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Il discorso del re di Tom Hooper. L'uomo che non si aspettava di divenire Re
Parte con il più alto numero di nomination a questa edizione degli Oscar, ben dodici, tra cui miglior film, miglior regia, migliore attore protagonista, migliore attore non protagonista e migliore attrice non protagonista. Il discorso del re (The King's Speech) di Tom Hooper ha la concreta possibilità di portarne a casa più di uno, e non solo per l'incantevole fattura da period movie in cui gli inglesi sono maestri.
Sono tanti gli elementi interessanti di questo piccolo grande film, storia morale di un momento cruciale della Storia del Secolo breve (per usare la celebre espressione di Eric Hobsbawm), raccontata in maniera insolita e con empatia e simpatia per i protagonisti, soprattutto per quell'uomo che non si aspettava di diventare re. Che in fondo avrebbe preferito non esserlo ma che poi seppe cavarsela egregiamente: e peccato che il film non citi l'impegno della famiglia reale durante la guerra, quando Giorgio VI, la moglie e le due figlie adolescenti andavano a trovare gli sfollati e le persone rimaste senza casa per colpa dei bombardamenti.
I riferimenti al secondo conflitto mondiale aiutano sempre, certo, così come le storie degli eroi per caso: eroi per caso come Bertie appunto, passato alla storia come Giorgio VI, figlio dell'anaffettivo Giorgio V, fratello del più esuberante Edoardo VIII, che incontrò sulla sua strada la pluridivorziata Wallys Simpson e fu tacciato di troppe simpatie per il nazismo: per questo dovette lasciare il trono al fratello minore, timido, con problemi ad esprimersi, marito innamorato della scozzese Lady Lyon e padre affettuoso della futura Elisabetta II e della principessa Margareth. Per riuscire ad imparare ad esprimersi in pubblico, Bertie andò a lezioni private dal logopedista di origine australiana Lionel Logue, dai modi non propri ortodossi, e riuscì a pronunciare un discorso che conquistò la sua nazione, diventando uno dei sovrani più amati e salvando l'immagine della monarchia di San Giacomo.
Una storia non retorica, legata alla grande Storia, ma fatta di quotidianità, di voglia di migliorarsi, di amore per la propria famiglia, di dovere che non toglie umanità all'eroe suo malgrado della vicenda, magnificamente interpretato da Colin Firth, attore che ha fatto di tutto, l'eroe romantico come l'antagonista, e che meriterebbe innanzitutto lui l'Oscar per questa interpretazione. Ma anche gli altri interpreti sono ottimi, da Geoffrey Rush, che passa con disinvoltura dai pop corn movies come Pirati dei Caraibi ai film d'autore, perfetto nei panni di Lionel Logue, a Jennifer Ehle, signora Logue che le fan di Colin Firth ricordano benissimo nello splendido sceneggiato Orgoglio e pregiudizio come Elizabeth accanto a Firth nel ruolo di Darcy. Senza dimenticare Helena Bonham Carter, anche lei a suo agio da Harry Potter ai film in costume nella parte di Lady Lyon, la futura amatissima Regina Madre vissuta fino a tempi molto recenti, e Timothy Spall, altro camaleonte del cinema anglosassone, qui nella parte di Winston Churchill.
Il punto è: saprà un film europeo, in perfetto British style, affermarsi ad Hollywood contro le pellicole statunitensi? Il discorso del re ha non poche frecce al suo arco: c'è solo da aspettare, vedendo nel frattempo quanti premi ha già raggranellato, tra Golden Globe, Bafta e Toronto film festival.