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L'Angelo di Fuoco a Torino. Il Musikdrama di Prokof'ev diretto da Gergiev
Dal primo all'11 febbraio 2012 - e qui la numerologia anche ci soccorre e s'incatena con questo dramma musicale russo con il numero primo e l'undicesimo, portatore di sventura, in una venatura simbolica già alchemica – al Teatro Regio di Torino si è rappresentato L’angelo di fuoco (Ognennyj angel), opera in cinque atti e sette quadri con musica e libretto di Sergej Prokof’ev dall’omonimo romanzo di Valerij Brjusov. L'allestimento è del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in coproduzione con la Royal Opera House - Covent Garden (Londra): l'Orchestra del Teatro Regio è diretta da Valerij Gergiev mentre Maestro del Coro è Claudio Fenoglio.
Un dramma autobiografico, quello di Valerij Brjusov, che nelle mani di Sergej Prokof’ev muta il punto di vista del narratore, dal personaggio di Ruprecht (perfetto come cantato e attorialità Evgenij Ulanov) – metafora di una mascolinità in bilico tra maudit e assertività – a quello di Renata – che nella recita dell'11 era impersonata dalla gloriosa voce (un po' troppo opulenta forse la stazza per il ruolo da ricoprire) di Larisa Gogolevskaja, la Brunilde del Crepuscolo degli Dèi diretto da Gergiev nel 2007 al Lincoln Center Festival. Questa donna posseduta dal demone dell'Angelo di Fuoco – ed il libretto del Regio delinea molto apporofonditamente l'enclave letterario e mitologico cui fa riferimento l'opera di Prokof'ev con svariati contributi da Marco Emanuele a Nadia Caprioglio a Scarlini ed altri -, dal nome di Madiel', riassume nella sua figura i variopinti e crudeli pregiudizi maschili, di cui le donne si sono fatte spesso masochiste portatrici, per cui qualsiasi sessualità libera dai vincoli del matrimonio o di un' “unione celeste”, come quella che va perorando Ranata, sarebbe peccaminosa e condannabile.
La musica si fa specchio di ciò che si svolge sulla scena ed è visibile solo alla follia di Renata, ovvero i demoni, efficacemente trasformati in mimi dipinti di bianco dall'allestimento del 1991 con la regia di David Freeman e guidati nelle loro acrobazie da Andrej Bugaev, rimandando ai due temi ricorrenti ed esplicativi di tutta l'opera anche in senso musicale: l'uno per Ruprecht, estremamente vivace ed estremamente cadenzato e chiaro, contrapposto acerbamente al tritono diabolico con cui Prokof'ev caratterizza Renata, adombrando fin dall'inizio la fine drammatica. Brilla di fiamma il tema dell'Angelo, conformemente alla sua natura, mentre l'intervallo del diavolo spunta tra i temi riferiti al soprannaturale (quando arriva l'indovina, mentre Ruprecht parla di magia e prima dell'episodio di Agrippa).
L'entrata nel “non luogo” dove abita Agrippa von Nettesheim a conclusione del primo atto (bravo il tenore Vasilij Gorškov) è particolarmente perturbante e la marcia inquietante ricorda da vicino i passi del soldatino di Stravinskij, il grande rivale di Prokof'ev: i tre scheletri testimoniano quanto Agrippa menta a Ruprecht, che si è rivolto a lui per aiutare l'amata Renata; purtroppo, Agrippa nega il suo aiuto e si chiude il secondo atto con una melodia infernale.
I mimi sono caratterizzati da un movimento di attrazione/attacco e repulsione/ritirata: da quelli che sono i loro movimenti scenici si afferra immediatamente quanto la potenza diabolica che sottende l'intera opera abbia guadagnato terreno, in particolare nella scena finale orgiastica. Durante la scena, unica con il coro delle suore che prima inneggia a Mefistofele che osserva dall'alto trattenendo Ruprecht dall'intervenire (il vivacemente spiritato Evgenij Akimov), e poi incolpa Renata della loro “possessione”, i mimi, prima lentamente e poi con inusitata protervia e prepotenza, spogliano le suore dei loro abiti per dare inizio alla festa pagana di fronte all'Inquisitore (straordinario il basso Aleksej Tanovickij nell'abito rosso che rimanda anche a Mefistofele): è una ridondante e agghiacciante chiusura dell'opera, tra dissonanze e perfidi inni al diavolo e al rogo in cui brucerà Renata.
Gli ostinati ritmici di cui è disseminata l'intera opera, la parodia del Faust con Mefistofele in primo piano nella locanda e poi nella grande grande festa pagana esplosa sulle rinunce e le promesse di Renata in convento, dipingono un concatenamento estremo tra musica, scene e drammaturgia (sempre di Prokof’ev, e questo è chiaramente uno dei motivi per cui si parla di Musikdrama à la Wagner) che è ben reso dall'allestimento del Teatro Mariinskij del 1991 con la regia di Freeman e nell'irriverente ed incendiaria visione che traspare dalla conduzione impeccabile di Gergiev, che riproduce con esattezza diabolica e propulsiva la corroborante inventiva iconoclasta di Prokof'ev.
Concludo con le parole di Mefistofele: "L'uomo, se si deve credere a Mosè, non è altro che un simulacro di Dio. Vorrei tanto sapere che cosa voi uomini conoscete all'infuori di simulacri." (Atto IV, p.127 del libretto). E questo spiegherebbe perchè anche Schopenhauer si sia occupato di occultismo pubblicando la memoria Animalischer Magnetismus und Magie e due capitoli successivi di Parerga und Paralipomena: nell'edizione comprensiva dei Fratelli Melita Occultismo e filosofia (1988), i due capitoli hanno come titolo Il destino dell'individuo e Saggio sull'apparizione degli spiriti e sua attinenza.