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Ulysses al Teatro Vascello. Variazioni vocali su un tema joyciano
Dal 18 al 20 maggio 2012 al Teatro Vascello di Roma è andata in scena la rappresentazione del Progetto Ulysses, una performance teatrale presentata dal Laboratorio Opera Aperta "PROGETTO ULYSSES" e da TSI. La fabbrica dell'Attore, in collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Roma.
Già l'espressione “Opera Aperta”, introdotta da da Umberto Eco nel 1962 e ormai diventata classica per qualificare certe forme dell'arte d'avanguardia, si addice particolarmente a uno spettacolo che coniuga un testo appartenente al libro seminale per eccellenza delle avanguardie storiche (l'Ulysses di James Joyce, apparso nel 1922) con una serie di esperimenti sulle voci e sui gesti che rendono gli attori i veri protagonisti della performance.
Il regista Quinto Fabriziani ha in realtà ideato un progetto ambizioso che nella versione definitiva durerà ben otto ore. In questa anteprima, abbiamo una sorta di “poema della città”, in conformità peraltro all'intenzione dello stesso Joyce di concepire il suo Ulysses come la narrazione degli avvenimenti della vita di un uomo comune, Leopold Bloom, in un giorno qualsiasi in una città moderna, la Dublino di inizio '900.
Proprio la parzialità di questa realizzazione del progetto ha fatto sì che venisse intitolato Prologo in tre tempi: il primo tempo, intitolato La spiaggia, ci presenta un uomo abbandonato alla deriva. Il secondo tempo, L'incontro, si svolge in un bordello, con la città piovosa a fare da retrosfondo. Il terzo tempo, L'isterica, si snoda tra deliri e visioni barocche, con le musiche inquietanti dello stesso Fabriziani, eseguite dai Musicisti di Ned con le voci della scuola di Musica di Testaccio.
Gli attori (Claudia Dell’Era, Benedetto Fanna, Cinzia Grande, Andrea Lattari, Marco Nocca, Simona Verrusio e il Convitato di Pietra) hanno intrecciato varie sequenze di voci (che a tratti davano l'impressione di una sovraincisione su nastro o su registratore digitale), seguendo in modo indicativo gli episodi che vanno dal XIII (Nausicaa) al XVIII episodio (Itaca) dell'Ulisse di Joyce, cioè, secondo gli schemi che lo stesso scrittore irlandese aveva fornito agli amici Carlo Linati e Stuart Gilbert, dalle otto di sera a un tempo indefinito che si spinge oltre il cuore della notte, quando termina il celebre monologo interiore di Molly Bloom, con il suo stream of consciousness.
Questo flusso di coscienza joyciano è peraltro la vera cifra di tutto lo spettacolo, nella misura in cui le voci si avvicendano continuamente proponendo una verbalità rigogliosa, contrassegnata da lapsus e da calembours, che poi trascolora in visioni oniriche e abbandoni notturni, in un viaggio interiore e insieme esteriore.
Non a caso le prime scene sembrano costituire un trait d'union tra l'Odissea omerica e quella joyciana, essendo incentrate sul tema del viaggio, che è insieme percorso nei luoghi nascosti del proprio Sé e avventura nel mondo, per Omero, e nella città, per Joyce, fino a che l'uomo si trova ad andare alla deriva. Questo messaggio ci comunicano i versi iniziali:
“Ricorda il vento sulla faccia di un’ Aquila remota,/è caduta in rovina, sotto voli di famelici avvoltoi/abbracciano i rovi le ombre della gente/non ha più fretta di partire, né tornare è mai a tempo/battono i tamburi lontani sul tramonto/non più che osservando troverete incerto/il verso al crepuscolo dell’alba un campo/rassegnato e la via da un lampo/ma di chi è opera nell’ignoto l’aperto?”.
Per Fabriziani, bisogna “capire quella cosa effimera che è la presenza. La presenza di qualcosa sotto i nostri occhi, la presenza di un amico, la presenza di noi stessi e delle nostre idee, come può conservarsi”. E non a caso il filosofo francese Jacques Derrida aveva individuato nella cosiddetta “metafisica della presenza” il tratto distintivo della cultura occidentale, dove la centralità della voce si illude di poter realizzare la piena presenza del soggetto a sé stesso. Invece la scrittura, che pure è qui fondamentale, si basa sulla dialettica del rinvio e del continuo differimento in una catena di rimandi infinita.
Sulla scena quest'idea si concretizza ad esempio con il continuo rimando dalle ombre antiche vagheggiate da Omero a quelle moderne tipizzate da Joyce. O anche nella presenza fisica degli oggetti del mondo, che vengono visualizzati nel loro carattere transeunte e illusorio, come nel caso dei poster che campeggiano nel bordello. Oppure nell'esperienza di vari tipi di ascolto, dove la musica si alterna con grida e rumori, cosicché la presenza si fa assenza, le cose si perdono nella lontananza e quasi scompaiono, i corpi si frantumano, diventando gesti e indicatori semiotici del nulla, le voci si tramutano in echi indefiniti, mentre il paesaggio urbano, con venti, nebbie e pioggia, si alterna con quello dei deserti e delle regioni tropicali, dove il ghibli e i monsoni soffiano senza sosta sugli uomini agitati dalle loro passioni. Notevoli sono gli effetti sonori, provenienti da otto sorgenti indipendenti che, nell'intenzione del regista, dovrebbero mutare lo stesso esserci dello spettatore, insieme a un attore definito, mozartianamente, “Convitato di pietra”.
A questi effetti sonori si sono accompagnate videoproiezioni su quattro schermi e scenografie illusionistiche, effetti speciali e costumi riciclati, secondo una sapiente arte del riciclo che il regista ha voluto condividere con i suoi collaboratori.
Nella visione di Fabriziani, il teatro è il mondo che ha come soggetto la vita, tradotta nelle maschere e nelle varie dramatis personae, che possono vivere anche senza una piena consapevolezza i loro destini personali, i quali potrebbero portarli pure verso il naufragio e la deriva, proprio come rifiuti riciclati.
Un progetto senza dubbio molto ambizioso, di cui questa prima realizzazione ci sembra essere stata all'altezza dell'idea originaria, benché ancora con alcune incongruenze che si notano nei passaggi tra le varie parti, contrassegnati da sfasature spazio-temporali non sempre perspicue, ma che vengono compensati dalla bravura degli attori e dagli effetti speciali, sempre perfettamente dosati e calibrati sulle aspettative del pubblico.