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Santa Cecilia. Gergiev dirige Cho, Premio Chopin 2015
A Santa Cecilia è tornato il direttore russo del Marinskij di San Pietroburgo e del Gasteig, la Philharmonie di Monaco di Baviera: Valerij Gergiev ha portato con sé in tre appuntamenti, dal 2 al 4 febbraio, il Premio Chopin 2015, Seong-Jin Cho, premio consegnato dallo stesso direttore al giovane coreano a Varsavia. Insieme alla prestigiosa Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gergiev e Cho presenteranno la famosa Rach 3, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Sergej Rachmaninoff, seguito da Le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij e annunciato da Naughty Limericks di Rodion Ščedrin.
Le divertenti Canzonette dispettose, suona così tradotto in italiano Naughtly Limericks di Rodion Ščedrin (Mosca, 1932), hanno inaugurato il concerto in allegre tirate tra jazz e stridenti, nonché percussivi, ritmi popolari di sicura presa sul pubblico, che né stato subito compiaciuto applaudendo il Maestro russo nella direzione di uno dei compositori che spesso presenta nei suoi concerti, e celebre per il matrimonio con la ballerina russa Majja Pliseckaja (Mosca, 1925- Monaco, 2015), dedicataria di innumerevoli coreografie e giudicata da Nikita Chruščëv (Krusciov) “la miglior ballerina del mondo”, cosa che le ha permesso di viaggiare all'estero anche durante la Guerra Fredda. Rodion Ščedrin fu autore di 24 preludi e fughe, come il suo amato Dimitrij Šostakovič, cui ha dedicato anche dei Dialoghi, e del Primo concerto per orchestra, scritto nel 1963 e dedicato a Gennadij Roždestvenskij, primo direttore del Teatro Bol'šoj a solo vent'anni, e direttore della Grande Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione dell'URSS.
Non ci si improvvisa di certo col capolavoro del Rach 3 che Sergej Rachmaninoff ha scritto nel 1909, ed eseguito da lui stesso in prima mondiale il 28 novembre dello stesso anno a New York diretto da Damrosch – ed in seguito diretto da Gustav Mahler alla Carnegie Hall (1910), annotiamo –, ed è infatti il vincitore dell'ultimo concorso Chopin ad ottobre 2015, Seong-Jin Cho (1994) ad eseguirlo, che aveva vinto il terzo premio al Concorso Čajkovskij nel 2011, a soli 16 anni di età, di nuovo premiato dal direttore Gergiev a Mosca. Firmando in esclusiva per la Deutsche Grammophon ed avendo già siglato accordi con le più importanti orchestre e direttori del mondo, Gergiev in primis, ne citiamo una manciata: Royal Concertgebouw Orchestra, la Mariinsky Orchestra, la Munich Philharmonic Orchestra, la Berlin Radio Symphony Orchestra, fino a direttori come Myung-Whun Chung, Lorin Maazel, Marek Janowski, Mikhail Pletnev, e Vladimir Ashkenazy: è definitivamente un astro in ascesa di sicura brillantezza, come abbiamo potuto saggiare durante il concerto, dove ha regalato al pubblico osannante anche un bis da uno Studio patetico di Aleksandr Skrjabin (Mosca, 1872-1915).
Il Nostro si muove come velluto sui tre movimenti che compongono il Rach3 – Allegro ma non tanto, Intermezzo: Adagio e Finale: Alla breve –; sono un tutt'uno come un premonimento della fine: la réunion che agirà al termine sarà intercalata da una serie di arpeggi raffinatissimi sempre in accelerando mentre il tocco caldo di Cho non perde una nota e, come Rachmaninoff, sottolinea dolcissimo il romanticismo incluso nella partitura riportandolo indietro addirittura a prima della composizione e con un tocco caudato. Nella ripresa del tema del primo movimento, nell'Adagio, Cho brilla più che mai, insieme alle variazioni dei legni, avvincenti, coinvolgendo omogeneamente l'Orchestra tutta verso il baldanzoso finale in composito affiatamento con Valery Gergiev.
Il 29 maggio 1913 data Le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij, quando il Théâtre des Champs-Elysées fu sconvolto dall'evento “tellurico” della Sagra della primavera, uno dei più straordinari dei Ballets Russes allestiti dal “genio” di Sergej Pavlovič Djagilev, in una Parigi nei primi scorci del Novecento, tra ballerine russe e Belle Époque. Il fondo di un rito pagano, un capro espiatorio che vede in una fanciulla da omaggiare agli Dei della terra per propiziarsi la primavera il nucleo dell'idea originaria, presentò allora le magnifiche coreografie di Vaclav Fomič Nižinskij, il ballerino russo emblema dei Ballets Russes, in un connubio slavo senza soluzione di continuità tra impresario, musicisti e ballerini: un'effervescenza che creò un genere che si è cercato sempre di replicare fin da allora, stabilendo un primato tuttora indiscusso.
L’opera è strutturata come un poema sinfonico, con la potenza di sovvertire completamente la mentalità in fondo piccolo borghese del tempo ed ancor oggi con una presa indiscutibile sulle nostre sorgenti più ataviche. Le introduzioni alle due parti in cui si divide l’opera (L’adorazione della terra e Il sacrificio), allusive del risveglio della natura, sono state rese conferendo estrema evidenza alle coloriture rarefatte e suggestive che dipingono i suoni con tocchi misterici.
La paganità e la sacralità di un rito che esprime i profondi nessi con la Russia più antica e rurale infiorettano degli ostinati roteanti intorno ad un'unica nota, ciclicamente, avvolti in nuclei statici che riaccendono di continuo l'energia sorgiva della danza, fino a scrosciare nelle quintine della turbinosa danza finale. Irregolarità tenaci che si dissolvono tra ritmi percussivi e fortissimo degli ottoni che Gergiev ha fatto alzare alla fine della cavalcata finale.
Il favore intenso dei presenti ha scaldato la sala Santa Cecilia in applausi da tutte le parti, platea e gallerie, entrambe ricche di un pubblico appassionato che ha richiamato Cho e Gergiev sia prima sia dopo l'intervallo.