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Madama Butterfly al Teatro dell'Opera di Roma. Melanconia di genere
Uno dei titoli più celebri di Giacomo Puccini e più rappresentati nel mondo, Madama Butterfly, la tragedia lirica di ambiente giapponese è riapprodata dal 18 al 28 maggio 2010 al Teatro dell’Opera di Roma dopo le ultime tre annate a Caracalla nel 2005, 2006 e 2008. Il libretto di Illica e Giacosa tratto dal romanzo breve Madame Butterfly di John Luther Long e dalla riduzione teatrale di David Belasco.
Lo spettacolo che ci offre questo dramma dell’incomunicabilità delle culture prima ancora forse dei generi – l’uomo Pinkerton e la donna Butterfly – è spaventevole ai giorni nostri. Gli acuti splendidi di Amarilli Nizza nel ruolo principale, da lei calcato superbamente dagli esordi, non ci consolano di certo di una storia che purtroppo non è ancora anacronistica per grosse linee.
Madama Butterfly è una geisha che incontra il tenente americano F.B. Pinkerton e se ne innamora. Lui, un leit motiv dai tempi di Adamo ed Eva, pensa a tutt’altro, e trasforma il finto matrimonio inscenato per sostanziare il suo desiderio, in una sorta di legame a nodo scorsoio per lei che, tanto per alleggerire, rimane anche incinta di un pargolo mai nominato sebbene presente (lo si chiama Dolore nel libretto, così appropriato, sic!), fino al finale gesto riparatore dell’onore, il suicidio di Butterfly. A fianco di Amarilli Nizza nella parte del menzognero mercenario americano Pinkerton è Massimiliano Pisapia ed il più convincente e melanconico Sharpless di Alberto Mastromarino nella parte del Console sensale, non meno colpevole, mi si concederà.
La regia di Stefano Vizioli è attenta e riesce a catturare nei movimenti sulle scale, nei passaggi del tempo che però si riflettono con un velo di polvere sulle scene di Aldo Rossi del 1986. Tre piani che a volte distorcono la visione e la rendono si tragica, ma a volte sfuggente mentre le ombre cinesi al contrario esaltano le variazioni cromatiche di Franco Marri e del fondale, esacerbando il conflitto interiore di Butterfly. Daniel Oren alla direzione conduce con attenzione ed il coro muto è melanconicamente coinvolgente.
La parte di Anastasia Boldyreva che recita Kate Pinkerton forse è un po’ corta come da libretto ed è in qualche modo sprecata vista l’entità e la flessuosità della sua voce (sarebbe bastata una comprimaria). Le altre voci sono nella media come il Goro di Mario Bolognesi ed un’unica rimostranza per il talento di Amarilli Nizza e forse per la regia: che si notava poco il passaggio dall’adolescente alla donna di Butterfly sia nel cantato sia nella presenza e movimento scenico. Minimalisti ed eleganti i costumi di Anne Marie Heinreich.