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Musei Capitolini presenta Il tempo di Caravaggio
Le mostre dedicate a Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (1571 – 1610), attraggono folle di visitatori, come accade per gli “Impressionisti” e per Vincent van Gogh. Alcuni studiosi si chiedono se il fascino che esercita sul pubblico sia dovuto più che allo straordinario valore delle sue opere alla sua biografia: il carattere poco conciliante, il difficile rapporto con gli uomini di potere, la vita travagliata e violenta.
Un aspetto ricordato anche in occasione della mostra su Raffaello, per sottolineare come l’Urbinate affascini di meno le folle per la sua vita del tutto diversa, ordinata e regolare nell’attività con la sua bottega. Pochi sanno, però che Caravaggio è stato a lungo poco conosciuto e considerato solo un epigono della pittura rinascimentale. La sua riscoperta e rivalutazione iniziò grazie a un acuto e brillante giovane di ventuno anni, che incentrò la sua tesi di laurea su questo straordinario artista cogliendone gli aspetti innovativi nel realismo della sua pittura, quel giovane studioso fu Roberto Longhi (1890-1970) che diventò il più importante e originale storico dell’arte italiano del secolo scorso.
A questo grande studioso è dedicata nel cinquantenario della morte la mostra “Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi” curata da Maria Cristina Bandera Direttore scientifico della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi. È stata aperta il 16 giugno, in ritardo rispetto alla data programmata, il12 marzo 2020, perché sospesa in seguito alle misure di contenimento del Covid-19. L’esposizione si protrarrà fino al 13 settembre 2020, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi e organizzata da Civita Mostre e Musei e Zètema Progetto Cultura, mentre il catalogo è di Marsilio Editori.
La mostra, che omaggia Roberto Longhi non poteva non essere incentrata sui dipinti della sua collezione che riguardano il Merisi e i suoi seguaci al cui studio si dedicò ripetutamente nel corso della sua esistenza. Infatti alla tesi di laurea seguì il primo saggio del 1913 su Mattia Preti (Critica figurativa pura) seguirono quello su Orazio Borgianni,1914, quello su Battistello, 1915, quello su Gentileschi padre e figlia, 1916 e altri fino alla Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi, allestita a Milano in Palazzo Reale nel 1951 da cui ebbe inizio il successo di pubblico e a cui seguì la sua monografia Caravaggio del 1952.
In mostra c’è il Ragazzo morso da un ramarro del 1596-1597 realizzata all'inizio del soggiorno romano del Merisi, da Longhi acquistato intorno al 1928 e una selezione delle opere da lui raccolte di quei pittori che in vario modo furono dal Caravaggio influenzati e a cui il Longhi dedicò molti dei suoi studi da Mattia Preti a Valentin de Boulogne da Jusepe de Ribera a Matthias Stomer. La mostra è ospitata nelle sale espositive di Palazzo Caffarelli, 46 sono le opere scelte nella collezione di Longhi da Maria Cristina Bandera, che ha curato anche l'interessante catalogo edito da Marsilio Editori.
Longhi studiò il Merisi alla luce della pittura a lui contemporanea delle Avanguardie novecentesche e degli "Impressionisti" e ne vide il precursore della pittura moderna. Queste le sue parole per la mostra del 1951: “il Caravaggio, in luogo dell’ultimo pittore del Rinascimento, sarà piuttosto il primo dell’età moderna: conclusione che ad alcuni potrà sembrare ovvia, ma non sarà sentita a fondo finché non s’intenda il peso delle sue implicazioni mentali e di costume che, proprio perché riguardano un’età sempre aperta e in crescenza, suonano intensamente attuali. Il pubblico cerchi dunque di leggere “naturalmente” un pittore che ha cercato di essere “naturale”, comprensibile; umano più che umanistico; in una parola, popolare.” Tra le riflessioni esplicative di Longhi citiamo anche: "Caravaggio è la fondazione essenziale su cui imposta la tradizione di nuova plasticità ottenuta in materia pittorica e coll’ausilio della luce; ed è tradizione che in Francia dà i migliori dai Le Nain attraverso Chardin – fino a Courbet."
