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Santa Cecilia. La Nona di Mahler. Dove la musica si sposa con il silenzio
La Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica martedì 5 aprile 2011 ha visto sul podio Antonio Pappano alla guida dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per un’esecuzione esclusivamente mahleriana, quella della Nona Sinfonia in re maggiore.
Una partitura di grande difficoltà, una performance tecnicamente impeccabile, una profondità metafisica difficilmente eguagliabile, un impegno richiesto agli ascoltatori che devono coniugare al massimo grado fruizione e riflessione, una sentenza definitiva sul rapporto tra musica e silenzio: tutti questi sono gli elementi che hanno concorso a rendere l’esperienza di quest’ascolto unica e irripetibile, benché certamente non per ascoltatori distratti.
Del resto, come ha osservato Theodor W. Adorno, Gustav Mahler spesso comunica attraverso il discorso indiretto, il che da sempre è stato percepito in lui come momento ironico o parodistico. Secondo Arnold Schönberg, in realtà, nella Nona sinfonia Mahler non sembra più parlare come individuo. Si direbbe quasi che quest’opera sia di un autore ignoto che si serve di Mahler come se fosse il suo portavoce o il suo interprete.
La Sinfonia n. 9 fu composta tra il 1908 e il 1910, e fu l'ultima sinfonia che il grande musicista riuscì a completare (della Decima abbiamo solo un ampio abbozzo). Ebbe la sua première a Vienna il 26 giugno del 1912, con un direttore d’eccezione, Bruno Walter, che di Mahler era stato assistente.
La sinfonia presenta i tradizionali quattro movimenti, ma in modo insolito in quanto il primo e l’ultimo tempo sono tempi lenti, contrariamente all’abitudine che li vuole veloci. Quest’inusuale articolazione per una sinfonia di stampo classico ha indotto alcuni studiosi, come Jason Khogsenfield, a un paragone con una partitura per altri versi diversissima, ossia con la la Sinfonia n. 6 (“Patetica”) di Pëtr Il'ič Čajkovskij: anche in questo caso il primo movimento comincia con un adagio che rievoca dei momenti autobiografici i quali assurgono a una sorta di epica interiore, mentre il finale sembra un congedo alla vita.
Pappano sale sul podio accompagnato come d’abitudine da un sommesso ma convintissimo applauso, e attacca con il primo movimento (Andante comodo), che sembra cominciare senza gesti intrusivi, quasi insinuandosi gradualmente nelle orecchie degli ascoltatori. Pur essendo scritto con moduli tradizionali, dietro questo movimento si avverte quasi da subito il sorgere impetuoso delle nuove tendenze atonali, che prorompono instabili a minare la fermezza della regolarità tonale delle armonie principali. È come se con questa sinfonia, che è quasi il suo testamento, Mahler avesse uno sguardo da Giano bifronte, rivolto al passato e alla tradizione nelle sue grandi strutture, ma proteso al futuro allorché si trattava di cesellare in modo più accorto alcuni passaggi tematici.
In qualche modo, in questo movimento viene ripensata la classica forma sonata in un’apparente essenzializzazione: le 450 battute di cui è composto formano una sola melodia, come hanno osservato Winfried Zillig e Theodor W. Adorno. Per quest’ultimo, tra l’altro, questo movimento della Nona Sinfonia, da lui considerata il capolavoro di Mahler, si connette strettamente con Das Lied von der Erde (una composizione per voci soliste e orchestra scritta nel periodo intercorrente tra l'Ottava e la Nona sinfonia), con la differenza che essendo musica assoluta vive di eterno presente, quasi obliterando la dimensione del ricordo, di cui è invece intessuta la vocalità dell'altra opera.
Il movimento si apre con un esitante motivo sincopato (che alcuni, tra cui Leonard Bernstein, hanno suggerito potesse essere una trasposizione musicale del battito cardiaco irregolare che affliggeva il compositore), che poi ritornerà nel culmine dello sviluppo come un’improvvisa intrusione della morte "nel mezzo della vita” (e lo stesso Mahler annotò sulla partitura: “con la massima intensità”). E in effetti, il suono del violoncello sembra riprendere l’Abschied conclusivo di Das Lied von der Erde, al punto che la Nona Sinfonia avrebbe anche potuto avere come titolo “Der Abschied” (Il commiato).
Inoltre, nel tema principale si può scorgere anche una citazione dal motivo di apertura della Sonata per pianoforte n. 26 di Ludwig van Beethoven, "Les Adieux", op. 81a, a Mahler molto cara perché la interpretò in suo saggio giovanile. Del resto, Alban Berg scrisse in una lettera: “Ho percorso ancora una volta la partitura del primo movimento della Nona sinfonia di Mahler: è la cosa più celestiale che Mahler abbia scritto. È l’espressione di un eccezionale amore per la terra, il desiderio di vivere in pace, godere la natura prima che venga la morte”.
Quanto questo movimento sia importante è confermato dal fatto che all’ingresso della sesta battuta i secondi violini aggiungono l'elemento decisivo, l'intervallo discendente di seconda, che costituisce il vero perno della Sinfonia e i cui sviluppi armonici si trovano anche in altri celebri brani mahleriani per segnalare il senso di perdita ed abbandono. La prima occorrenza è non a caso nel Lied “Ich bin der Welt abhanden gekommen” ("Ormai non mi ha più il mondo, mi ha perduto", tr. it. di Quirino Principe).
