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Aosta Jazz. Le fortificazioni musicali di Bacharach, Redman e Mehldau
Forte di Bard. Una delle piu' affascinanti fortificazioni storiche della Valle d'Aosta, oggetto di un importante e imponente restauro, ma soprattutto oggetto di un ambizioso progetto culturale atteso che è sede permanente del Museo delle Alpi (un percorso multidisciplinare multimediale e interattivo per capire la montagna) nonché' prestigiosa sede espositiva (attualmente e sino a novembre ospita una retrospettiva di Mirò).
Fortezza ottocentesca su piu' livelli (ciascuno raggiungibile, oltre che a piedi, mediante una serie di spettacolari ascensori panoramici che consentono la vista sull'intera vallata), e, nel contempo, pressoché' intatta fortificazione di sbarramento, il Forte racchiude, nel suo corpo superiore e ultimo un cortile d'armi.
E proprio in questo spazio interamente cintato da alti muragli che si e' svolta, a luglio Musicastelle in Blue. Rassegna di musica jazz organizzata dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta in collaborazione con il Blue Note di Milano.
A margine, prima di addentrarci.
Un prologo, un “tentativo” (peraltro ben riuscito, nonostante il maltempo) di collaborazione tra Regione e Blue Note si era svolto l'hanno passato, con due concerti di George Benson (non a Bard ma nella zona antistante il Castello di Fenis) e di McCoy Tyner con guest il grande Joe Lovano.
Gli ottimi successi di pubblico (nonostante gli eventi siano stati entrambi falcidiati dal maltempo) hanno spinto Aurelio Marguerettaz (Vice Presidente della Regione e Assessore al Turismo) e Paolo Colucci (Presidende del Blue Note) a riprovarci. Questa volta in grande stile: dall'apertura con Burt Bacarach sino alla chiusura “in grande” con la Blues Brothers Band passando per gli Incognito, il duo impagabile di Brad Mehldau e Joshua Redman, i Manhattan Trasfert e Chick Corea con gli immarcescibli Return Forever.
Ho assistito al concerto d'apertura (sold out con parecchi giorni d'anticipo), con Burt Bacarch e la sua band e poi alla successiva serata in duo di Brad Mehldau e Joshua Redman. Mi sia concessa una battuta (mi rifiuto pervicacemente, per ovvi motivi politici, di usare il termine “consentire” e suoi derivati).
Su Bacarach ero scettico.
Immaginavo poco piu' che una seduta spiritica di una vecchia gloria, sicuramente immarcescibile, sempre di gran nome e … e invece: quanto avevo torto...
Band in gran forma e ottimamente bilanciata, formata da musicisti di evidente e comprovata esperienza, diretta con gesti precisissimi da un Bacarach imperterrito e ininterrotto al pianoforte, che ha tenuto banco per due ore filate (con un Giove pluvio non proprio clemente, oltretutto), chiamando di volta in volta sulla scena principale i tre vocalist che hanno degnamente rievocato e fatto rivivere (nonostante la meteo parzialmente avversa che non ha influito più di tanto sulle loro corde vocali) un pezzo di storia della canzone che è venuto in terra di montagna ad emozionare senza requie.
Altro sapore, altro spessore pochi giorni appresso, per il duo, parzialmente inedito, formato da Brad Mehldau (uno dei migliori pianisti d'oggi) e Joshua Redman (uno dei sassofonisti maggiormente innovativi dell'attuale panorama musicale).
Non piu' musica d'annata ma musica d'oggi, spesso anche di domani.
Duo parzialmente inedito perché i due solisti, oramai vere star del panorama jazzistico internazionale, non sono propriamente nuovissimi alla collaborazione: hanno suonato per la prima volta insieme nel quartetto di Redman negli anni novanta, l’era dei “giovani leoni del jazz”, e proprio alla fine del decennio scorso hanno inciso (almeno) un disco che merita ancor oggi di essere ascoltato: “Timeless”.
Negli anni successivi i due musicisti, entrambi nominati ai Grammy, sono cresciuti come leader nei loro rispettivi ensemble, raggiungendo il successo di pubblico e di critica internazionale e facendosi strada come nuove icone del jazz contemporaneo.
La forma del duo ha pero' donato loro una nuova dimensione, spesse volte assolutamente intimista, e i due strumentisti che hanno saputo ricreare musica che ha connesso gli spettatori, e in profondità, con lo spirito. D'altra parte recentemente nessuno ha rivoluzionato il pianismo jazz come Brad Mehldau, e nessuno (tranne Jarrett, ovviamente) come lui riesce a condensare in un unico, inimitabile stile, raffinatezza armonica, ricerca introspettiva e coralità della polifonia.
E la sua tecnica impeccabile, che non si limita mai al mero accompagnamento ma offre costantemente un vero e proprio dialogo con la linea melodica principale,spesso affidata al sax creando spunti sempre nuovi che poi prendono vita propria e danno un senso polifonico alla composizione. Grande e meritato successo di un pubblico, letteralmente, ammaliato.