Già nella tesi di laurea aveva individuato l’importanza dell’ambiente culturale lombardo, bresciano e bergamasco nella formazione dell’artista. Di conseguenza la curatrice ha scelto di iniziare l’esposizione con quei pittori che Longhi, di nuovo nella sua tesi considerava i precursori di Caravaggio nella nascita del suo mirabile naturalismo. In Lorenzo Lotto, di cui sono esposti i due Santi domenicani e i due Dolenti, vide un esempio di raffinata ricerca luministica, nella Giuditta con la testa di Oloferne nel veronese Battista del Moro un’anticipazione della drammaticità e nel dipinto di genere le Pollarole del bolognese Bartolomeo Passarotti, che il Merisi vide a Roma nella collezione Mattei, quella del realismo.
Del Ragazzo morso da un ramarro ne esistono due versioni riconosciute autografe: quella in mostra, della Fondazione, eseguita per prima, e quella alla National Gallery di Londra. Il sospetto sull’autenticità si basava sul fatto che Caravaggio, a differenza di molti pittori, non replicava le sue opere. La ripetizione di un soggetto di successo su richiesta di un committente era un abitudine consolidata ma in questo caso rappresenta un’eccezione. Il modo innovativo nell’uso della luce è lo strumento per rendere efficacemente il realismo de il Ragazzo morso da un ramarro, che si manifesta nell’espressione contratta per il dolore del ragazzo. A questo si deve aggiungere la straordinaria realizzazione del vaso di fiori: una “natura morta” che avrà un seguito non solo nella produzione del Merisi. La Canestra di frutta in cui dipinse anche quella bacata è un esempio di pittura dal vero, Longhi lo sottolineò in un articolo in cui rappresentò un immaginario dialogo tra Caravaggio e Tiepolo, in cui il primo rivendica il primato della realtà sulla idealizzazione. Fu una lezione che influenzò anche la pittura di Diego Velasquez, anche solo, per rimanere in argomento, il vaso da fiori nel Ritratto dell’Infanta Margarita in un vestito rosso. Il pittore spagnolo venne a Roma per ben due volte e vi eseguì lo splendido Ritratto di papa Innocenzo X Pamphilij.
Nelle sale successive sono esposte opere degli artisti che in vario modo furono influenzati dal Merisi, che, ricordiamo, non ebbe né allievi né bottega. Tra i quadri in esposizione ricordiamo il veneziano Carlo Saraceni presente con tre dipinti: Giuditta con la testa di Oloferne, che dei tre è quello in cui l’influenza di Caravaggio è più pregnante nel gioco di luci e ombre, che si ritrova anche nel Ritratto del cardinale Raniero Capocci mentre nel Mosè ritrovato dalle figlie del faraone il paesaggio e la composizione richiamano più le atmosfere della scuola veneziana. In esposizione l’Allegoria della Vanità di Angelo Caroselli è rimarchevole per la pregevole tecnica che dà una luce smaltata al dipinto. Sono notevoli gli splendidi cinque Apostoli di Jusepe Ribera nell’uso della luce per dare plasticità e caratterizzare realisticamente le figure dei santi.
Di particolare interesse La negazione di Pietro, capolavoro di Valentin de Boulogne, è un mirabile esempio della diffusione del caravaggismo in Europa attraverso l’uso della “manfrediana methodus” di Bartolomeo Manfredi, che si diffuse nella Roma nel secondo decennio del Seicento. Inoltre l’ambientazione nella penombra evoca chiaramente la Vocazione di San Matteo del Caravaggio nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Tra i fiamminghi ricordiamo l’intenso Monaco che legge reso plasticamente dal gioco di luce della candela di Gerrit van Honthorst (Gherardo della notti), la drammatica Cattura di Cristo con l’episodio di Malco di Dirck van Baburen e soprattutto Matthias Stom in cui gli influssi caravaggeschi si fondono con i vivi colori rubensiani ne l’Annuncio della nascita di Sansone a Manoach e alla moglie e ne La guarigione di Tobit il cui il cielo evoca la scuola bolognese del Reni e del Guercino.
Non poteva mancare Mattia Preti, il cavalier calabrese, lungamente studiato da Longhi di cui sono in mostra il giovanile Concerto a tre figure, che rimanda palesemente a soggetti caravaggeschi e Susanna e i vecchioni, un capolavoro in cui è magistrale l’uso di luci e ombre che esaltano la sensualità del corpo di Susanna e oscurano i volti laidi dei vecchi. L’allestimento permette una ottima fruibilità delle opere in una mostra di grande interesse che ci auguriamo potrebbe spingere i visitatori, che non li conoscono, a leggere i saggi di Roberto Longhi, classici ineludibili della storia dell’arte.