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Svestite da uomo. L'abito fa l'identità
Valeria Palumbo, giornalista, caporedattore de L’ Europeo, affronta il tema del travestitismo femminile nel libro Svestite da uomo, edito da Rizzoli. Quante donne oggi, nel nostro Occidente, credono di potersi ancora mimetizzare, o preservare, o estendere la propria personalità rappresentandosi in abiti maschili? O forse è divenuto un gesto automatico, banalmente corrente? Non fu sempre così.
Per quanto una donna in abito maschile sia un'eventualità non più oramai rimarchevole, la giornalista ci ricorda come nei tempi, dall’antico Egitto ad oggi, le donne abbiano adottato questa soluzione per sfuggire ad un destino indesiderato, o aprire sé stesse ad una possibilità di vita, oltre la ristrettezza che l’essere donna comportava.
Qualcosa accade ancora oggi a noi quando rapide ci infiliamo un paio di pantaloni: acquisiamo comodità, tutelate siamo forse più libere di affrontare la giornata, seppure perdiamo ogni volta un poco di femminilità. L’essere vestite in modo funzionale ai ritmi della modernità qualcosa ci regala, e qualcosa ci sottrae.
Le nostre antenate si trovarono a dover adottare una simile strategia spesso in difesa della loro stessa vita. La giornalista documenta e narra un alto numero di casi nelle più diverse ambientazioni, dalle antiche egizie, alle vicende di pervicaci monarche europee, o mistiche, travestite da frati e nascoste al mondo in una vita di eremitaggio, fino alle attrici, scrittrici dei tempi moderni, esploratrici, o amazzoni, pistolere, poetesse, cortigiane, tutte accomunate dalla scelta di adottare abiti maschili, alcune preferirono quella identità, abdicando per sempre al femminile.
Sorprende come Hatsepsut, vissuta nel 1500 a.C, per rendere legittimo il proprio regno, dopo aver messo in atto un colpo di stato, si proclamasse Faraone e adottasse il classico abito maschile, con copricapo e gonnellino, facendosi ritrarre provvista di barba finta, fino a cambiare il proprio nome in Hatsepsu, nome maschile. Perfino la potentissima dea babilonese Ishtar, dea della fertilità e del ciclo vitale, ma anche della battaglia e della morte, era raffigurata con attributi maschili e femminili.
Pare che le donne in abito maschile, dalle Amazzoni alle cortigiane, abbiano destato sconcerto e affascinato i maschi, succubi di una curiosità erotica nei loro confronti, verso coloro che mostravano di possedere una duplice intenzione di donne sì, ma prive del timore di attribuirsi, per gioco o per vocazione, anche una identità maschile.
Così della scrittrice George Sand, che firmava le sue opere con pseudonimi maschili e parlava di se al maschile, nonostante fosse stata per tutta la vita una instancabile seduttrice, si ebbero percezioni opposte. Turgenev disse di lei: ”Che uomo coraggioso era e che brava donna!”, cogliendo l’intenzione dell’autrice in modo entusiastico, mentre Baudelaire ne disprezzò l’opera artistica ma anche la moralità.
Il libro è ricco, colmo di aneddoti, brevi storie, affreschi, non solo quelli già universalmente noti, icone come la Garbo o Calamity Jane, ma molte del tutto sconosciute. Rende giustizia in tal modo a tutto questo universo di donne en travesti e alla curiosità che il titolo solleva, presentandosi come un’antologia, una cavalcata di eventi ben documentati.
E’ accaduto che sante, monarche, esploratrici, pioniere o miliziane, abbiano adottato identità maschili, celando la propria natura di genere fino alla morte, ma grazie a questa contraffazione, a questa apparente, estrema rinuncia, si siano accaparrate la scelta alla propria autentica occasione d’identità.