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Marcello Appignani. Polistrumentista tra classica e progressive
Abbiamo incontrato Marcello Appignani il 27 maggio 2016, in margine a un concerto tenuto in casa Matassi, a Roma, dove è stato presentato un libro in memoria del filosofo Elio Matassi, scomparso prematuramente nel 2013. Marcello Appignani è un compositore che vive e lavora a Roma, dove ha studiato pianoforte con il M° Assunta Giordani e composizione con il M° Alessandro Forti per poi formarsi in Composizione al Conservatorio di Frosinone. Di spirito versatile, è un polistrumentista che suona tastiere, chitarre e batteria.
La sua produzione comprende molte musiche composte principalmente per sonorizzazioni e colonne sonore, tra le quali il cortometraggio L'attesa di Giuseppe La Rosa, che ha partecipato come finalista al Giffoni Film Festival 2004, al Next Generation di Miami 2004 e al 45° Film Festival di Cracovia. Il suo primo album, Piume dal cielo, è uscito nel 2006 per l'etichetta Terre Sommerse). Del 2013 è l’album per pianoforte solo Metamorphoses XXI (Indi Helikonia/Academy A.M.S.), ispirato alle Metamorfosi di Ovidio. È da poco uscito il nuovo album Natura viva con oboe, chitarra e violoncello edito dalla RAI e ispirato al poema La presenza di Giano di Marco Onofrio e Raffaello Utzeri.
Marcello Appignani, Lei è tra i compositori più poliedrici che oggi si trovino in Italia. Nella sua attività concertistica e compositiva si trovano sia influssi classici, sia jazz, sia rock progressive. Vorremmo cominciare l’intervista partendo dal suo rapporto con la cosiddetta musica d'arte nel Novecento, che ha intrapreso un percorso diretto verso un intellettualismo esasperato, tale che l’ha spesso portata lontana dal grande pubblico. Lei invece cerca di conciliare il rigore compositivo con una forte dose di accessibilità. È d'accordo con questo giudizio? E come pensa che si possa comporre in modo rigoroso senza allontanarsi dal gusto generale del pubblico?
Sì, mi piace questo “rigore compositivo accessibile”: potremmo inaugurare una nuova corrente! In realtà il rigore è ben confinato nelle mie composizioni e tutto quello che creo scaturisce dalla mia formazione – è indiscutibile –, ma anche e soprattutto da quello che mi suggerisce il cuore. Forse proprio questa alchimia genera tale risultato che incontra il gusto del pubblico.
Lei come compositore ha scritto molte musiche per sonorizzazioni, soprattutto destinate al teatro. E come concertista polistrumentista (chitarra, pianoforte e organo a canne) si è esibito in varie venues. Che legame c’è tra le due attività?
Sono due aspetti completamente diversi. La composizione richiede un’atmosfera più che intima; un ispezionarsi, un ricercare le armonie rovesciando le tasche dell’anima. Il concertista, al contrario, vive nel sociale e la sua sfida con il pubblico è sempre aperta. Si nutre dei respiri di chi lo circonda ed è un po’ come il torero che affronta il toro: se lo colpisci hai la linfa per continuare ed essere pronto per il prossimo combattimento – pardon, concerto – ma se ti incorna...
Lei ha accompagnato con le sue musiche per pianoforte e chitarra le presentazioni di libri di importanti nomi della cultura italiana. Che rapporto ha avuto con questi autori, come Dacia Maraini?
Dipende dagli autori. A parte i complimenti sinceri che ho ricevuto da tutti loro, spesso si è trattato di – come potrei dire – “influssi astrali” che ci hanno condotto sulla stessa strada ma soltanto in alcune occasioni. Poi i tempi sono cambiati e ora suonare per presentazioni di libri è diventato complicato.
Lei ha pubblicato sei album, con vari influssi musicali. In particolare, in Metamorphoses XXI, del 2013, si rileva il forte influsso del cosiddetto rock progressive, o di esperienze al confine con le avanguardie, come quelle di Robert Fripp e Brian Eno. È d’accordo? E in che termini, eventualmente?
Per la precisione con il nuovo CD Coevica 2.16 uscito quest’anno gli album sono sette anche se, per quest’ultimo, si tratta di ampliamento e revisione del vecchio Coevica. Probabilmente in Metamorphoses XXI, più che in altri, si svela la componente rock progressive, ma è quella una corrente che, seppure vissuta da ragazzino, mi appartiene e che trovo di assoluto valore e bellezza. Quindi sicuramente più influssi dai gruppi storici degli anni ’70 piuttosto che da Fripp o Eno. Ma è comunque la mia musica con il mio vissuto e il mio stile.
