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Santa Cecilia. L'omaggio struggente di Valery Gergiev
È tornato sul podio di Santa Cecilia di nuovo con la sua Orchestra del Teatro Marjinskij di San Pietroburgo: il 12 aprile 2013 Valery Gergiev ha reso omaggio a Verdi e Wagner per il bicentenario, con La Forza del Destino e il preludio dall'Atto primo del Lohengrin. Insieme al virtuoso violoncellista russo Alexander Buzlov, ha omaggiato Čajkovskij con le Variazioni Rococò, terminando con una delle tre War Symphonies di Šostakovič, la tenebrosa Sinfonia n. 8.
Ascoltare le mani di Gergiev dirigere Verdi è un'esperienza unica: l'alito patriottico che riveste un brano come La Forza del Destino (1862), commissionata proprio dalla corte imperiale di San Pietroburgo e dal respiro francese di grand-opéra sulle orme dei suoi Les vêpres siciliennes (1855), percorre le venature delle dita di Valery Gergiev con vigorosa enfasi, a condividere appieno quegli squilli di ottoni che gettano nella fronda, ed appropriandosi di quel lirismo nostalgico che rende Verdi uno dei padri dell'operistica più eccelsa, e lo avvicinano all'astro di Lipsia, così attento ad ottoni e a fiati.
Il Vorspiel al primo atto di Lohengrin è uno dei successi di Wagner, dal respiro struggente degli archi che si muovono come un corpo unico dietro le mani del direttore russo insediatosi al Marjinskij fin dal 1978 come direttore stabile. Lancina di emozioni con la sua delicatezza glissando: la favola del cigno e dell'eroe termina in un pianissimo inusitatamente morbido, tutto convergente sulla mistica del Graal e del suo motivo precipuo in la maggiore, così all'inizio come alla fine.
Le mirabilanti e brillanti Variazioni su un tema rococò per violoncello e orchestra (versione di Wilhelm Fitzenhagen, 1889) di Čajkovskij si arricchiscono della partecipazione al violoncello solista del russo Alexander Buzlov, che ha omaggiato il pubblico di Santa Cecilia con una verve ricca sia a livello di frase espressiva ed allo stesso tempo sensualmente delicata ed ammiccante. Il violoncello protagonista ha una parte melodica che si avvale di spunti via via più ritmici esponendo edulcorati accenti virtuosistici soprattutto nella seconda parte e nel finale eclatante e veloce, regalandoci anche un richiestissimo bis.
La seconda delle War Symphonies di Šostakovič - la Philips le ha raccolte tutte in dvd proprio dirette da Gergiev incise con questa orchestra, quella della Netherlands Radio e del Kirov nel 2005 - insieme alla conosciutissima Settima, la Leningrado, e la Nona: quest'ultima Ottava però racchiude un cuore più cupo e tremebondo delle altre due, come afferma lo stesso amico di Šostakovič, Isaak Glikman, e come conferma lo sconcerto al suo ascolto. Sebbene si nutra di rimandi e ripetizioni di stampo mahleriano, il processo musicale che elabora Šostakovič è ben diverso ed è connotato da un'amara impassibilità di fronte alla distruzione, ed i due scherzi, l'Allegretto e l'Allegro non troppo, rispettivamente secondo e terzo movimento dei cinque complessivi, si coniugano in figure meccanico-parodiche di scherno, tanto da far rabbrividire invece che sollevare.
Gergiev ha messo in risalto queste caratteristiche e le graffianti staffilettate degli archi che glissano su quel che sembra un triste monologo intarsiato di temi cupi sono direttamente connesse con la situazione coeva della sanguinosa Battaglia di Stalingrado - per questo è soprannominata Stalingrado - terminata proprio nel 1943 (17 luglio 1942 - 2 febbraio 1943), dove furono sconfitte le potenze dell'Asse. La sinfonia è dedicata al suo primo direttore, Yevgeny Aleksandrovich Mravinsky, che la diresse con l'Orchestra USSR il 4 novembre 1943 a Mosca e di cui ricordiamo una memorabile incisione del 1982 con la Leningrad Philharmonic Orchestra. A Santa Cecilia fu diretta l'ultima volta nel 2006 da Mstislav Rostropovič, uno dei migliori direttori per il compositore perseguitato ed osannato allo stesso tempo da Stalin.
La Sinfonia n. 8 si divide sostanzialmente in due parti: la prima comprende i movimenti uno e due, il monumentale Adagio caratterizzato da un lirismo inquieto che si riverbera ad ondate traverse, un motivo “fatale” (il corno inglese) che preannuncia il finale senza speranza. L'Allegretto che segue è uno scherzo con elementi di marcia però appena abbozzati e mai conclusi, una parodia che innervosisce ad ogni attacco per esaurirsi in un nulla di fatto.
L'Allegro non troppo inizia il secondo blocco di tre movimenti: un'ossessione che si ripete ciclicamente e ricade su sé stessa con accenti scroscianti e percussivi, mentre gli archi, compassivamente legati, ricordano una “scherzosa” - in termini musicali e non - sconfitta dell'individuo nel nome del Presidente del Soviet supremo Stalin. Evidenti approcci dissonanti che ricordano il Tristano hanno un sapore dissacratorio e disperante.
I presagi nefasti discendono nel Largo sul campo di battaglia per spegnere ogni alito in attesa della fine: il limbo della Passacaglia in do diesis minore si accende solo con l'assolo finale del flauto per stemperarsi nell'Allegretto, ultimo movimento, che elabora un rondò e apre ad un luminoso do maggiore che suona però come un falso avviso: la ballata macabra è lì che s'insinua, riportando il tema dell'Adagio iniziale in primo piano e la sua inusitata tristezza. L'estrema concentrazione ha portato Gergiev a scandire il tempo di chiusura con estrema limpidezza, attendendo a lungo prima di sciogliere le fila ed essere accolto da un vibrante e scrosciante applauso.