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Bayreuther Festpiele 2019. Tannhäuser, o della Rivoluzione
La grande opera romantica in tre atti Tannhäuser di Richard Wagner approda per la sua rara nona volta al Festival di Bayreuth, il festival creato da Richard Wagner ed inauguratosi il 13 agosto del 1876 nel Festspielhaus ai piedi della verde collina della cittadina dell'Alta Franconia, in Baviera. Il nostro ciclo a Bayreuth si è aperto proprio con quest'opera il 13 agosto scorso, 143 anni dopo. In sostituzione del Maestro russo Valery Gergiev, che ha subito il lutto della madre cui era molto affezionato, Tannhäuser und der Sängerkrieg auf der Wartburg, ovvero Tannhäuser e la tenzone dei cantori sulla Wartburg, è stata diretta dal Maestro Christian Thielemann.
In questa produzione, che ha avuto la sua premiere il 25 luglio, abbiamo visto la prima versione di Tannhäuser, quella conosciuta come versione di Dresda, dove avvenne la prima assoluta il 19 ottobre del 1945 in quella che allora era la Königliches Hoftheater (il Teatro di Corte del Re) e che oggi è conosciuta come la Semperoper, il Teatro dell'Opera.
Delle tre opere viste di quest'edizione, il Lohengrin il 14 agosto a seguire, ed il Parsifal il 15 agosto, questa è decisamente la piu' interessante per il profilo della traduzione dell'opera in senso contemporaneo, rivelando coerentemente i significati profondi in connivenza con un'epistemologia dell'arte come libertà assoluta. Le scritte “Frei im Wollen! Frei im Thun! Frei im Genießen!“ infatti che campeggiano fin dall'inizio, e tratte da Die Revolution del 1849 a firma Richard Wagner, sono il correlativo oggettivo della scelta registica, scenografica e drammaturgica del team diretto da Tobias Kratzer e coadiuvato da Rainer Sellmeier alle scene e costumi; le scene cinematografiche sono a cura di Manuel Braun; le luci di Reinhard Traub e la drammaturgia di Konrad Kuhn. Le tre scritte che significano: “Liberi nella volontà, liberi nell'agire, liberi nel gioire” sono parte concreta del pensiero wagneriano prima e dopo i moti di Dresda al quale ha partecipato e scoppiati nel 1848.
Il film inizia sulle note del Vorspiel diretto splendidamente e con ardore da Christian Thielemann alla guida dell'Orchestra del Festival di Bayreuth che inonda la sala da 2000 persone nel buio completo del Festpielhaus. Viene ripresa la foresta della Turingia, vicino ad Eisenach dove scorre il fiume Hörsel ed il castello medievale della Wartburg, che ha ispirato Wagner per il terzo atto proprio mentre fuggiva da Dresda (Mein Leben, 1870). Siamo immersi nella Selva della Tiringia quando notiamo la roulotte datata fine anni '60 su cui viaggiano Tannhäuser, vestito da clown; Venere, con una tutina scintillante da discoteca; la drag queen Le Gateau Chocolat ed il nano Oskar (Manni Laudenbach). La roulotte parcheggia davanti ad una supposta casetta di Biancaneve in mezzo alla foresta dopo che i quattro hanno rapinato un fast food ed hanno investito un poliziotto (Venere, mentre Tannhäuser piange la candida Elisabeth davanti ad una riproduzione dell'Amor Sacro di Botticelli, conservato agli Uffizi di Firenze). Un bel coniglietto verde campeggia sopra la roulotte: simbolo lunare, femminile, in negativo come rappresentante della lussuria e della prolificazione senza controllo, il coniglio ha anche delle valenze positive – come anche la lepre cui somiglia ed è apparentato -, quella importante della rinascita legata alla Pasqua cristiana ed alla primavera, come anche nel Taoismo; presso gli Egizi era il Dio Osiride fatto a brandelli e buttato nel fiume Nilo, rappresentando anche anche in questo caso la rinascita, in un sincretismo religioso di vasta portata. Uno dei simboli preferiti da David Lynch, tre coniglietti sono i protagonisti di Rabbits, una serie di sette cortometraggi del 2002 (inseriti anche in Inland Empire del 2006): sono in mezzo ad una foresta in cui il tempo sembra fermo, esattamente come avviene nella Grotta di Venere; ed a proposito mi viene in mente anche un altro film del 2001 diretto da Richard Kelly, un cult del cinema di fantascienza, ovvero Donnie Darko, in cui un grosso coniglio guida il protagonista attraverso i tunnel temporali. Il primo atto presenta quindi l'universo di Venere come uno stato di anarchia criminale distruttrice dello status quo, delle leggi, delle regole sociali e, se leggiamo un altro passo da Die Revolution di Richard Wagner, capiamo meglio le scelte registiche:
Io, eterno distruttore, distruggerò ogni fantasma che governa sull'uomo. Distruggerò il dominio dell'uno sui tanti, del morto sul vivo, della materia sullo spirito; sovvertirò i potenti, il potere della legge e della proprietà. Che sia la volontà il Dio degli uomini, il suo desiderio la sua unica legge, la sua forza il suo unico possedimento, poiché l'unica Sacralità si trova nell'uomo libero, e non c'è nulla di piu' alto di lui. (Traduzione mia dal programma, p. 34).
