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Emerging Talents. Panoramica di un presente abbozzato
Che la generazione attuale degli artisti contemporanei fosse particolare, ce ne eravamo già accorti: è proprio quell’aggettivo inespressivo, “contemporanei”, che li relega ad un ambito temporale finito e indefinito allo stesso tempo senza dir niente di loro: “all art has been contemporary”.
Loro non se lo sarebbero certo scelto, anche se, nella deriva degli –ismi, quali sono gli aggettivi che possono incasellarli? Comunque sia, è questa generazione nella sua declinazione italica che viene esposta nella mostra Emerging Talents della Strozzina di Firenze.
5 gruppi di 5 artisti selezionati da altrettanti curatori, per un panorama molto frastagliato che abbraccia svariati mezzi espressivi e altrettante personalità individuali. Questo aspetto inter-espressivo è accentuato dalla disposizione raggruppata dei rappresentati, le cui opere si intersecano quasi nello spazio espositivo a loro dedicato. Grazie a questa varietà e promiscuità sensoriale e intellettuale, le visioni particolari si fondono in quello che potrebbe essere inteso come lo stato della produzione artistica contemporanea in Italia e non solo.
Intendendo la mostra in quest’ultimo senso, la cartina tornasole che se ne trae non porta poi molto di nuovo. Con pochissimi titoli d’opera in italiano, quest’arte è immediatamente proiettata all’estero, e su questo aspetto questi giovani artisti non sono certo diversi dalle altre razze di intellettuali del paese, che hanno ben capito che la sopravvivenza in questi ambiti si trova nel network globale (pur sempre però nella forma conferitagli dal mercato economico, vedi la mostra precedente del CCCS).
Si accentua comunque l’impressione di una creatività smaliziata e mai sopita, con notevoli spinte sul sociale e il tentativo di indagare su impulsi che provengono direttamente dai recessi dell’individuo. Questa relativa visceralità “di stomaco” (come dice Andrea Bellini nella veste di uno dei curatori) non sempre è usata con la necessaria consapevolezza, e ci si scontra un po’ con i limiti dei mezzi espressivi quando si cerca di rievocare sensazioni ed esperienze che difficilmente riescono a risplendere al di là di questa finitezza (penso ad esempio all'opera Sun (One Day Old) di Alex Cecchetti, che comunque è una delle più suggestive della mostra).
In questi termini, il coinvolgimento del sentimento individuale e delle esigenze del singolo, l’interazione attiva del fruitore diviene fondamentale: spesso è il fruitore stesso che completa l’opera con le sue esperienze e la sua sensibilità.
È anche per questo che le opere non sono più rinchiuse in una teca di vetro, ma invadono lo spazio vitale dell’osservatore (per i video il discorso è leggermente diverso, ma si può dire che il loro dipanarsi nel tempo porta ad un coinvolgimento analogo a quello spaziale, ma di natura mentale anziché fisica). Il concetto non cambia qualunque sia il tipo di questa interazione: se sia spaziale come in Rainbow’s Gravity di Alessandro Pingiamore (dove si può inciampare nel calco rovesciato di una pozzanghera), cognitiva come in Millenium Combo di Carola Bonfili (dove ci viene propinato un filmato di una grossa struttura gonfiabile che prende lentamente forma, cercando di stimolare le associazioni mentali più disparate, finanche nella sfera sessuale) o di altra natura, ad esempio nella creazione di Anna Galtarossa, Il mostro di Castelvecchio jr #1 (dove l’opera si fruisce con il maggior gusto in una giocosa esplorazione tattile di questo coacervo di tessuti e materiali differenti).
Altri esempi sono Nicola Gobbetto con il suo piccolo Blob fatto di polistirolo e dentifricio dall’odore di menta (un carino ma un po’ banale tentativo di trasporre il terrore degli anni ’50, la catastrofe atomica, al presente dove l’assalto è interno alla vita di tutti i giorni) e Giulio Frigo che proietta un breve filmato direttamente sulla cornea dell’osservatore (Through your pupil into your brain, until death will separate us, sottolineando forse l’aspetto di indottrinamento a livello subliminale dell’industria cinematografica).
Valerio Rocco Orlando invece ci propone un estratto da una serie indefinita di fotogrammi tratti dai suoi lavori cinematografici, giustapposti senza soluzione di continuità (The Infinite Film), e qui lo spettatore è stimolato ad usare la sua fantasia giocando coi personaggi a creare storie, trame e dialoghi. Qualcosa di simile ci si prospetta con F_____H di Farid Rahimi che è uno spezzone arbitrario di un film possibile, incompiuto come il titolo stesso dell’opera, o con Setting 01 di Marinella Senatore, che si limita a creare una lama di luce che taglia una stanza. Questi sono solo elementi inutili in sé ma che forse potrebbero essere sfruttati per una poetica personale.
Anche l’opera Dai tempo al tempo di Rossella Biscotti (uno dei due vincitori del concorso indetto1) risulta alquanto insipida, nonostante la suggestiva colonna sonora elettroacustica, se non condita con suggestioni e visioni personali.
