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Teatro di San Carlo. L'Egitto faraonico torna con Aida
Dal 15 luglio al 2 agosto del 2016 nella prestigiosa cornice del Teatro San Carlo di Napoli è andata in scena l'Aida, nell’allestimento curato da Franco Dragone, e poi ripreso da Michele Mangini Sorrentino. Direttore sul podio Pinchas Steinberg.
L’edizione di Aida al “San Carlo Opera Festival” non è nuova. È già stata sperimentata in occasione della stagione 2013-2014 con la medesima regia di Franco Dragone.
Quella presente si caratterizza per talune variazioni di cui sarà dar bene conto dacché il regista ha inteso conferire allo spettacolo un'atmosfera maggiormente legata all’Egitto faraonico, come è bene che sia per un’opera che da ogni nota trasuda ambientazione in quel periodo magico e fermo nel tempo.
Pare opportuno valutare, dapprincipio, l’aspetto squisitamente musicale. Di sicuro la direzione di Pinchas Steinberg è stata a dir poco magnifica. Questo direttore – di cui si ci augura un maggior numero di presenze al Massimo napoletano sia nel repertorio sinfonico sia in quello lirico – ha elaborato una concertazione analitica ed allo stesso tempo passionale. Nelle sue mani l’orchestra era capace di passare dalla struttura del quartetto d’archi all’impeto senza che si avvertisse sbavatura alcuna.
Solo a titolo esemplificativo la celeberrima aria del III atto “O Patria mia mai più ti rivedrò” si componeva di una tessitura di archi e fiati palpitanti che evocavano allo stesso tempo il ricordo del tempo che fu e l’angoscia dell’immanenza dell’ineluttabile presente di Aida. Una perfetta evocazione del “ricordo del tempo che fu nella miseria”.
Concitati i tempi ma mai tali da creare difficoltà ai cantanti, perfetto il controllo del suono e mai proteso a coprire le voci; l’interpretazione del Direttore può dirsi una delle più pregevoli ascoltate (e non solo al San Carlo dacché il teatro ha inteso riproporre il Capolavoro solo nel 2013 dopo una precedente edizione risalente al 1999).
Per quel che concerne l’aspetto vocale, la direzione artistica ha affiancato due cast molto eterogenei tra loro in modo da invogliare l’attento spettatore ad ascoltare più repliche ed essere messo in condizione di raffrontare e godere le diverse interpretazioni.
L’Aida di Kristin Lewis ha tratti marcatamente lirici performando un'interpretazione che si potrebbe definire “onirica”, un’eroina sognante e idealista, quasi staccata dal mondo che la circonda, ma con il difetto di talune note fisse nel registro di petto e qualche difficoltà nel fraseggio che talora rendeva noioso l’ascolto di alcuni passaggi come il “numi pietà del mio soffrir”.
Amarilli Nizza è Aida di ben altra esperienza (e forse, spessore) tecnicamente superiore con un ragguardevole volume vocale ma caratterizzato da un un vibrato nei centri che interferiva con il lindore del timbro vocale.
Di sicuro Radamés interpretato da Stefano La Colla, tenore lirico dal ben centrato squillo, ha – a nostro avviso – regalato una bella e pertinente interpretazione del Protagonista maschile, molto più ricca di sfumature e convincente rispetto all’interpretazione di Antonello Palombi, proteso ad una costruzione del personaggio marcatamente drammatica con un fraseggio stentoreo che era molto più vicino alla predestinata consapevolezza della catastrofe di Otello che al tormentato lirismo di Radamés.
Parimenti a dirsi per Amneris di Nino Surgulaze, il cui timbro caldo ed appassionato ha ben centrato la psicologia della Principessa egizia – forse la reale protagonista dell’opera – nelle meravigliose sfumature che Verdi ha conferito al personaggio, fluttuando tra la figura di donna timida e riservata ad amante appassionata la cui gelosia arriva ad esplodere imprecando contro quello Stato di cui ella è parte integrante (“tigri infami di sangue assetate”). Indubbiamente molto più convincente dell’Amneris interpretata da Eufemia Tufano in perenne difficoltà durante l’intera recita e costretta ad indurire la voce (“Ah vieni amor mio ravvivami..”) per conferirle corpo ma che spesso finiva con l’essere coperta dall’orchestra pur nel grado di mezzoforte.
Pregevoli Amonasro di Giovanni Meoni e Stephan Gautner, quest’ultimo dal timbro abbastanza scuro ma dalla morbida gradevolezza, e Ramfis di Riccardo Zanellato in alternanza con Marco Spotti, entrambi già esperti nel ruolo. Pregevole la prova del coro ben preparato dal maestro Faelli.
Accennavamo alle scelte di regia, anticipando taluni cambiamenti della presente edizione rispetto quella, sicuramente a-temporale, del 2013. Franco Dragone, forse accettando alcuni suggerimenti, ha levigato talune asperità che non avevano nella precedente edizione incontrato il pieno gradimento del pubblico introducendo, in quella odierna, le immagini sullo sfondo delle piramidi di Dashur ed eliminando nei ballabili la coreografia del balletto ottocentesco in favore di un più marcato orientalismo. Nell’intenzione del registra era ben presente l’idea, allora come ora, di una universalità del dramma che abbraccia un eterno presente senza tempo e senza luogo.
Ma Aida, comunque, non è Macbeth ed il coefficiente, a nostro avviso, “topico”, legato ad una vicenda ambientata nell’antico Egitto è del tutto imprescindibile, come suggerisce ogni passaggio cromatico della partitura. Essa è un’opera inscindibile dai luoghi ove è ambientata, proprio come Butterfly che ineluttabilmente richiede visivamente un gusto nipponico, prescindendo dal quale si ha ben chiara la stonatura con la musica, fortemente legata al tempo ed al luogo dell’azione.
Nel complesso l’intero spettacolo è stato congegnato (in due atti anziché, come tradizione, in tre) in modo da garantire il massimo della scorrevolezza ed il calore del pubblico al termine delle serate non si è fatto attendere.