Leggiamo poi “La rivoluzione siamo noi” (in italiano nel programma) di Joseph Beuys del 1972, in coerenza con quanto sopra ed ancora Bakunin, ispiratore di Wagner in quel periodo: “La rivoluzione richiede un'estesa e diffusa distruzione, feconda e rinnovatrice, poiché questo è l'unico modo per far nascere nuovi mondi”. (Trad.mia, p.32).
Le voci sono tutte notevoli ed in completo affiatamento con l'Orchestra e la direzione di Thielemann: la Venere del mezzosoprano russo Elena Zhidkova è consistente sia per la variabilità, potenza e flessibilità sia nella recitazione, essendo il suo il ruolo dell'anarchica criminale che insegue Tannhäuser fino all'interno della Wartburg recitando la parte dell'intrusa. Zhidkova ha debuttato come Waltraute (Götterdämmerung) e come Brangäne in Tristan und Isolde al Teatro Real in Madrid e ha rivestito anche il ruolo di Ortrud nel Lohengrin diretto da Thielemann il 3 agosto scorso in sostituzione del soprano Elena Pankratova. L'americano Stephen Gould nella parte di Tannhäuser è effettivamente un heldentenor dalla voce brillante, potente e drammatica: la scena in cui lascia Venere ed inneggia alla Vergine al termine della seconda scena del primo atto è molto commovente. La scena terza è costituita visivamente dal Festpielhaus di Bayreuth riprodotto sul palcoscenico – i pellegrini sono il pubblico del festival - dove si incontra Tannhäuser accolto nuovamente dai compagni cantanti della Wartburg, compresa la statuetta di Wagner che campeggia realmente per tutta la cittadina della Franconia settentrionale. I suoi compagni sono i membri dello Staff: da sottolineare la grave e potente voce del Langravio Hermann interpretato dal basso danese Stephen Milling, che ha recitato nel ruolo di Re Marke alla Staatsoper unter den Linden l'anno scorso. Wolfram von Eschenbach – poeta medievale da cui Wagner ha tratto il Parsifal – è il corteggiatore innamorato di Elisabeth, innamorata a sua volta di Tannhäuser – è interpretato invece dal baritono tedesco Markus Eiche dalla bella voce piena e nostalgica, che è stata la voce di Gunther nel Crepuscolo e Donner nell'Oro del Reno qui a Bayreuth, dove continua a ricopire diversi ruoli dal 2007.
Nel secondo atto si entra nella metarappresentazione: il palco è diviso in due con sopra, il dietro le quinte proiettato in bianco e nero; sotto, la hall medievale dei Cantori della Wartburg, dove Tannhäuser cercherà di non rivelare ad Elisabeth, la nipote del Langravio, del passato recente con Venere. Elisabeth è la voce commovente della norvegese Lise Davidsen: la piu' bella voce ascoltata in questa versione, assolutamente da brivido, soprattutto quando mostrerà le sue fragilità tremendamente attuali (i tagli sulle braccia dopo la partenza di Tannhäuser). Vinta Operalia nel 2015, ha debuttato a Bayreuth con Tannhäuser: noi abbiamo avuto la fortuna di vederla in Ariadne auf Naxos l'anno scorso ad Aix-en-Provence, in cui ha cantato splendidamente nel ruolo di Primadonna sebbene incinta.
Dopo l'Ode di Tannhäuser a Venere, che scompiglia tutti e lo fa aggredire da Walther von der Wogelweide (la suggestiva voce di Daniel Behle), accusato da lui di avere a che fare solo con le armi e non conoscere l'amore sensuale che Tannhäuser confessa di aver praticato sul Monte di Venere (la Venusberg), irrompono sulla passerella della Wartburg, Venere, Oskar col suo tamburino di latta (dall'omonimo romanzo del 1959 di Günter Grass, in cui il protagonista decide di “non crescere”) e Le Gateau Chocolat, riunendo il palcoscenico ma con un confine molto preciso tra chi sta dentro e chi sta fuori. I tre anarchici rivoluzionari Venere, Oskar e Le Gateau Chocolat sono degli outsider che rimangono fuori mentre Tannhäuser deciderà per la seconda volta di tornare a far parte dell'”establishment” della Wartburg e viaggerà fino a Roma per ottenere il perdono del Papa, come suggerito da Elisabeth, alias Beata Beatrix fino a questo secondo atto.
