Supporta Gothic Network
Harry Potter e i doni della morte parte II.L'ultimo capitolo dell'epica potteriana
La più lunga saga cinematografica ispirata alla letteratura è giunta alla fine: dieci anni dopo il primo film, all'indomani dell'11 settembre, Harry Potter, terminato in libro nel 2007, arriva all'ultimo atto al cinema, attirando un pubblico composito, fatto di ex bambini cresciuti con i romanzi (il primo è uscito nel 1997) e adulti che si sono appassionati ad una saga che, caso non comune, ha saputo avvincere persone di diverse generazioni, per come ha saputo mescolare fiaba, tragedia, commedia, epica.
Sette libri e otto film sono tanti, ma in fondo non così troppi: e Harry Potter e i doni della morte parte seconda, dopo un inizio in cui ci mette un po' a prendere carburante, riesce a coinvolgere verso un finale che ha il sapore dell'epica, anche se non al livello di quella contenuta nel libro, da sempre superiori ai pur piacevoli e divertenti film.
In Harry Potter e i doni della morte 2 si parla di amicizia e di amore, di libertà e anticonformismo, di razzismo (la parata nella prima scena degli studenti di Hogwards ricorda quelle naziste dei documentari della Riefensthal) e di mescolanza (la scuola di Hogwards è un esempio di comunità multietnica anche se magica), di vita e di morte, di sacrificio e rimpianto, di ricordo oltre la morte e di ossessione. E se la battaglia finale tra Harry e Voldemort è molto più efficace nel libro che non nel film, dove viene sacrificata alla spettacolarità, chi ha divorato il libro ritroverà molte delle cose che ha amato, dalla dichiarazione di Ron a Hermione al duello finale tra Beatrix Lestrange e la signora Weasley.
Se i giovani interpreti, Daniel Ratcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Evanna Lynch, Tom Felton e Matthew Lewis (che nei panni di Neville Paciok ha un momento eroico), sono diventati i beniamini dell'attuale generazione, uno dei meriti della saga di Harry Potter è stato lo spazio dato a veterani del cinema britannico nel ruolo degli adulti, che hanno tutti un loro spazio nel gran finale, nel bene e nel male.
Su Helena Bonham Carter, crudele e pazza Bellatrix, Robbie Coltrane, il paterno Hagrid, Jim Broadbent, il saggio ma maneggione Lunacorno, sull'irriconoscibile Voldemort di Ralph Fiennes, spiccano due attori e due personaggi. Maggie Smith, sopravvissuta al cancro, si mangia tutte le altre colleghe per il brio con cui affronta la battaglia di Hogwards, tra campi di energia protettiva, cavalieri di pietra che tornano in vita e precisazioni contro il vero nome da dare al male. Ma il vero eroe del film è il Piton di Alan Rickman, straziante, appassionato, capace di fingere per sette libri odio e avversione quando in realtà i suoi sentimenti erano diversi, e di stare con il male essendo in realtà dalla parte del bene. Per Alan Rickman c'è già chi parla almeno di nomination all'Oscar, per sottolineare il percorso artistico di un attore noto da tempo ai cinefili e che grazie ad Harry Potter si è fatto conoscere e apprezzare dal grande pubblico.
E se qualcuno può storcere il naso di fronte ad Harry Potter bollandolo come troppo commerciale, non si può non riconoscergli due grandi meriti: uno, di aver spinto le giovani generazioni a leggere libri complessi con una trama non certo banale, due di aver riportato al cinema le folle, pronte ad appassionarsi, ridere, piangere, applaudire come ci raccontava Tornatore in Nuovo cinema Paradiso.