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Assassinio sull'Orient Express, una giustizia dolente
Torna al cinema, dopo oltre quarant’anni, Assassinio sull’Orient Express, tratto da uno dei più celebri romanzi di Agatha Christie ispirato all’autrice dal tragico caso Lindberg. Un classico di grande qualità di base ispira un film diverso dal precedente, visto varie volte in tv, ma non certo meno valido, perfetto per le nuove generazioni ma non solo.
Centrale è il personaggio di Hercule Poirot, interpretato da Kenneth Branagh che dirige anche, senza però tentazioni narcisistiche, pronto a raccontare una storia di un omicidio che mette a dura prova la visione manichea dell’investigatore, rappresentato con tutte le sue manie, cottura ottimale delle uova in testa.
C’è il bene e c’è il male dice Poirot all’inizio, ma poi di fronte all’esecuzione di un criminale colpevole di aver distrutto vite innocenti dovrà correggere in C’è il bene, c’è il male e poi ci siete voi.
Il film rispecchia comunque lo spirito dei romanzi di Agatha Christie, la loro costruzione in base allo schema della stanza chiusa, un treno bloccato dalla neve sulle splendide montagne francesi del Queyras che diventano il Montenegro della storia, con un Poirot in cerca di una vacanza che non riesce ad avere dopo una puntata a Gerusalemme alle prese con un caso prosaico di poliziotto corrotto, facile da giudicare e consegnare alla giustizia.
Branagh sceglie per il suo film un cast all star, a cominciare da uno Johnny Depp impegnato in un ruolo di cattivo, l’infido Ratchett che nasconde l’identità del sanguinario Cassetti. Accanto, ci sono una dolente e efficace Michelle Pfeiffer, una grintosa Penelope Cruz, l’emergente Daisy Ridley, la grande Judi Dench, il simulatore Willem Dafoe, il veterano Derek Jacobi, affiancati da altri volti più o meno noti come il simpatico Josh Gad e l’afroamericano Leslie Odom Jr che porta un’ottica più moderna alla storia, a raccontare la storia di una vendetta che si fa giustizia, per vite distrutte e di chi non c’è più e di chi resta.
Un film dove si inizia sorridendo per le gag di Poirot, con un Branagh che si mette sulle orme dei suoi predecessori in maniera degna (ed è lecito pensare che lo rivedremo forse anche in un remake di Assassinio sul Nilo, visto che parte per l'Egitto) e che termina con un interrogativo enorme, fin dove deve arrivare la giustizia, soprattutto di fronte a tragedie di bambini morti, innocenti suicidi, esistenze distrutte.
Il Poirot 2017 sceglie la spiegazione più logica ma non vera, come nella storia originale, ma portando l’attenzione non sul morto (Un assassino brutale ucciso in maniera altrettanto brutale, diceva il Poirot di Albert Finney negli anni Settanta) ma su un gruppo di non assassini che è difficile giudicare e colpevolizzare.
Non ci sono assoluti, nemmeno per un investigatore tutto d’un pezzo, e alla fine Assassinio sull’Orient Express parla di lutto, di dolore e anche della ricerca dell’umanità e della sospensione di giudizio da parte di un personaggio che viveva di certezze e che capisce che il mondo non è bianco e nero, ma in certi casi è sfumato.