Marsilio. La decadenza della scuola italiana secondo Galli della Loggia

Articolo di: 
Teo Orlando
Galli

Ad alcuni mesi dalla sua uscita, il libro di Ernesto Galli della Loggia L'aula vuota. Come l'Italia ha distrutto la sua scuola (pubblicato da Marsilio) ha collezionato un numero invidiabile di recensioni (tra cui si segnalano per l'accuratezza e l'equilibrio quella di Lucio Russo e per la vis polemica non disgiunta da acribia esegetica quella di Christian Raimo), senza però innescare quel dibattito che avrebbe meritato a livello di opinione pubblica e di media popolari. Certo, si tratta di un libro di non facilissimo approccio, connotato peraltro in modo diversificato: è a un tempo una ricostruzione storica di alcuni aspetti della scuola italiana dell'ultimo secolo, un pamphlet corrosivo e militante che cerca di criticare e di demistificare alcuni dei miti e dei riti più radicati della scuola "progressista" e un saggio storico-politico sul senso dell'identità nazionale italiana vista sub specie scholae.

Se il libro risponda effettivamente a queste ambizioni in modo completo e convincente è qualcosa che per ora lasciamo impregiudicato. Sicuramente l'intento ricostruttivo e il tentativo di saldare la storia della scuola con la faticosa ricerca di un'identità nazionale appaiono le parti più meditate e meglio argomentate del libro: sono una pars construens che, a nostro parere, avrebbe meritato ulteriori approfondimenti, mentre la pars destruens, spesso diretta ad attacchi ad personam, avrebbe dovuto essere meno unilaterale.

Nel primo capitolo, intitolato La realtà e i miti, Della Loggia si interroga sul motivo per cui la scuola e l'istruzione nel nostro paese sono andate incontro a un drammatico svuotamento di senso e a una clamorosa perdita di ruolo sociale: egli non discute in via preliminare se tale svuotamento di senso si sia effettivamente verificato; preferisce dare ciò per scontato e concentrarsi sulle cause, vere o presunte, di tale infausto evento. Da storico di formazione qual è, non sorprende che ravvisi la causa prima della perdita di senso in un rapporto erroneo con il passato. Sono infatti il peso della tradizione passata e quella che arriva a definire la "fede" nel suo significato che permettono la trasmissione di valori, di princìpi e di conoscenze di cui deve farsi carico la scuola: è solo ristabilendo un'idea forte di passato che si potrà poi eventualmente costruire un'idea positiva di futuro, che non miri solo a una distruzione iconoclasta del lascito degli antenati, come aveva sottolineato, inter alias, Hannah Arendt.

È nelle materie umanistiche (segnatamente, le lingue classiche, la letteratura, la storia e la filosofia, a cui l'autore, in una successiva risposta ai suoi critici, aggiunge la matematica, assimilata alla filosofia come materia che non ha un'immediata applicazione pratico-produttiva) che vanno cercati gli strumenti che consentiranno alle nuove generazioni un'autentica crescita intellettuale e culturale, per almeno tre motivi: 1) per la loro "inutilità" sicché rappresentano il luogo ideale dove ci si può abituare alle idee generali, ai concetti astratti, ai quadri concettuali complessivi e alle grandi imprese umane (quelle che fecero dire a Nietzsche che "la grandezza fu una volta possibile"). 2) perché dirigono il nostro sguardo verso il "totalmente altro", sia nel tempo, sia nello spazio, avvezzandoci sia alla relativizzazione storica, sia a quella culturale. 3) Perché non prevedendo l'esperimento e la verifica empirica, paradossalmente preparano meglio alla ricerca scientifica, se essa deve consistere nella capacità di stabilire nessi argomentativi o analogie inedite tra elementi già noti, inventando e scorgendo problemi nuovi più che risolvere problemi già dati. Benché le argomentazioni di Della Loggia siano serrate e convincenti, qui egli sta commettendo una (inconsapevole?) "fallacia riduzionista", nel senso che tende ad assimilare il paradigma metodologico delle scienze della natura a quello delle cosiddette scienze dello spirito, in controtendenza rispetto a ogni visione del mondo di stampo positivista. Sennonché, anche i filosofi più propensi a supporre un tipo di ragione unitaria (da Weber a Habermas, da Goodman a Danto) ritengono ad esempio che la metodologia dell'indagine sul mondo fisico non possa essere ricondotta a quella della ricerca storica, se non per alcuni fattori comuni di tipo nomologico. Certo, Galli della Loggia non sta scrivendo un saggio specialistico sul metodo della ricerca scientifica, ma su questi argomenti sarebbe necessaria maggiore cautela anche in un saggio di taglio semidivulgativo qual è il presente.

In realtà, Della Loggia molto abilmente vuole esaltare il valore paradigmatico delle scienze storico-sociali perché è su di esse che si può impostare ogni discorso che valorizzi il passato come fonte di valori e di autorità. Una volta venuta meno tale fonte, si è dovuto cercare un altro principio di autorità e di autolegittimazione: principio che Della Loggia, seguendo il sociologo e storico francese Marcel Gauchet, vede in un'interpretazione particolare della "democrazia", intesa come assenza di costrizione.

Pubblicato in: 
GN10 Anno XII 9 gennaio 2020
Scheda
Autore: 
Ernesto Galli della Loggia
Titolo completo: 

L'aula vuota. Come l'Italia ha distrutto la sua scuola, Venezia, Marsilio, 2019. Pp. 240. Euro 14,00.