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Bayreuther Festspiele 2019. Lohengrin, la gloria del dubbio
Il Bayreuther Festspiele in ben sette serate (o meglio, “pomeridiane” perché gli spettacoli qui cominciano rigorosamente alle 4 del pomeriggio intervallate da due pause di un'ora ciascuna) ha presentato il Lohengrin diretto da Christian Thielemann e con la regia di Yuval Sharon, con le scene ed i costumi di Neo Rauch e Rosa Loy mentre le luci sono state curate da Rheinard Traub. Noi abbiamo seguito lo spettacolo del 14 agosto con Piotr Beczala nella parte di Lohengrin e Annette Dasch come Elsa di Brabante.
Un blue Delft inonda tutta la scena dopo che il Vorspiel diretto da Thielemann con grande fervore ed eseguito dalla meravigliosa Orchestra del Festspielhaus, ci ha condotto nell'universo fatato e medievale di Lohengrin, figlio di Parsifal e come quest'ultima opera di Wagner, tratta dal poema epico medievale tedesco Parzival di Wolfram von Eschenbach. E' quindi l'opera successiva al Tannhäuser e redatta durante lo stesso periodo “rivoluzionario” di Richard Wagner. Perfino per Nietzsche la musica del Lohengrin è “blau, von opiatischer, narkotischer Wirkung” (blu e dagli effetti narcotizzanti di un oppiaceo) e questo sicuramente deriva dalla risonanza del blu a livello simbolico, sicuramente in costanza con l'anima, ma, essendo questo un blu fiabesco, carta da zucchero, ha qualcosa di estremamente onirico insieme alle inspiegabili ali dei nostri protagonisti e del popolo del regno di Brabante. Delft naturalmente è lì vicino ad Anversa e lo sfondo sembra tratto da quelle porcellane miste alla costruzione elettrica che spunta sul palco e che viene direttamente da quella del dipinto Der Former, (2016) di Neo Rauch.
Composta tra 1845 e 1848, ebbe la sua prima assoluta il 28 agosto 1850 al Großherzögliches Hoftheater di Weimar curata da Franz Liszt (Wagner era in esilio per aver partecipato ai moti di Dresda), è “opera romantica” secondo la denominazione dell'autore, e pone il suo focus su tre questioni fondamentalmente: la salvezza di Elsa, duchessa di Brabante, ingiustamente accusata da Ortrud e Friedrich von Telramund dell'uccisione del fratello Gottfried - in realtà trasformato in cigno dalla maga pagana Ortrud; la guerra imminente voluta da Heinrich der Vogler, re Enrico I di Sassonia l'Uccellatore (876 – 936) contro gli invasori ungari; il divieto ad Elsa di chiedere a Lohengrin, suo salvatore, il suo nome. In merito, nel programma, viene proposta la Lode al dubbio di Bertold Brecht, che citiamo tradotta:
Sia lode al dubbio! Vi consiglio, salutare serenamente e con rispetto chi come moneta infida pesa la vostra parola!
Questa lode va direttamente connessa con le parole che Wagner scrisse in proposito della sua opera nella Comunicazione ai miei amici (Orig.: Eine Mittheilung an meine Freunde, 1851, autobiografica) riferendosi a Elsa:
La donna che, con chiaro discernimento, corre incontro alla sorte avversa per la salvezza del suo imperativo d'amore che, attraverso l'estasi dell'adorazione, rischia di perdere tutto (…) questa gloriosa donna, davanti alla quale Lohengrin deve svanire, è lei che garantirà al mondo la redenzione.
E' chiaro infatti che la lettura di Sharon – poco dinamica in realtà col Coro fisso ai lati e poca azione dei nostri “eroi” - e soprattutto di Rauch e Loy, sia proprio questa della glorificazione del dubbio in quanto Elsa, che ha il divieto di chiedere a Lohengrin che l'ha salvata dall'essere arsa viva come una strega per l'accusa dell'omicidio del fratello, farà la letale domanda e la porrà a Lohengrin dopo il matrimonio e proprio quando lui le chiede di consumare la notte di nozze. Naturalmente è Ortrud la pagana che le insinua il dubbio, sia per motivi personali di contrapposizione con la “turchina” Elsa – e che non si fermerà di fronte a nessuna violenza – sia per cupidigia di regnare da sola col marito Telramund, in precedenza rifiutato da Elsa come sposo.
I legami di odio e l'ordito che si avviluppa intorno ad Elsa sono ben dispiegati sia dalle funi che la trattengono al supplizio, sia dal temibile dialogo nella nera foresta di Friedrich von Telramund chiamato da Ortrud per convincerlo a tramare contro Elsa. In questa parte il soprano russo Elena Pankratova fa rabbrividire per la possenza diabolica che dimostra attraverso il tono e la tessitura drammatica della voce; altrettanto carico e scuro il tono della voce di Telramund, il basso-baritono polacco Tomas Konieczy, teatrale anche nelle performance.
Il Lohengrin di Piotr Beczala, è un ruolo quasi “italiano” e giusto anche per un tenore lirico non così "eroico" come il nostro polacco, che ha una forte presenza scenica e che in questa versione “vola” lottando con Telramund, presentandosi come una specie di Zeus col tuono in mano. Questo aspetto fumettistico e “metallico” è evidente anche con l'uso di una sola coppia di colori, l'azzurro carta da zucchero e l'arancio – che è un equilibratore psicofisico secondo lo studio dei colori – che è il colore della bandiera originaria dei Paesi Bassi, dove si svolge la tenzone, ed in araldica è simbolo di forza e onore, le colonne che compaiono sulla scena. La voce di Annette Dasch come Elsa è vibrante di commozione nella dimora arancio che condivide col suo sposo al quale farà la domanda “verboten” (vietata, che ci fa venire in mente la seconda opera di Wagner, Das Liebersverbot del 1836, basata sugli inganni da Measure for Measure di Shakespeare): questo è il “suo” ruolo, che riveste a Bayreuth fin dal 2010, e riesce a tenere fin nell'ultima scena, in cui incontra suo fratello Gottfried mutato in una creatura verde della natura, con cui procederà sulla sua strada. Ottimo il re Heinrich di Georg Zeppenfeld, applaudito a lungo come i protagonisti e bravi anche i quattro paggi ed il loro capo, Egils Silins.
Come sempre Thielemann ha conferito spessore facendo brillare un'Orchestra sembre pregevole nella sua attenzione anche per i particolari: sia per le scene delle fanfare all'arrivo di Lohengrin, sia per la gotica scena nella foresta, tutta su toni gravi dei violoncelli in primis, sia per la celebre marcia nuziale. Altrettanto curato il Coro dal Maestro Eberhard Friedrich, richiamato come sempre sul palco da scroscianti applausi.