IUC. The Köln Concert, Jarrett nel fluxus di Gilda Buttà

Articolo di: 
Teo Orlando
Gilda Buttà

Sabato 15 febbraio 2025 l’Aula Magna della Sapienza ha ospitato un evento musicale di grande richiamo: l’esecuzione di The Köln Concert di Keith Jarrett, capolavoro del jazz contemporaneo, affidato alle mani della pianista Gilda Buttà. Il concerto, inserito nell’ottantesima stagione musicale dell’Istituzione Universitaria Concerti, ha attirato un pubblico numeroso e attento, desideroso di rivivere l’emozione di un’opera che ha segnato la storia della musica improvvisata. Non usiamo a caso il termine “improvvisata”, anche se è facile scorgere una sorta di ossimoro: ossia, da un lato la pianista si è attenuta a una partitura, dall’altro lato quando Jarrett “compose” il celebre concerto in realtà sviluppò un’idea e alcuni temi improvvisandoli sulla tastiera.  E ciò nonostante il vecchio giudizio di Theodor Adorno, per cui nel jazz  del dopoguerra “la routine non lascia alcun margine all’improvvisazione”.

Il concerto si annunciava come un evento di grande interesse per gli amanti della musica jazz e classica. Il programma coincideva, sostanzialmente, con una delle più celebri opere di Keith Jarrett, il leggendario "Köln Concert", una performance che ha fatto la storia della musica improvvisata e che richiede una sensibilità particolare nell’esecuzione, dato che la musica del pianista statunitense è fortemente caratterizzata dall’improvvisazione e da un’intima fusione tra interpretazione ed espressione corporea (sospiri, gorgheggi, vocalizzi e brevi accompagnamenti cantati con voce sommessa hanno sempre accompagnato le sue esecuzioni).

Il Köln Concert ha una genesi quasi fortuita e affascinante. Registrato dal vivo il 24 gennaio 1975 all'Opera di Colonia, fu eseguito in condizioni tutt'altro che ideali: Jarrett era esausto per il viaggio e per la notte insonne precedente, e si trovò a suonare un pianoforte Bösendorfer mal accordato, con tasti rigidi e bassi privi di profondità. Nonostante tutto, o forse proprio grazie a queste difficoltà, il concerto divenne una delle performance più iconiche della storia della musica, un flusso ininterrotto di improvvisazione pura che fonde elementi classici, jazz e persino blues con una liricità e un’intensità senza pari. Per certi versi, la situazione in cui si trovò a suonare Jarrett ricorda quella del compositore classico Olivier Messiaen, il quale, catturato dai tedeschi durante la II guerra mondiale, insieme ad altri prigionieri fu trasferito nel campo di concentramento Stalag VIII-A di Görlitz (al confine Sud-Ovest della Polonia), dove rimase per un anno e dove, con la benevolenza dell'ufficiale responsabile del campo, realizzò il Quatuor pour la fin du temps, usando un pianoforte talmente malconcio che talvolta i tasti, una volta premuti, restavano abbassati.

Gilda Buttà, pianista di indiscussa tecnica e raffinata musicalità, ha eseguito il programma con precisione e rigore, dimostrando un controllo assoluto dello strumento. La nitidezza del suono e la pulizia dell’esecuzione hanno reso giustizia alla complessità tecnica del brano, mettendo in luce la sua straordinaria padronanza del pianoforte. Tuttavia, proprio questa perfezione – ci sembra – ha costituito un limite interpretativo: l’esecuzione del Köln Concert è apparsa eccessivamente inquadrata nella partitura, priva di quel trasporto emotivo e di quelle piccole esternazioni vocali – sospiri, frammenti melodici canticchiati – che caratterizzano le performance di Jarrett medesimo. Il risultato è stato un’interpretazione elegante e controllata, ma distante dall’essenza del jazz, che vive di libertà espressiva e improvvisazione, qui solo appena accennati.

La pianista si è attenuta alla partitura fin dalla prima parte del concerto (I), sviluppando figure di motivi ostinati, che ha suonato con la mano sinistra, commentando, variando e sviluppando anche controfigure con la mano destra. Ha poi giustapposto questi accordi a superfici armoniche tranquille che alternavano in modo appena percettibile due accordi, sui quali ha sviluppato melodie ripetitive.
La parte IIa, invece, è dominata da uno stato d’animo completamente diverso, che ricorda la gioia di vivere e la spiritualità di un canto gospel. All’inizio di questa parte, la pianista ha suonato un ostinato I-IV martellato e ritmicamente accentuato, usando dapprima la mano sinistra, sul quale ha suonato poi con la mano destra un motivo quasi di danza. Il finale scivolava impercettibilmente verso toni patetici, in modo tranquillo, trattenuto, meditativo.

La Parte IIb presenta chiari tratti di elegia, ma culmina in una melodia corale a tre parti con una forza sonora che evoca la solennità della musica delle cattedrali barocche. La parte IIc, infine, può essere intesa come una foglia d’album indipendente e fluttuante; anche questo brano termina in pianissimo. Peraltro, nel concerto fa capolino l’intera storia della musica occidentale (che Jarrett, da enfant prodige, conosceva benissimo), senza che l’ascoltatore quasi se ne renda conto. Nella parte IIb si scorgono ad esempio echi dalla Eleanor Rigby dei Beatles, ma con salti temporali e stilistici possiamo individuare addirittura influenze di Bach che si alternano con il concerto italiano del primo Settecento e perfino con il canto gregoriano. Talora poi siamo indotti a pensare che Jarrett volesse trasfigurare sui tasti del pianoforte una sorta di salmodia vocale che richiama l’opera classica italiana, immersa però in una sorta di bagno nel blues, secondo i canoni di un impercettibile straniamento.

Del resto, non si poteva chiedere a Gilda Buttà quell'immedesimazione tra concerto e strumento che riuscì allo stesso Jarrett in un momento particolare, quasi di stato di grazia. La Buttà ha mantenuto un approccio più misurato, tipico della tradizione classica, rendendo la sua esecuzione più formale che spontanea. Il pubblico ha certamente apprezzato la brillantezza tecnica della performance, ma chi conosce a fondo il Köln Concert ha avvertito la mancanza di quel senso di urgenza e abbandono che lo rende così straordinario.

Un punto di merito è stato l’omaggio finale al repertorio classico con due bis: un brano dal "Clavicembalo ben temperato" di Bach e un pezzo di Chopin. Qui, la Buttà ha ritrovato pienamente il suo terreno d’elezione, regalando momenti di raffinata bellezza e di grande intensità espressiva, dove il suo tocco elegante e la sua sensibilità interpretativa hanno potuto esprimersi al meglio.

Nel complesso, il concerto è stato un’occasione per apprezzare una pianista di indubbio talento, capace di un’esecuzione impeccabile sotto il profilo tecnico. Tuttavia, l’aderenza rigorosa alla partitura ha sacrificato quell’elemento di libertà e coinvolgimento emotivo che il Köln Concert esige.

Pubblicato in: 
GN16 Anno XVII 24 febbraio 2025
Scheda
Titolo completo: 

IUC – Istituzione Universitaria dei Concerti, per il ciclo Calliope

Gilda Buttà, pianoforte: The Köln Concert (Keith Jarrett -1975)

15 Febbraio 2025    
17:30 - 19:30

Aula Magna Rettorato LaSapienza
Piazzale Aldo Moro, 5, Roma, 00185, Lazio

Fabio Venturi regia del suono