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Teatro dell'Opera di Roma. Rienzi. Il giubilo e la caduta
Al Teatro dell'Opera di Roma dal 9 al 18 maggio 2013 si è festeggiato il bicentenario di Wagner con una delle sue prime opere, e l'unica dedicata a Roma: la storia dell'idealista Tribuno del Popolo, Cola di Rienzo, abbreviato in Rienzi – Rienzi, Der Letzte der Tribunen -, è un grand opéra in cinque atti tratto da Bulwer Lytton e diretto da Stefan Soltesz in questo nuovo allestimento a cura dell'argentino Hugo de Ana. La voce di Rienzi è interpretata dall'austriaco Andrea Schager (il 16 da Carsten Süss); Irene da Manuela Uhl (il 16 da Carola Glaser); Roman Astakhov ha il ruolo di Stefano Colonna mentre Angela Denoke veste i panni e la portata canora di Adriano.
La storia di Cola di Rienzo ha per Roma un valore particolare, se pensiamo poi che Wagner, grande amico dell'anarchico Bakunin, la scrisse tra 1837 e 1840, otto anni prima dei Moti rivoluzionari di Dresda ai quali partecipò, scampando all'arresto “solo” perché era un compositore – ergo ritenuto inoffensivo dai guardiani della pace pubblica -; capiamo quanto profondamente Wagner fosse legato a questa figura di Tribuno sancito dal Popolo Romano come figura liberatrice e repubblicana dell'epoca, in lotta contro gli odiati nobili, sfruttatori del popolo e di Roma.
In questa prospettiva si comprende anche meglio, a partire dalla meravigliosamente avvolgente Ouverture, - ben diretta come il resto dell'opera da Stefan Soltesz, già ascoltato a Roma per l'Elektra di Richard Strauss sempre alla guida dell'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma -, quali siano i significati sottesi alle marce trionfali, alle chiamate squillanti dei corni, ai cori che tanto ricordano quelli finali (e tragici) del pellegrinaggio di Tannhäuser (1845); come anche le scene canore d'assieme nella tarda Die Meistersinger von Nürnberg (1862), ove si raggiunge un apice di scorrevolezza straordinario. Quelle marce trionfali sottendono però una fine tragica, che si denota quasi nelle primissime note appena scandite in sussurro e immediatamente dopo le parti esultanti.
Rienzi fu quello che forse Roma non si aspettava: certamente peccò per eccesso di ambizione ma anche per una compassione quasi al di sopra dell'umano – mi riferisco a Nietzsche naturalmente – che lo condusse a perdonare coloro che lo avevano tradito e minacciato, quei nobili che volevano, nella prima scena, violentargli la sorella Irene – brava nella parte la soprano germanica Manuela Uhl – per sfregiargli la dignità e offenderlo nei propri affetti. Ecco, quel perdono non fu capito dal Popolo, ente di massa, che coglie raramente la natura dei sentimenti più alti, soprattutto se non li trova coerenti coi propri interessi. Nonostante in qualche modo questo stesso Popolo volesse e abbia difeso Rienzi nei momenti di ascesa, allo stesso tempo lo crocifiggerà quando mostrerà quello che Schopenhauer caratterizza come il solo vero amore possibile: “Qualsiasi amore che non sia anche compassione è puro egoismo”. Sappiamo quanto Schopenhauer fosse il grande “amico” di Wagner: recitano proprio così le sue parole alla scoperta dei suoi scritti durante la sua prima lettura, a cominciare dall'opus principale di Schopenhauer, “Il mondo come volontà e rappresentazione” (Die Welt als Wille und Vorstellung, 1844).
L'opera al completo dura complessivamente 4 ore e 40, ma molte riduzioni si attestano sulle 3 ore, come quest'ultima, in cui purtroppo è stato tagliato il balletto – grave mancanza in quanto una delle caratteristiche del Grand Opéra è proprio quest'aspetto – che consta di 45 minuti. Le scene di Hugo de Hana si spostano dalla Colonna Traiana fino ad un portone non ben identificato che richiama il ventennio fascista come anche alcuni muri di sfondo ai duetti di Adriano e Irene ed al trio tra loro due e Rienzi, perfettamente interpretati dalle voci di Angela Denoke, veramente esemplare, Manuela Uhl (lei forse ha qualche caduta di tono), e la parte principale dalla bella tonalità di Andreas Schager.
Rienzi in ogni caso è un'opera effettivamente maestosa e che non annoia, nonostante la lunghezza, anche perchè gli intervalli godibilissimi tra marce, parti per il Coro magnificamente diretto da Roberto Gabbiani, donano una caratura che offre un panorama musicale a tutto tondo, in cui la scrittura orchestrale di Wagner è già perfettamente al completo ed in ottima forma. Prettamente romantica, il libretto connota Rienzi anche in questo senso, esaltandone i tratti più ingenui e freschi, quanto la tragica caduta per vizi nondimeno e purtroppo effimeri ed identici a quelli dei potenti che combatteva, pur non sottraendogli quel manto di eroe della pace che fino all'ultimo combatte contro l'oligarchia dei nobili dell'epoca, il Trecento, esaltato anche dal Petrarca nell'epistola Hortatoria (Varie XLVIII).