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Palermo Teatro Massimo. L'inno all'Italia di Henze
L'inno all'Italia di Henze ha aperto la stagione del Teatro Massimo di Palermo: per la prima volta in Italia, dopo la première assoluta di Dresda, ed una avant-première con gli studenti della Folkwang Universität der Künste, due mesi prima, il 25 settembre del 2010. Gisela!, questo il titolo dell'ultima opera di Hans Werner Henze, si presenta come prima assoluta in Italia, tre anni dopo la morte del compositore, nel 2012, e con la regia di Emma Dante. Dal 21 al 27 gennaio 2015, diretta da Constantin Trinks, ha inondato il Massimo con i suoi pulcinella, memori di uno dei periodi più felici di Henze.
Gisela! è opera di teatro musicale, come il precedente Pollicino (1980), che fu eseguito per la prima volta da dilettanti come voleva lo spirito del Cantiere Internazionale di Montepulciano (SI) che aveva fondato nel 1976. Tutta la vita di Henze si può riassumere coma una dichiarazione d'amore all'Italia da quando, nel 1953 (a 27 anni, Henze è nato nekl 1926 a Gütersloh in Vestfalia) decide di stabilirvisi. E Gisela! Non è da meno: l'opera, in sette scene e divisa in due parti, con il sottotitolo di Die merk- und denkwürdigen Wege des Glücks (Le strane e memorabili vie della felicità), con il libretto suo insieme a Michael Krestan e Christian Lehnert, collaboratori di sempre, racconta di come la Germania, il paese delle nebbie – Nebelheim, con uno stretto parallelo simbolico con il Nibelheim del Ring di Wagner – si contrappone al paese del riso e del sole, come della canzone, l'Italia. E lo fa attraverso gli occhi di Gisela, la turista e studiosa di storia dell'arte tedesca in vacanza a Napoli col fiancé Hanspeter Schlukebier (traducibile più o meno come “ingoia birra”), che conosce Gennaro che fa la guida turistica e, durante una serata al Teatro San Ferdinando di Napoli dove li porta, lo riconosce come il “suo” Pulcinella. L'introduzione all'opera proviene proprio da quest'ultimo, Gennaro o Gennarino – straordinario e “guitto” il tenore Marcello Nardis nella parte-, che si erge sul palco propendendo sulla platea ed annuncia in napoletano la storia che si dipanerà tra poco: ovvero le tortuose vie della felicità, come recita il sottotitolo.
Dopo una breve ouverture Andante con moto, il Coro intona uno dei tre sonetti di Lehnert, Die Schmetterlinge (Le farfalle) che recita un passo sintomatico: “una farfalla deruba se stessa attraverso la ripetizione”, che instaura una diretta connessione con il ripetersi dei tendaggi del teatro e l'inganno che possono azionare. Andiamo sulla scena allora, che si apre su un caleidoscopio di teatri, i tendaggi rossi del Massimo - ideati sapientemente da Carmine Maringola - si ripetono quasi all'infinito, con numerosi pulcinella in bianco, rosso e nero con cappelli oblunghi che ballano sul palco. La regia è vigorosa e vivace nel suo estendersi in una Commedia dell'Arte, già proposta da Gennarino e replicata come in una grottesca rappresentazione di metateatro. I protagonisti dialogano sul palco sull'amore e si profila subito nei recitativi la contrapposzione nella visione dell'amore tra Gisela e Hanspeter – bravi entrambi la soprano Arianna Vendittelli ed il baritono polacco Şzymon Komasa e ben amalgamati -: lui, lo vede in senso organicistico (la chimica delle endorfine); lei, in senso assoluto e romantico, la realizzazione dei propri sogni e della felicità. Giunge anche Gennarino,che sulle farfalle e sui sogni aggiunge: “un sogno perduto, sino a quando la gente non si accorge di avere sognato.”: questa dichiarazione che rimanda a Borges e a Lao Tze, ovvero al dubbio filosofico sulla farfalla che sogna noi oppure siamo noi a sognare la farfalla, apre uno squarcio sulla seconda parte dell'opera, dopo che Gennarino e Gisela hanno deciso di fuggire in Germania per realizzare appunto il loro sogno. Vicino alla stazione difatti Gisela, scoraggiata dal tetro clima del suo paesello, Oberhausen (città mineraria della Ruhr), dove si era rifugiata con Gennarino, fa tre sogni, molto introspettivi su ciò che la preoccupa.
I tre sogni a cui assistiamo, messi in balletto dai coreografi Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, e con gli attori della compagnia di Emma Dante Sud Costa Occidentale, sono perfettamente sincronizzati con la musica di Henze che rivela un sottotono graffiante con echi dal Sacre strawinskiano, del suo Il Vitalino raddoppiato (1977) e passi in assolo del violino, viola e oboe, La rappresentazione della Morte come una donna alta ed avvolta in un vestito nero a ruota con un cappello a larghe falde con veletta nera, fa il paio con la Strega, dalla fiaba Biancaneve, - ma all'inizio anche Cenerentola - che vuole dare a Gisela la morte (primo risveglio), si prosegue col secondo, con i pipistrelli volteggianti sopra di lei ed il terzo, da Il Caro Orlando, coll'ultimo risveglio di Gisela che vede gli amici di Hanspeter aggredire Gennarino, li allontana e schiaffeggia Hanspeter. Finalmente partono per Napoli ed i tendaggi rimangono aperti sul magma porpora del Vesuvio, un leitmotiv cromatico che era partito dal rosso scarlatto delle maschere di Pulcinella.
Il direttore Constantin Trinks, nato a Karlsruhe e direttore del Badisches Staatstheater della cittadina dal 2006 al 2009, ha una lunga carriera wagneriana che lo ha condotto a Bayreuth, ha diretto perfettamente una musica ricca di colore variazioni che l'Orchestra ha ben evidenziato; bene il Coro diretto dal Maestro Piero Monti e la performance del Corpo di Ballo del Massimo, che ha dato la giusta enfasi alle cromatiche variazioni narrative e musicali dell'ultima opera dedicata alla Terra del Sole dal Maestro Henze.