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70° Festival d'Aix-en-Provence. L'esoterico fuoco di Madiel
Vicino ai violacei campi di lavanda della Provenza si svolge da 70 anni un festival prezioso, il Festival d'Aix-en-Provence, quest'anno dal 4 al 24 luglio, che mette in scena in location straordinarie come il Théâtre de l'Archevêché ed il Grand Théâtre de Provence – insieme a molte altre – opere prime creazioni del Festival insieme ad altri grandi teatri d'opera come L’angelo di fuoco (Ognennyj angel) di Sergej Prokofev nell'allestimento del Festival d'Aix-en-Provence, dell'Opera Nazionale di Varsavia-Teatr Wielki in coproduzione con l'Opera e Balletto Nazional di Norvegia.
L’angelo di fuoco (in russo non traslitterato: Огненный ангел; op.37), opera in cinque atti e sette quadri con musica e libretto di Sergej Prokofev (1891 – 1953) é tratta dall’omonimo romanzo simbolista ed in parte autobiografico di Valerij Brjusov (1873-1924), pubblicato a puntate sulla rivista "Vesy" fra il 1907 e il 1908,. Ebbe una genesi articolata, tra 1919 e 1927 fu ultimato tra gli Stati Uniti e le Alpi bavaresi: parte del materiale finì nella Terza Sinfonia (in do minore op. 44, 1928), dato che soltanto il secondo atto fu eseguito in forma di concerto diretto da Sergej Kussevitzkij, che optò però per una esecuzione in forma di concerto, a Parigi, al Théâtre des Champs-Elysées, il 14 giugno 1928. In forma completa ma sempre di concerto fu eseguita nello stesso teatro in francese nella versione di Michel Ancey il 25 novembre 1954. Un anno dopo, il 14 settembre del 1955, L’angelo di fuoco acquistò una veste scenica al Teatro la Fenice di Venezia nella versione italiana di Mario Nordio nell'ambito del XVIII Festival di Musica Contemporanea. Il ritardo più clamoroso è in realtà quello russo: il primo allestimento fu del Teatro Mariinskij nel 1991 con la regia di David Freeman e la conduzione di Valery Gergiev. Prokofiev quindi, non la potè mai vedere in vita.
L’opera è ambientata in Germania, nel secolo XVI e vi si riconoscono elementi spiccatamente simbolisti. Il dramma si può facilmente riassumere con la stessa epigrafe dell'autore:
"L'angelo di fuoco, ovvero narrazione veridica in cui si racconta del Diavolo, più volte apparso in veste di spirito luminoso a una fanciulla tentandola a diverse azioni peccaminose; e delle pratiche contrarie a Dio di magia, astrologia e negromanzia; del giudizio su di essa fanciulla sotto la presidenza di Sua Eminenza l'Arcivescovo di Treviri; ed altresì degli incontri e colloqui col cavaliere e triplice dottore Agrippa di Nettesheim e col dottor Faust: scritta da un testimone oculare".
La fanciulla prende il nome dell'ultima strega bruciata sul rogo nel Settecento, Renata, ed è annunciata da tre note proferite dall'oboe e dal corno inglese e oscillante, così la sua voce tremolante e lamentosa, sempre in bilico tra recitativo e arioso, mai in apertura completa, è interpretata dalla voce non proprio vigorosa, del soprano lituano Aušrinė Stundytė, che invece si comorta meglio come attrice, molto credibile nella parte. Renata è trovata quasi in convulsioni - chiaro sintomo d'iisteria - sulla soglia di un albergo di malaffare dove si agitano travestiti e prostitute cercando di adescare il merlo di turno, da Ruprecht, un cavaliere mercenario tornato in patria dagli Stati Uniti, l'energico baritono americano Scott Hendricks. Di lì a poco arriverà la proprietaria dell'albergo – la mezzosoprano polacca Bernadetta Grabias - richiamata dalle urla di lei che ha già confessato a Ruprecht tutta la sua storia: durante l’infanzia, riceveva le continue visite di un angelo di fuoco, Madiel, il quale la guidava nel cammino verso la santità; a sedici anni la ragazza prova un amore totale e irresistibile per Madiel e per appagarlo vorrebbe unirsi carnalmente a lui, ma l’angelo l’abbandona sconvolto. Più tardi egli le promette di ripresentarsi sotto fattezze umane e Renata crede di riconoscerlo nel conte Heinrich. La giovane trascorre una stagione felice con il conte, ma un giorno l’uomo l’abbandona e da allora lei vive in preda alla disperazione perseguitata dagli spiriti.
Cacciati dopo aver incontrato un'indovina, impersonata da Agnieszka Rehlis (anche nella parte della madre superiora) – mezzosoprano polacco solista del Marinskij dalla voce piena e commovente - che continua a ripetere “Sista rista sista”, gridando che vede il sangue sulla veste di Renata, i due si rifugiano a Colonia inseguendo il Conte Heinrich, l'amante precedente di Renata che vi aveva riconosciuto il suo angelo di fuoco. Qui incontreranno tra l'altro Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim – il tenore russo Andreï Popov che impersona anche Mefistofele; e lo “spacciatore” di libri proibiti quanto di droghe allucinogene Jakob Glock, il giovane tenore ucraino Pavlo Tolstoy.
