccano il piano solo per ritrovarvi una dimensione diversa dalla nostra, lontana millenni come in uno dei tempi paralleli di Borges. Gli occhi dolcissimi rifulgono del dono dell’Altrove che scalpita attraverso gli archi della sua musica. Archi di cattedrali gotiche, quanto spirituali, svettano verso l’alto come le sue innumerevoli Glorie descritte in musica come cieli, che afferiscono soltanto a chi procede per le spirali criminali del vuoto di sé per empirlo di levità non terrestri, non umane, incommensurabili nella loro struggenza. Un salto metaforico che sa di morte e rinascita, non più percorribile all’indietro.
Il primo brano che apre il primo concerto della serie, il 23 gennaio 2010 con la PMCE – Parco della Musica Contemporanea Ensemble è Summa (Credo, 1977) con una formazione strumentistica invece che vocale: violino, due viole e un violoncello. Più veloce rispetto alla versione del Kronos Quartet, c’immerge immediatamente in un clima di profondo rispetto e pace.
L’Abbé Agathon che segue con Arianna Savall alla voce (figlia di Jordi Savall) ricorda all’ascoltatore il lavoro di espunzione anche sulla voce e non solo sull’armonia triadica ala base del suo concetto sonoro. La levità estrema del cantato – perfettamente a suo agio qui la Savall sia per cantato sia per l’attuale lingua d’oil (francese) – è seguita con ritmo dalla musica, che sottolinea l’enunciazione tutta su toni alti e sussurrati delle parole, mentre il pizzicato del violoncello colora il sibilare dell’unico violino sul lamento delle viole. La direzione di Tõnu Kaljuste avvienne a cenni delicati e carezzati nell’atmosfera rarefatta che ne costituisce lo sfondo.
Spiegel im Spiegel (Specchio dentro lo specchio, 1978), nella versione per flauto e piano riformulata apposta per questa esecuzione, presenta Manuel Zurria al flauto e Oscar Pizzo al pianoforte che tratteggiano la linea inquieta di un’ombra che il flauto sussurra ed il piano soavemente indica, immergendo nel lussuoso paradiso di specchi e luci di L’anno scorso a Marienbad (Alain Resnais, 1961).
La Scala cromatica con Gilda Buttà al piano e Francesco Dillon al violoncello e la viola di Alessio Toro, intrattiene prima di evocare Mozart con l’Adagio (Mozart Adagio) lirico che dona reminescenze dai quartetti di Schubert (Der Tod und das Mädchen, La morte e la fanciulla, 1826) o Schumann. Es sang vor langen Jahren (da Clemens von Brentano) con la voce alta di Arianna Savall che non riesce a scendere su tonalità basse e cui forse la lingua teutonica non aggrada, è con Alessio Toro alla viola, mentre la versione per Quattro percussioni di Fratres (Schlagzeuger, 1977) è assolutamente magnifica e l’affiatamento tra i quattro xilofoni (più grancassa) è del tutto sorprendente. Chiudono i due Wiegenlieder (2002), nella nuova versione per soprano e otto strumenti commissionata dalla Fondazione Musica per Roma, una giocosa lievità religiosa ispirata dal Vangelo secondo Luca 2, 7.