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77° Stagione Sperimentale. Grande successo per Turandot
Per la prima volta in settantasette anni lo Sperimentale ha messo in scena Turandot di Giacomo Puccini, scegliendo come finale quello realizzato da Luciano Berio, al Teatro Nuovo di Spoleto, lo spettacolo ha riscosso un grande successo al suo debutto, lo scorso 15 settembre. Una grande sfida perché l’ultima opera di Puccini è estremamente complessa e richiede un grande impiego di mezzi.
La fiaba dal titolo Turandot ha una origine antichissima con molteplici versioni e arrivò in Europa attraverso il filtro della tradizione persiana, come testimoniano il titolo Turandot - la figlia di Turan e il nome del protagonista Calaf. La fiaba si rivolge ai giovanissimi e tratta temi che riguardano il difficile passaggio all'età adulta, quello di Turandot è la sessualità, un problema condiviso da entrambi i sessi ma in modo diverso.
La scelta di un argomento fiabesco e simbolico fu insolito per Puccini, che dopo le opere giovanili, Le Villi e Edgar, nelle opere precedenti aveva sempre scelto testi in cui erano messi in scena i sentimenti di personaggi reali che li avvicinavano a quelli del pubblico. Una scelta che rispondeva alla sensibilità del musicista, ma da attento e abile uomo di teatro, Puccini si era accorto che il pubblico era cambiato e amava di più le opere con ambiente esotico, fantastico o simbolico così la scelta cadde sulla commedia che Gozzi aveva tratto dalla fiaba.
Per Turandot i librettisti si basarono più che sul testo prolisso di Carlo Gozzi (1720 - 1806) sull’adattamento della commedia realizzato Friedrich Schiller (1759- 1805). Molte delle commedie di Gozzi furono messe in musica, da Le Fate, opera giovanile di Richard Wagner, alle opere del '900, da Turandot non solo di Puccini, ma anche prima nel 1917, di Ferruccio Busoni, a L'amore delle tre melarance di Sergej Prokof'ev, a La donna serpente di Alfredo Casella, al Re cervo di Hans Werner Henze, tanto per citarne alcune.
Turandot è il personaggio simbolico femminile, che rappresenta il terrore del rapporto sessuale con il maschio, visto come un crudele predatore, la sua glaciale entrata lo racconta e così le implorazioni al padre dopo lo scioglimento degli enigmi, il gelo in cui si isola dal mondo è solo una difesa disperata.
Calaf è il personaggio simbolico maschile, che all'inizio è diviso tra la repulsione e la fascinazione per l'altro sesso e poi ha il coraggio di superare la prova dei tre enigmi, prova che gli consente di passare all'età adulta. Per questo a sua volta mette alla prova Turandot e le chiede di indovinare il suo nome: “conoscimi, non sono quel mostro che credi”. La soluzione del bacio, suggerita dallo stesso Puccini, consente il cambiamento, il bacio è il simbolo fiabesco del passaggio da uno stato infantile a quello adulto nel rapporto sessuale. I tre dignitari Ping, Pang e Pong sono la trasformazione delle maschere (Arlecchino, Brighella, Truffaldino e Pantalone) presenti nel testo di Gozzi, una scelta acuta dei librettisti, il loro comportamento oscilla tra il comico e il grottesco anche crudele, ma mostrano anche le loro umane aspirazioni.
L'opera è incompiuta perché, come spiegato benissimo dal musicologo Mosco Carner (1904-1985), il musicista nel terzo atto ha trasformato Liù da personaggio fiabesco di contorno in uno reale, spostando l'attenzione su di lei e facendone la protagonista di fatto nella splendida scena a lei dedicata. Il perché di un simile errore da parte di un esperto drammaturgo, quale era Puccini, è inspiegabile razionalmente, mentre da un punto di vista psicologico è comprensibile, è l'ossessivo ritorno al personaggio femminile prediletto delle sue opere precedenti. A lungo non riuscì a trovare la soluzione poi arrivò il tumore alla gola e il cedimento del cuore dopo l’intervento a Bruxelles.
La morte di Liù è l'ultimo brano orchestrato da Puccini mentre del duetto Turandot - Calaf sono rimasti solo gli appunti del musicista sempre insoddisfatto delle soluzioni. Il compito di finire l'opera fu affidato da Arturo Toscanini in accordo con l’editore Ricordi a Franco Alfano (1875- 1954). Il suo finale però fu giudicato troppo lungo da Toscanini, che lo tagliò. Così fu eseguito nelle recite successive alla prima assoluta, del 25 aprile 1926, in cui Toscanini in omaggio a Puccini si fermò alla morte di Liù perché era l'ultimo pezzo composto e orchestrato dall'autore; da quella volta Toscanini non diresse più Turandot.
Turandot è usualmente in scena con il finale tagliato di Alfano,in questo caso si è scelto il finale realizzato da Luciano Berio nel 2001 ed eseguito per la prima volta in forma di concerto a Las Palmas, nelle Isole Canarie, il 25 gennaio 2002, e in forma scenica a Los Angeles il 25 maggio 2002. Turandot col finale di Berio è stata rappresentata anche ad Amsterdam e Salisburgo e ha avuto la prima italiana l’11 novembre 2003 al Carlo Felice di Genova, mentre alla Scala è arrivata soltanto il 12 maggio 2015. Berio utilizza quasi tutti gli schizzi comprensibili lasciati da Puccini nelle 36 pagine di appunti (mancano solo quelli relativi a porzioni del libretto non musicate da Berio). Questo finale mostra sicuramente tutta l’abilità compositiva di Berio, ma è un pezzo sinfonico non teatrale. Comunque non sapremo mai come Puccini avrebbe superato il problema, né Alfano, né Berio sono la soluzione.