Viola, verde, rosa shoking, colori acidi rivestono neon e scene a cura di Boris Kudlička, compagno di avventure operistiche del regista polacco Mariusz Treliński, direttore dell'Opera Nazionale di Varsavia, insieme alle luci di Felice Ross ed ai costumi di Kaspar Glarner, ed al video di Bartek Macias. Su tre piani e nove “scomparti” o camere si estende il rettangolo dell'edificio a vista: si muovono gli stessi piani e le due stanze più estese sono la hall centrale in cui si svolgono le scene d'insieme come le coreografie di Tomasz Wygoda, e la stanza da letto di Ruprecht e Renata. Alla sua destra si trova lo stanzino per le letture della cartomante “Lisa”, il suo nom de plume, mentre a sinistra la stanza delle “visioni”, lì comparirà Agrippa e lì Renata implorerà l'angelo di apparirle. Questa enorme serie di spazi chiusi e sempre al buio sono prospettive che si duplicano esattamente come i personaggi: l'uno specchio dell'altro. Non avremo quindi un solo Agrippa, mago che nega di esserlo (nell'originale tre scheletri invisibili a Ruprecht gli gridano: “Menti!”), ma tanti doppi di lui, cosìccome l'Inquisitore interpreterà anche Faust, il basso incredibilmente convincente, scuro, misterico, poderoso basso polacco Krzysztof Bączyk (classe 1990). Muto, sarà Heinrich che colpisce come un demone sovrumano il povero Ruprecht, convinto da Renata a battersi con lui per ucciderlo e trasformato poi in nano dal suo tocco malefico (o del supposto angelo di fuoco?).
Il melange tra medioevo spiritico e dell'Inquisizione e traffici illeciti odierni, riesce del tutto: la droga che allucina Ruprecht quanto Renata – che ha delle visioni continue ed un comportamento da bipolare con continui cambi di scelta – riesce a perfezione. Il tutto acquista un tono del tutto sovrannaturale, dove gli spiriti sono evocati anche senza libri proibiti, partecipando continuamente della scena. Trelinski ha creato una dimensione “altra” che, fra le ombre ed i flash da discoteca obnubilano qualsiasi razionalità sostenuta dal narratore maschile, Ruprecht, in favore di una ben più salda liberazione emancipatoria femminile, Renata, che sopravvive a tutto, prima di tutto a sé stessa ed alle sue inibizioni disinibite solo con la personificazione dell'angelo di fuoco, Madiel, che ha una strana assonanza col nome del fazzoletto dove era raffigurato il volto di Cristo, il Mandylion.
“Ogni angelo è tremendo” proferiva Rainer Maria Rilke nella Erste Elegie, e su questo angelo scelto da Prokofiev ci sarebbe molto da dire, secondo i Grimori: dall'Heptameron pubblicato nel 1496 a I cinque libri del mistero di John Dee (1483), fino a Il mago di Francis Barrett del 1801, summa delle opere tra l'altro, di Agrippa di Nettesheim.
Lo stesso incontro di Ruprecht con Mefistofele nel bar malfamato dove il diavolo batte a morte un bambino su una pianta che sembra un'aloe piena di spine (lo mangia e poi lo rigurgita nell'originale) – e qui Andrei Popov è incredibilmente irriconoscibile: sembra un mafioso di bassa taglia inutilmente cattivo, gli rimprovera Faust; mentre come Agrippa era altissimo e algido – e poi lo fa rivivere intatto, assomiglia ad un percorso tormentato che il personaggio, sopravvissuto ai colpi di Heinrich, deve subire, una sorta di viaggio iniziatico cui deve sottostare.
Il personaggio dell'angelo nella versione di Trelinski è un Cristo senza volto, tutto dipinto o tatuato di nero e rosso scuro che scende da una croce: atterra anzi, solo nell'ultima scena ma sempre infrangendo una parete ed aprendo uno squarcio di luce e duplicandosi alla presenza delle novizie e dell'Inquisitore. E' lui che genera la ribellione (l'orgia nell'originale) delle ragazze ricoverate in un convento dove la Madre Superiora nasconde corna di caprone sotto la veletta nera, insieme ad un'altra religiosa. E lo stesso Inquisitore, prima cieco, denudato da Renata che sobilla le sorelle a ribellarsi dopo che viene accusata di essere una strega e di sovvertire l'ordine grazie ai demoni, si mostra tutto tatuato d'inchiostro nero. La fine che ha scelto Trelinski è liberatoria: la condanna al rogo di Renata si trasforma in rivoluzione delle giovani, che scelgono – in sei nella partitura; gli altri gruppi le sono contro, omologhe al potere della Madre Superiora (che è anche la tenutaria dell'hotel di prostitute e trans) e dell'Inquisitore – di seguire il troublement provocato dal'angelo, che altri non è che il responsabile del risveglio della sessualità. La stessa sua scomparsa nel sedicesimo anno puberale di Renata lo sostanzia, e la sua personificazione in Heinrich così come i turbamenti di lei per tutto ciò che è peccaminoso, se non con l'angelo di fuoco, ancora lo conferma.
Un'opera d'avanguardia, per temi, quesiti posti, musica espressionista, quanto le scene proposte, assolutamente anticipatoria come afferma Trelinski, e postmoderna allo stesso tempo. Girato come un film espressionista degli anni Trenta,questa regia e allestimento sono prodigiosamente forieri di plurime letture che non rispondono a tutte le domande, bensì ne pongono delle altre.
La direzione inappuntabile del Maestro Kazushi Ono, esperto di opera russa, da Čajkovskij a Shostakovich, si compone sugli accordi stralunati di una partitura quasi dissonante e e ricca di cromatismi, con i punti di luce tutti votati a Madiel. L'Orchestre de Paris ed il Coro dell'Opera di Varsavia preparato da Miroslaw Janowski sono stati perfettamente calibrati per un grandioso successo di pubblico, meritato appieno da questa produzione internazionale.