Altre opere in mostra mi lasciano freddo ed indifferente e, per me mute, non riescono a raggiungermi (è il caso ad esempio dell’installazione di Alice Cattaneo e del senza titolo di Nicola Pecoraro, e altre).
Come si vede, ciò che rimane sempre fondamentale è la reazione del soggetto che sperimenta i lavori come se fosse uno specchio: esso può essere un’opera d’arte in sé, ma risulta vuoto sino a ché una figura non vi si riflette. Queste produzioni sono perciò di difficile giudizio oggettivo, e chi si ponesse in quest’ottica, nella fruizione dell’arte, si troverebbe alquanto in difficoltà. Se ne possono giudicare gli aspetti tecnici concreti, come abilità pittoriche, fotografiche o compositive, e comunque in quest’occasione non si notano lavori particolarmente eccelsi da questo punto di vista più “materiale”2. Non bisogna però farsi ingannare da questo, poiché ciò che qui conta, come abbiamo visto, è il principio creatore, o l’“idea” (come probabilmente ci direbbe Damien Hirst, che affidava il compito della creazione materiale di alcune opere a dei suoi assistenti3). L’unico problema è che, a mio avviso, una realizzazione abbozzata smussa il potere dirompente dell’idea originaria; giacché “between the conception and the creation falls the shadow” , e si è quindi in difetto già in partenza, la perfetta padronanza della tecnica consente di sminuire questa tara, inalienabile nel nostro mondo sublunare.
Questa finitezza è tutt’altro che ignorata da questi artisti, anzi, la narrazione personale del proprio lato interno (non necessariamente oscuro, anche se sono queste le emozioni che spesso erompono con maggior impeto verso l’esterno) è una delle cifre più giocate in questa esposizione. In questo caso non si può non citare l’opera di Simone Ialongo, Un grammo d’ansia, rappresentata da un piccolo flacone pieno di pezzi di unghie mangiucchiate dell’artista (la prova tangibile di una nevrosi che consuma dal di dentro), e quella di Francesca Grilli, 194.9 MHz, che è l’unica che mi abbia realmente toccato in qualche modo.
L’opera in sé è un video di Francesca che scala un monte con sulla schiena un’antenna radio da piantare sulla sommità, mentre una voce fuori campo da stazione radio disturbata narra una vicenda di lutto familiare (il padre che racconta la morte di un fratellino). Il dolore intimo della vicenda è comunicato tramite la mutezza di Francesca, che simbolicamente esorcizza il passato scalando una montagna ed elevandosi alla luce della sua vetta, conquistata col gesto dell’affissione dell’antenna, mentre una voce del passato estrae ricordi che faticano ad uscire se non con una trasmissione disturbata.
Una nota a parte merita anche Nico Vascellari, la cui opera, Revenge, altro non è che una breve registrazione live di una esibizione del suo gruppo free noise (o punk noise, o come volete, in odor di Merzbow, Gerogerigegege, et similia): la vendetta qui è perpetrata contro un sistema artistico che spesso non ha spazio per estremismi sonori di tal fatta, o che semplicemente separa la musica dalla produzione “fisica”: questo in termini di arte contemporanea non ha più senso. Auspico più interventi del genere in futuro, per consentire anche alle minoranze artistiche (che siano frange estremiste o meno) di avere il posto che spetta loro, perché le vere rivoluzioni nascono sempre in angoli bui e inesplorati.
Quello che ci rimane da questa panoramica è una generazione di artisti che riflette bene i tempi in cui è cresciuta, ciascuno di loro con la propria cifra. La creatività non manca di certo, anche se la forza espressiva non è ancora all’apice vista la generale giovane età. Sommariamente si nota come ci sia una certa volontà e capacità di “fare”, che è condizione essenziale in questo tipo di opere: il mettersi personalmente in gioco e vivere le proprie realizzazioni.
Che poi Michael Fliri riassuma tutto col titolo della sua opera Early one morning with time to waste (un filmato in cui lo vediamo nuotare e affrontare il mare con una barchetta fatta di bottiglie di plastica) è tutto da vedere, ma quello che conta davvero è che lui era lì a fare ciò che ha fatto, inseguendo la sua visione, e che anche i suoi compagni c’erano, in un modo o nell’altro. Il resto sarà storia tra qualche tempo.
Note:
1 La mostra è solo l’ultima fase di un concorso che ha prodotto due vincitori (i premi sono borse di studio). (torna al testo)
2 Ad esempio, dal punto di vista della tecnica video, dalle riprese, alla recitazione, all’editing, le capacità sono decisamente amatoriali; l’unica opera che un po’ si salva da questo punto di vista è Platinoiridio, di Luca Trevisani che tra l’altro è l’unica opera della mostra che travalica i limiti del racconto personale verso qualcosa di più universale. Che poi la perfetta padronanza dei mezzi sia decisamente secondaria ai fini del raggiungimento dello scopo concettuale dell’autore, o che l’aspetto “abbozzato” sia una scelta cosciente, questo è un altro discorso. (torna al testo)
3 Anche questo, era già implicito nelle produzioni industriali di Warhol, che a loro volta sono già contenute nei readymade di Duchamp. Certo, quest’ultimi possedevano doti non indifferenti di volta in volta di ironia o poesia… (torna al testo)