Dicevamo all’inizio che è stata una sfida perché i mezzi a disposizione dello Sperimentale sono limitati e l’esecuzione richiede una grande orchestra, coro e coro di voci bianche oltre ai cantanti e alla messa in scena, per questo è stata la prima volta. Il risultato è stato largamente positivo e ha riscosso il favore del folto pubblico presente. Puccini è un compositore del ‘900, apprezzato e citato da Schönberg, fu abile nell’usare dissonanze e ardite innovazioni armoniche in modo da farle accettare al pubblico. La partitura di Turandot è raffinata per le complesse sfumature timbriche, ritmiche, dinamiche assai complesse da rendere efficacemente. Il direttore Carlo Palleschi forte della sua esperienza è riuscito nell’intento e l’Orchestra del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” ha ben risposto alle sue indicazioni, altrettanto si può dire del Coro e Piccolo Coro del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” ben preparati da Mauro Presazzi.
Venendo agli interpreti non è mai inutile ripetere l’importanza e la perizia del lavoro con i giovani che avviene allo Sperimentale per avviarli alla carriera, né è inutile ricordare che cantanti come Mariella Devia e Renato Bruson sono usciti dallo Sperimentale e ora sono insegnanti nelle master class per i giovani. Suada Gjergji, soprano, possiede una emissione limpida, un timbro luminoso e mai metallico, con la sua voce intonata, potente, sicura, un’ottima dizione e una grande espressività e disinvoltura scenica, ha reso magnificamente il dolore e la paura di cui è prigioniera Turandot. Una piacevole sorpresa dopo troppe Turandot interpretate da cantanti wagneriane che vocalizzano arrivando quasi all’urlo, senza curarsi della dizione e della espressività.
Alessia Merepeza è stata una notevole Liù, applaudita anche a scena aperta, la sua voce limpida e morbida, unita all’attenta dizione e all’intensità espressiva le hanno premesso di rendere ottimamente il personaggio più amato da Puccini. L’avevamo ascoltata come Vera ne Gli occhi di Ipazia di Manzoni e Mariuccia ne I due Timidi di Rota e abbiamo notato una notevole duttilità vocale e presenza scenica nel rendere personaggi così diversi.
Un encomio meritano Davide Peroni, Oronzo D’Urso e Roberto Manuel Zangari, rispettivamente, Ping, Pong e Pang, sono parti difficili in cui hanno mostrato voci ben preparate, un bel timbro vocale, un notevole affiatamento e grande disinvoltura nel rispondere alle esigenze della regia.
Giordano Farina con la sua calda ed espressiva voce di basso unita a una buona presenza scenica ha ben reso Timur, Francesco Domenico Doto ha interpretato l’imperatore Altoum e Il principe di Persia con il suo limpido timbro tenorile unito a una rimarchevole presenza scenica e Giovanni Luca Failla con la sua bronzea e potente voce di basso si è ben calato anche scenicamente nel ruolo del Mandarino.
Calaf è stato Dario Di Vietri, l’unico già in carriera da tempo e non proveniente dallo Sperimentale, ha già affrontato questa parte in istituzioni prestigiose come l’Arena di Verona e il teatro San Carlo, ha una voce potente e ottima presenza scenica, non ci ha pienamente convinto l’interpretazione espressiva, ma ha comunque riscosso un grande successo ed è stato applaudito anche alla fine dell’aria “Nessun dorma”.
Alessio Pizzech ha voluto eliminare il contesto esotico per mettere l’accento sul contenuto simbolico della fiaba e con il valido aiuto scenografico di Andrea Stanisci ha immaginato uno spazio claustrofobico, enfatizzato dalla gabbia, immagine di quella inconscia e mentale in cui è rinchiusa la protagonista e da cui scaturisce la sua crudeltà. Crudeltà che scaturisce dalla paura e che vede in ogni uomo un crudele carnefice. Il tutto immerso in un’atmosfera atemporale da incubo, derivante dagli e incubi di Turandot, e violento, al punto che Cristina Scaramucci, la mima evocava una carceriera da lager. I movimenti. Alcune soluzioni sceniche coerenti con questa impostazione ci sono parse a volte ridondanti ed eccessive, ma comunque coerenti con l’idea di base. Il tutto realizzato anche con l’attento aiuto della brava Eva Bruno alle luci.
Clelia De Angelis è la preziosa e insostituibile costumista, che riesce a creare abiti belli e aderenti alle diverse idee dei registi, in questo caso per rendere l’impossibilità di diventare adulta di Turandot, l’ha vestita con un abito da bambina - abito che abbandona dopo il bacio - una visione sottolineata anche dal coro di voci bianche vestito nello stesso modo e con bambole in mano.
Festosi applausi, che si sono a lungo protratti hanno accolto tutti gli interpreti al termine dello spettacolo.