E' evidente quindi quanto i veri “rivoluzionari” siano sempre aldilà delle istituzioni, secondo il credo wagneriano che viene promosso dall'inizio e compare sui volantini “sediziosi” che Venere, Oskar e Le Gateau Chocolat diffondono dappertutto, fuori e dentro la Festspielhaus. Tannhäuser, al contrario di loro, ha sempre una via di scampo, il ritorno alla Wartburg, mentre loro tre sono senza patria e senza casa, “on the road”. Di Tannhäuser, nella voce piena di pathos di Gould, si ode profondo il conflitto tra l'amore fisico per Venere, iconoclasta, e quello spirituale per Elisabeth, per capire quanto questo sia il seme alla base del Tristan bisogna leggere un libro di Denis de Rougemont, L'amore in Occidente (1940), che spiega perfettamente come questa dicotomia tra carne e spirito sia alla base della nascita del contratto matrimoniale cristiano opposto alle eresie medievali che inneggiavano ad un amore “distruttivo ed impossibile” votato all'irraggiungibilità ed alla morte, come quello del Tristano. Rimandiamo nella scheda ad altri articoli per eventuali approfondimenti.
L'atto terzo è di tutti il piu' dirompente e mostra quanto il tipo di società della Wartburg, fondata apparentemente su valori cristiani, li espropria in primis: lo dimostrano i pellegrini che, mendicanti, rubano anche le poche cose di nessun valore ai tre rivoluzionari outsider Venere, Oskar e Le Gateau Chocolat, un po' come i capponi di Don Abbondio (cfr. I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni). Ed i tre oltremodo sono un atto di accusa per coloro che, fingendosi cristiani, espellono dalla loro società i poveri, quelli per cui Wagner voleva riservare una porzione di biglietti a Bayreuth a costo zero: un gesto veramente rivoluzionario. In questo luogo abbandonato da Dio (sic!) campeggiano i nostri eroi avvicinati da Elisabeth in cerca di Tannhäuser, che cerca di riconoscerlo fra uno dei pellegrini. A questo punto accade qualcosa di inconcepibile: Elisabeth, allucinata dal dolore per la la mancanza dell'amato, visto Wolfram travestito da clown, lo invita ad avere un rapporto con lei nella scalcagnata roulotte: lui canterà con trasporto e mestizia la celebre Ode alla stella della sera “O du, mein holder Abendstern" (Atto III scena II su cui esiste una bellissima poesia di Poe, Evening Star, del 1827 ed ispirata dalla scoperta di Tycho Brahe di una stella luminosissima). Stella dedicata a Venere, dea dell'amore, che, fisicamente, ha finalmente conosciuto Wolfram con Elisabeth.
Tannhäuser, anche lui derelitto, torna da Roma senza grazia dal Papa – il piu' grave dei delitti è proprio la “gioia dell'amore” - e racconta tutto a Wolfram, leggendo le partiture di Wagner – libro che ha con sé dall'inizio -: è a questo punto che risuona il suo canto di nuovo a Venere, l'unica da cui si sente perdonato ed accolto, e la musica di gioia e vaneggiamenti – come lo accusa Wolfram -, Wahn, da cui viene il nome della casa di Wagner a Bayreuth, Wahnfried, libero dai vaneggiamenti. Non siamo ancora a livello di leitmotiv ma i temi sono tutti ben riconoscibili e quello di Venere in particolare unito a quello di Tannhäuser, così melodioso e gioioso da essere immediatamente distinguibile. Elisabeth, prima di morire, ha elevato la sua “santa preghiera” al cielo ed è stata ascoltata, quindi Tannhäuser è perdonato. L'ultima scena ci mostra infatti Elisabeth con Oskar dentro la roulotte, lei tutta insanguinata, e poco dopo Tannhäuser che la piange sconfortato mentre una visione, appunto, Wahn, li mostra felici sulla roulotte liberi di scorrazzare per il mondo. Un epilogo felice, sebbene solo immaginato, e che ci fa augurare che sia finalmente sanata questa dicotomia tra carne e spirito che nega la libertà individuale, e che è tutta occidentale e cristiana.
Un successo clamoroso per l'Orchestra diretta da Thielemann, meritatamente osannato, ed il direttore del Coro che è uscito per primo insieme ai coristi (i Pellegrini) Eberhard Friedrich; applausi scroscianti per tutti e quattro i cantanti principali Gould, Davidsen, Zhidkova, Eiche e un remind dal cartellone della penultima scena su cui viene rappresentato a sinistra Le Gateau Chocolat e sulla destra un rolex di diamanti: che coloro che comprano il secondo, spesso discriminano il primo, pur frequentandolo quando la Stella della Sera è ben accesa dentro di loro.