Supporta Gothic Network
M.I.T. Tribute to Nico. Una dedica alla valchiria dell'angoscia
Nell’ambito del M.I.T. – Meet in Town, festival dedicato alla musica elettronica ed alla sperimentazione di nuovi suoni, l’11 aprile 2010 la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica ha visto andare in scena uno splendido Tribute to Nico (che ricalca quello di Ferrara del 10 maggio scorso), la leggendaria chanteuse dell'Angst morta ventidue anni fa in un incidente a Ibiza, cadendo dalla sua bicicletta.
Grande cerimoniere il “vecchio” John Cale, capelli palesemente tinti bicromaticamente (dal giallo all’ocra). Il musicista gallese, memoria storica insieme con Lou Reed dell’irripetibile stagione dei Velvet Underground e della Factory di Andy Warhol, ha riunito giovani emergenti e artisti consolidati per un concerto-tributo a Nico, colei che fu la musa di Warhol e che affascinò anche Federico Fellini, al punto da recitare in una piccola parte di La dolce vita.
Il concerto era comunque per veri amatori, nel senso che le canzoni di Nico riproposte erano le meno note, ossia quelle degli album solisti semisperimentali, senza concessioni al sentimento “popolare” nella scelta dei brani. Nessuno dei pezzi che Nico eseguiva con i Velvet Underground è stato incluso, né quelli di maggior successo del suo album da solista Chelsea Girl. Invece, il programma si è incentrato sulla zona più esigente del suo repertorio, in particolare gli album The Marble Index e Desertshore.
Si comincia con Frozen Warnings, con John Cale al piano, accompagnato da archi e tastiere che sostituiscono l’harmonium del brano originario e che producono un’atmosfera inquietante ed incalzante. La voce del sessantottenne cantautore appare profonda, solo lievissimamente sbiadita. Il secondo brano, The Falconer, viene cantato con una stratosferica voce da contralto da Lisa Gerrard, la voce dei Dead Can Dance abbigliata in raso rosso e con una presenza scultorea, che emette acuti mozzafiato e riesce meravigliosamente a emulare (più che a imitare) la glaciale voce di Nico, in modo evocativo e medievaleggiante. Assistono la voce i sintetizzatori, che creano un’atmosfera da chiesa gotica.
Poi Cale si siede all’organo Hammond, entra Laetitia Sadier, accompagnata da Jonathan Donahue, cantante dei Mercury Dev, vestito da folletto con orecchie lunghe à la Mr. Spock di Star Trek e abbigliamento alla Dott. Jekyll, con una sega che pizzica con l’archetto, creando uno strano effetto dissonante: la Sadier interpreta My Only Child con voce aspra e potente. Il pezzo successivo, Roses in the Snow, viene eseguito da Mark Lanegan su base molto rock di chitarre e basso. Meno convincente appare una delle sorelle CocoRosie, che esegue Abschied in un tedesco dalla pronuncia incerta e con voce un po’ stridula accompagnata dagli archi.
Sconcertante appare anche la successiva interpretazione di Joan as Police Woman alias Joan Wasser: la cantante, che ha collaborato anche con Antony and the Johnsons, esegue una versione piuttosto funk di Janitor of Lunacy, uno dei pezzi più glaciali, lugubri e spettrali di Nico, che qui viene totalmente stravolto e perde la sua peculiarità di canto dell’angoscia (“Janitor of lunacy/Paralyze my infancy/Petrify the empty cradle/Bring hope to them and me”: Portiere della follia/paralizza la mia infanzia/pietrifica la culla vuota/porta la speranza a loro e a me). Torna sul palco Jonathan Donahue, che esegue una versione rock accompagnata da clarinetto di Fearfully in Danger. Molto rarefatta e da crooner è invece la versione di Ari’s Song eseguita da My Brightest Diamond, all’anagrafe Shara Worden.
Dopo cinque minuti di intervallo si riprende con Joan as Police Woman che questa volta si siede al piano per eseguire My Heart is Empty: qui oltre che Nico viene in mente Diamanda Galás: ma per fortuna Joan Wasser ha il senso del limite e non cerca più di tanto di imitare due autentiche divinità, quella bionda, ormai appartenente al mondo ultraterreno, e la dea bruna che con la sua voce di quattro ottave non è certo facilmente eguagliabile. Si accontenta quindi di un’interpretazione minimale che risulta suggestiva e convincente. La voce di Lisa Gerrard si staglia invece potente nella successiva No One is There con archi soli. Archi che hanno accompagnato anche la successiva performance di Laetitia Sadier, con la sottile e insinuante Afraid.
Torna poi alla chitarra acustica John Cale che esegue una Sixty-Forty quasi folk, mentre Mark Lanegan ci propone una versione dura di You Forgot to Answer, solo un po’ smorzata dalle coriste d’accompagnamento. Win a Few viene eseguita dalla seconda delle sorelle CocoRosie con le backing vocals di John Cale e con un’ossessività mantra. Evening of Light viene invece cantata da Jonathan Donahue, con accompagnamento di chitarra suonata con un archetto dal fido Sean Mackowiak, che la rende ancora più incalzante e ipnotica dell’originale.
Si presenta poi Soap&Skin, alias Anja Plaschg, ventenne austriaca da molti già considerata l’erede di Nico (al punto da interpretarla nella pièce teatrale Nico - Sphinx auf Eis di Werner Fritsch), e reduce da un concerto solista in Sala Sinopoli (che per difetto dell’organizzazione si è parzialmente sovrapposto al concerto-tributo a Nico): la giovanissima cantautrice si produce in una sublime Tananore con voce davvero ispirata.
John Cale esegue poi Facing the Wind con tono solenne, prima di convocare tutti gli interpreti per una corale All That is my Own, dove le voci femminili di Lisa Gerrard, Anja Plaschg e Joan Wasser si sono distinte per intensità ed energia. Oltre due ore di musica, a cui purtroppo non è seguito il bis, pur invocato da un pubblico appassionato, che ha riempito a metà la Sala Santa Cecilia (non c'è stato il tutto esaurito probabilmente a causa dell'esosità del prezzo, ben 50 euro, seppure comprensivi dell'intera manifestazione).