Supporta Gothic Network
AIX 2019. Il Requiem sincretico di Castellucci e Pichon
Al 71° Festival International Lyrique d'Aix-en-Provence un'altra nuova produzione di dimensioni atemporali come vuole l'opera che per la prima volta viene messa in scena: la grande messa per i defunti, il Requiem in re minore K626, che Wolfgang Amadeus Mozart non terminò. Ultima opera prima della sua scomparsa, è sempre sembrato un messaggio ultimo ed epocale, nonché ennesimo capolavoro. In questo allestimento a cura di Romeo Castellucci che abbiamo seguito lo scorso 8 luglio, abbiamo ascoltato alla direzione dell'Orchestra e del Coro Pygmalion il Maestro Raphaël Pichon presso il soprendente palcoscenico del Théâtre de l'Archevêché in replica il 10,13,16,18,19 luglio.
La morte di Mozart, il 5 dicembre 1791, interrompe il flusso di scrittura di questa grande opera finale che costò molto al compositore che, nella sua lettera al padre, il 4 aprile nel 1787, già scriveva: “Non mi addormento mai la sera senza riflettere sul fatto che, l'indomani (sebbene io sia giovane) potrei nonn essere ancora vivo.” E poche righe piu' in là, questo lo portava a dichiarare che, sapere questo, “è la vera chiave della felicità”. Commissionatagli da un vedovo afflitto per la morte della giovanissima sposa, di circa vent'anni, il Conte Franz von Walsegg, fu completata successivamente dall'amico e allievo Franz Xaver Süssmayr, su richiesta della moglie di Mozart, Constanze. Il Requiem è una messa in suffragio dei defunti, ovvero “requiem aeternam”, “riposo eterno” nella pace richiesta a Dio dai defunti per il perdono dei propri peccati e l'accesso alle vie del paradiso. La messa da requiem, dal Concilio di Trento in poi, ed in particolare dal 1570 con il Papa Pio V, doveva costituirsi secondo dei parametri ufficiali stabiliti dal rito comune: otto parti, ovvero l'Introitus, il Kyrie, la Sequentia, l'Offertorium, il Sanctus, il Benedictus, l'Agnus Dei e finale la Communio. In alcuni casi si possono aggiungere altre parti, il Pie Jesu oppure In paradisium.
Il progetto di Romeo Castellucci e Raphaël Pichon però si distanzia e sceglie di aggiungere sia canti gregoriani, sia altri brani sacri mozartiani: dal Meistermusik K477B al Miserere mei K90 con un finale In paradisum, canto gregoriano cantato alla fine dei riti funerari nel rituale cattolico. Questo flusso musicale ha di fatto creato un'altra opera, come ammettono gli stessi originatori dello spettacolo.
Sul palcoscenico in oscurità si addentra in una stanza semplice e povera una donna anziana: fuma una sigaretta, addenta una mela che lascia poi in terra e si distende nel letto dove poi scompare. Il letto viene coperto con delle lenzuola nere come il resto del poco mobilio e, il canto gregoriano iniziale, lascia il posto all'Introitus del Requiem con Coro e soprano, il soprano australiano dalla voce calda Siobhan Stagg. Questi intervalli continui tra il Requiem vero e proprio e gli altri canti, sia mozartiani sia non, creano un'incoerenza di fondo che, sebbene sia coerente con le danze tradizionali, rituale di primavera, di rinascita o di morte; comparsa di un correlativo oggettivo costante sul palco, un frutto (un'arancia) simbolo del peccato originale e molto altro; sospendono in qualche modo l'attenzione dalla musica e dal cantato, come se il vero nesso con il “riposo eterno” del titolo, fosse solo ed unicamente rappresentato, mutando la musica in commento sonoro, quasi in netta contrapposizione della concezione wagneriana di Wort-Ton-Drama.
Quel che vediamo sul palco è la storia dell'estinzione, o delle estinzioni, che partono dall'origine del mondo secondo la rilettura cattolica – e viene usato un frutto come l'arancio, poichè simbolico, in realtà la mela originale non esiste perché nella genesi esiste solo un albero di fico, e non un melo, in paradiso -: è chiaro che il sincretismo è alla base di questa prosizione principale, ovvero il “rito da officiare”, che sia di morte o di rinascita è in ogni caso perpetuo ed a circolo chiuso, un “eterno ritorno” di matrice nietzschiana. Il nastro di Möbius di Castellucci, coordinato con Pichon, quindi, è una minaccia ed una speranza per l'essere umano: la sicurezza della propria morte, “dalla terra alla terra” come vediamo nel seppellimento del palco alla fine; ed allo stesso tempo il pianto di un bambino che nasce e gattona su quello stesso palco. La vita come girandola danzante e festa della Natura, un Coro che ne canta afflizioni (le estinzioni) e lamenti; inneggia alla vita glorificando la morte: bravissima come sempre Sara Mingardo, come anche il tenore austriaco Martin Mitterrutzner; il basso Luca Tittoto è risaltato in particolare per potenza ed afflizione nel cantato in questo grande officio che mischiava tutto e tendeva all'indistinzione.
Grandissimo successo di pubblico e presenza dell'Orchestra e del Coro diretti da un sicuro Raphaël Pichon che conosce bene tutte le parti.