Mokadelic al Teatro India. Eclettismo psichedelico tra progressive e post rock

Articolo di: 
Teo Orlando
Mokadelic in concerto

L’insolita venue del ridotto all’aperto, antistante il Teatro India, ha visto il 5 luglio 2010 l’esibizione del gruppo romano dei Mokadelic, una formazione sul crinale del progressive, della psichedelia e del post rock. Il complesso è nato è nel 2000 con il semplice nome Moka (è probabile che l’aggiunta del suffissoide “delic” indichi una sorta di commistione tra il caffè aromatico e gli effetti psichedelici prodotti dalla musica della band), per iniziativa di Alessio Mecozzi (chitarra), Cristian Marras (basso), Alberto Broccatelli (batteria) e Maurizio Mazzenga (chitarra), a cui si unisce in seguito Luca Novelli (piano e chitarra), mentre Andrea Cocchi cura gli effetti visivi.

La band ha acquisito notorietà soprattutto grazie alle collaborazioni cinematografiche, tra cui spicca quella con il regista Gabriele Salvatores, che si è avvalso del loro contributo per la soundtrack del film Come Dio comanda, poi evolutasi in un album di 45 minuti. Di rilievo sono anche le colonne sonore di Marpiccolo di Alessandro di Robilant, e del cortometraggio Paul Bonacci di Alessio Pasqua.

È innegabile che i Mokadelic si inseriscano nel trend della rinascita del progressive italiano, che non si limita nostalgicamente a riferirsi ai grandi modelli del passato, ma rielabora originalmente i moduli espressivi più consolidati, in direzione di quello che oggi viene chiamato post rock, come accade anche con altri gruppi, tra cui i Solar Orchestra, su cui Gothic Network ha già pubblicato delle recensioni.

Un caveat è a questo punto opportuno: nel corso della recensione verranno messe in luce le affinità con certe tematiche dei Pink Floyd. Ciò non vuol dire affatto sminuire l’originalità dei Mokadelic né tanto meno parlare di imitazioni. Artisti come Bob Dylan, Leonard Cohen o i Pink Floyd, ormai sono leggende viventi passate nell'olimpo dei classici, e in quanto tali, presenti in tutti i cantautori o gruppi giovani che fanno musica di qualità. Dire di un cantautore che imita Dylan o di un gruppo che copia i Pink Floyd sarebbe altrettanto sciocco che dire di Brahms che imitava Beethoven o di Arvo Pärt che copia Mahler: si tratta semmai di influenze del canone riconosciuto sulle generazioni successive.

Prima che cominci il concerto, i cinque componenti della band chiedono un minuto di silenzio per commemorare Olivia, la figlia del cantautore Niccolò Fabi e della sua compagna Shirin Amini, scomparsa da poco a soli due anni. Non a caso i Mokadelic hanno collaborato con Fabi al progetto Violenza 124, un’opera collettiva basata su sette interpretazioni diverse della stessa idea compositiva.

Il primo brano, accompagnato come tutti gli altri da particolari effetti visivi, è "False Start", dal disco Hopi del 2006. Il pezzo comincia con impulsi elettronici su cui si innesta subito una lieve melodia di piano; seguono poi gli arpeggi delle chitarre che immergono l’ascoltatore in un’atmosfera sognante e sospesa, quasi come se ci si librasse nell’aria. E non a caso la melodia centrale porta forti reminiscenze da “Breathe (in the Air)”, uno dei più celebri brani da The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd (ma abbiamo avvertito anche echi da Kind of Blue di Miles Davis). Sullo schermo intanto compaiono le evoluzioni di una pattuglia di paracadutisti, mentre il brano decolla in un crescendo sempre più serrato, con il basso che viene suonato con l’archetto, in conformità con lo stile di molti gruppi post rock, come Thee Silver Mt. Zion.

Nel secondo brano, “Coy-one”, la musica diventa più liquida mentre sul video vediamo un falco che vola maestoso. Anche qui, l’influsso di brani dei Pink Floyd, come “Any Colour You Like”, è abbastanza marcato.

Il terzo brano, “Bahati Grace”, si apre con un video dove compare una medusa fluttuante. L’atmosfera pinkfloydiana permane: ora sembra di sentire echi dalla suite “Echoes”, pilastro dell’album Meddle. Non a caso gli strumenti entrano in lenta successione, con il basso che introduce accompagnato subito dopo da lievi rintocchi della tastiera. Solo dopo i primi tre minuti si innestano tutte le chitarre che danno vita ad un impasto melodico sempre più complesso, fino all’ingresso finale della batteria, che accompagna il brano verso un naturale crescendo, che poi si smorza nel finale più simile a un Largo.

Nel quarto brano, “New”, la medusa sembra trasformarsi, e la musica la segue, più rarefatta, con l’intera natura che si metamorfizza in lei. Nel quinto brano, “…But I Will Come Back” (da Come Dio comanda, 2008), la musica sembra commentare con crescendo e diminuendo il video, dove sboccia un caleidoscopio di fiori policromi, poi fluisce più lentamente, ricordando da un lato i Tangerine Dream, esponenti dell’elettronica tedesca degli anni ’70, e dall’altra gruppi della scena post rock come i Sigur Ros o i Mogwai.

Nel successivo “Hanged Country” le atmosfere post rock sembrano fare posto ad altri influssi: si comincia con le chitarre che lavorano tra il il distorto e il melodico à la Ry Cooder, commentando un video con sciatori in discesa libera, ma poi il brano vira decisamente verso sonorità chiaramente influenzate dal neoprogressive dei Porcupine Tree (in particolare ci sembra di avvertire echi da Fear of a Blank Planet), con le chitarre elettriche che si interfacciano con il piano in una progressione quasi inarrestabile, che nel finale si dissolve.

Nel brano successivo, “New 2”, mentre sullo schermo un grande incendio sembra travolgere un’isola in fiamme, la musica riprende le movenze stilistiche della psichedelia, ricordando brani vecchi e più recenti dei Pink Floyd, come "Embryo" o "Learning to Fly". Poi evolve in direzione quasi metalprog, tra i Dream Theater e gli Opeth, con gran lavoro delle chitarre.

Nell’ultimo brano, “Hopi, but”, mentre i gabbiani volteggiano tra i lampi del cielo tropicale, la musica si fa più elettrica e dinamica, assumendo un andamento più da elettronica new wave (un po’ simile ai Tuxedomoon).

Nel bis finale, mentre sullo schermo i fiori si schiudono, tra pollini e calici, e compaiono creature marine di vario genere, vengono esplorati territori più fusion, un po’ alla Soft Machine o alla Colosseum. Una conclusione che lascia presagire nuovi territori che il quintetto romano si appresta ad esplorare con maestria tecnica e piena consapevolezza delle proprie risorse.

Pubblicato in: 
GN18 Anno II 18 luglio 2010
Scheda
Autore: 
Mokadelic
Titolo completo: 

Mokadelic

Concerto Live - Indiateca, Teatro India, - Roma, 5 Luglio 2010

Setlist

False Start
Coy-One
Bahati Grace
New
…But I Will Come Back
Hanged Country
New 2 Hopi, but

Mokadelic on my space

Anno: 
2010
Voto: 
9