Lei ha aperto anche due concerti romani del gruppo progressive Le Orme, presso la Casa del Jazz e presso il Crossroads Live Club. In che termini si è svolta questa collaborazione?
Avevo avvicinato Le Orme al termine di un loro concerto a Roma, ormai diversi anni fa, per farmi rilasciare un’intervista per un giornale con il quale collaboravo. Così hanno avuto modo di conoscermi e ascoltarmi e il primo approccio musicale/collaborativo avvenne grazie alle trascrizioni per pianoforte che feci per i loro brani strumentali del periodo acustico. Fu la prima occasione di aprire un loro concerto cui seguì quello alla Casa del Jazz con brani dal mio repertorio.
Come disse il famoso filosofo Walter Benjamin, noi viviamo nell’epoca della riproducibilità tecnica. È d’accordo con questo giudizio? E secondo lei le esecuzioni dal vivo conservano sempre un’«aura» diversa da quella della musica riprodotta? Del resto, c’è chi si illude di trovare nel suono dei vecchi vinili quell’autenticità che non si ritroverebbe nel suono digitale. Che cosa ne pensa?
Sono d’accordo con Benjamin sulla riproducibilità tecnica e gli enormi vantaggi che ne derivano. I vinili avevano un fascino incredibile, ma più legato all’aspetto esteriore (copertine che erano dei quadri, ampi spazi per scrivere i testi, rapporto “fisico” con il supporto ecc.) che non a quello pratico e sonoro. La verità è che LP e 45 giri soffrivano di fruscii e, di tanto in tanto, di salti di frazioni di secondo, ma probabilmente impianti stereofonici reboanti rispetto ai piccoli stereo attualmente in commercio ne esaltavano le qualità. Forse era quello il segreto; un diverso modo di ascoltare. Disquisizioni tecnologiche a parte, sono del parere che le esecuzioni live, pur suonate, che so, su un pianoforte modesto e in una sala dall’acustica appena sufficiente, restano delle esperienze intense e momenti di scambi emozionali tra musicisti e pubblico.
Ascoltando Metamorphoses XXI mi sono venuti in mente anche alcuni tipi di jazz d'avanguardia o di classica contemporanea incline ai crossover, ad esempio ensemble come il Kronos Quartet o Steve Lacy; o Philip Glass e Steve Reich. O anche esperienze più “antiche”, come quelle di Giacinto Scelsi. È d’accordo?
Mah, abbiamo già parlato di progressive e delle avanguardie, ora buttiamo nel calderone anche la classica contemporanea e il crossover… In realtà, come detto, le mie composizioni sono il frutto dei miei bagagli musicali dove alcuni compositori da lei citati non entrano neanche dalla finestra e le memorie che possono far affiorare sono del tutto casuali.
Tra giugno e agosto lei si esibirà in vari festival a Roma e altrove. Vuole parlarci di questa sua imminente attività concertistica?
Inizio subito tra pochi giorni: il 29 giugno a Grosseto, suonando la chitarra alla V Edizione del Terre di Maremma Classica – Jazz Festival di cui sono il Direttore Artistico. Quest'estate abbiamo ancora più concerti e varietà di strumenti e formazioni, anche se questa volta lo strumento principe sarà la chitarra. Personalmente suonerò ancora, sempre nell’ambito del Festival, il 10 agosto nelle prestigiose Terme di Saturnia in una piccola maratona pianistica aspettando le stelle cadenti della notte di San Lorenzo. Ma ci sono tanti altri appuntamenti che potrete scoprire sul sito ufficiale del Festival. E poi la mia città: Roma! La capitale mi aspetta per una serie di performance al Teatro di Marcello: il 29 luglio e il 13 settembre aprirò il concerto del pianista Emanuele Frenzilli e il 30 agosto eseguirò un mio concerto basato su Metamorphoses XXI nel quale imbraccerò anche la chitarra. E poi altri sono in fase di definizione come quello a Narni a settembre. Converrà restare aggiornati visitando il mio sito e, magari, iscrivendosi alla mailing list!
In conclusione, come vede il futuro della musica
Purtroppo non bene perché sto vivendo in prima persona la sua involuzione. Manca proprio l’educazione musicale, i fondamenti, sia da parte delle istituzioni che dovrebbero servirla su un vassoio d’argento, sia da parte n ragazzi che sono i principali recettori. Fare musica seria sarà sempre più difficile.