I lineamenti delle categorie formali e materiali di Mahler si fanno qui particolarmente nitidi, quasi "fisiognomici", perché la musica sembra precipitare come in un caleidoscopio. Quando si conclude lo sviluppo del primo movimento l’effetto, secondo il musicologo Erwin Ratz, è “come di un crollo spaventevole”.
Il secondo movimento (Im Tempo eines gemächlichen Ländlers. Etwas täppisch und sehr derb) è una danza tradizionale in tre quarti, antesignana del tipico valzer viennese, ossia un Ländler, già usata nel secondo tempo della Prima sinfonia: ma qui è stato distorto a tal punto che conserva poche analogie con la danza originaria, fino a diventare quasi una marcia funebre.
Il terzo movimento (Rondò. Burleske. Allegro assai. Sehr trotzig) ha la forma di rondò, e mostra la maturazione finale delle abilità contrappuntistiche di Mahler. Si apre con un tema dissonante eseguito dai fiati e che viene trattato nella forma di una doppia fuga. Gli archi poi introducono all’unisono un ulteriore motivo basato su cinque note, con reminiscenze dal celebre secondo movimento della Quinta Sinfonia. L'aggiunta dell’espressione Burleske (una sorta di parodia con imitazione) nel titolo del movimento si riferisce a un inconsueto connubio delle dissonanze con il contrappunto barocco. Il carattere umoristico spesso associato con il tema Burleske qui in realtà è alquanto relativo: prevalgono semmai le parti intensamente ritmate, in modo quasi frenetico, che solo raramente si stemperano in momenti giocosi e leggeri, quasi di stile neoclassico (con un’annotazione sulla partitura: “ai miei fratelli in Apollo”).
Il movimento finale (Adagio. Sehr langsam und noch zurückhaltend) si apre con una sommessa introduzione degli archi (con echi dal motivo popolare Eventide), con una citazione diretta dalla parte centrale del terzo movimento. Siamo di fronte a una vera e propria elegia, marcata dal passaggio della tonalità da re maggiore a re bemolle maggiore, con una diminuzione di un semitono che proietta l’ascoltatore in una dimensione quasi crepuscolare. Il movimento sembra evolversi con una serie di climax appassionate, ma negli ultimi minuti si attenua, diventando sempre più frammentato, con una coda dove la musica incontra il silenzio. I primi violini interpretano quasi funerariamente il senso della fine e della graduale estinzione: lo stesso Mahler aveva annotato, citando dai suoi Kindertotenlieder: “Im Sonnenschein! Der Tag ist schön auf jenen Höh'n!” (Nel risplendere del sole! Il giorno è bello sulle cime lassù).
Meno celebre perché meno cantabile dell’Adagietto della Quinta Sinfonia, il finale della Nona esprime in modo mirabile una sorta di smaterializzazione del suono, un suo trapassare dialettico nel silenzio. Parte in effetti dalla rielaborazione di materiali tratti dalla tradizione (soprattutto dalle Passioni di Johann Sebastian Bach) e da un altro compositore da lui amato, ossia dall’Adagio della Nona sinfonia di Anton Bruckner, ma poi diventa progressivamente privo di qualsiasi adornamento, fino a mutarsi in una sorta di guscio vuoto, quasi uno scheletro privo di vita, scandito dalle notazioni del compositore (äusserst langsam, estremamente lento).
È il presagio della morte, a cui forse Mahler si abbandonava con un afflato di speranza, inseguendo una sorta di trasfigurazione nel divino, che lo portò quasi a identificare sé stesso nella figura di Cristo. Per dirla con i versi immortali di John Keats, così cari anche a Borges: “Darkling I listen; and, for many a time/I have been half in love with easeful Death,/ Call'd him soft names in many a mused rhyme,/To take into the air my quiet breath;/Now more than ever seems it rich to die,/To cease upon the midnight with no pain,/While thou art pouring forth thy soul abroad/In such an ecstasy!” (“Nel buio ascolto io che spesso/Ho quasi fatto l’amore con la facile morte,/L’ho chiamata coi versi più teneri della mia poesia,/L’ho pregata perché nell’aria via si portasse il mio respiro—/E mai come adesso m’è sembrato ricco il morire:/Spegnersi a mezzanotte, senza dolore,/Mentre tu butti fuori l’anima/In un’estasi stupenda!, Ode to a Nightingale/Ode a un usignolo, tr. it. di Silvano Sabbadini).
Una speranza non priva di angoscia, che ben potrebbe essere esemplificata dai versi di una poetessa austriaca contemporanea, così affine nello spirito a Mahler, Ingeborg Bachmann: "Ich muss doch Gottes sein in allem Widerspruch./Ihn so zu glauben, wie ich glauben muss,/Muss er notwendig sich aus seinem Strahle geben" (Io devo essere di Dio in tutta contraddizione/Credere in lui come debbo credere,/Deve concedersi dal suo splendore, Ich frage, Io domando).
Al termine dell’esecuzione, Pappano ha ricevuto un’autentica standing ovation, presentando una per una le “prime parti” dell’orchestra, che hanno contribuito in modo decisivo alla superba qualità del concerto.