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Poe al Teatro Due. Tra razionalità e musica degli abissi
Sabato 31 gennaio 2015 il Teatro Due di Roma ha ospitato una singolare performance del duo composto da Vittoria Faro alla voce recitante e da Raffaele Pallozzi al pianoforte: si è trattato della cosiddetta “Poe Suite”, ossia della recitazione, accompagnata e inframmezzata da musiche originali per pianoforte, di due dei racconti più celebri del maestro dell’horror classico, Edgar Allan Poe, sotto la sapiente regia della compagnia Testacciolab.
La serata di sabato ha visto la lettura di due racconti, tratti rispettivamente dal ciclo del Mistero e del Raziocinio (Tales of Ratiocination) e dal ciclo del Mistero e del Terrore (Tales of Mystery and Terror), ossia "Il gatto nero" ("The Black Cat") ed "Eleonora" ("Eleonora").
Nelle note di scena, la compagnia si richiama all’aforisma del maestro di Boston, per cui “la vertigine non è la paura per l’abisso ma l’attrazione per esso”. Ed è proprio sulla sottile relazione tra paura e attrazione per l’orrore che si giocano questi racconti, tanto più che nessuno come Poe è stato in grado di farci scendere negli abissi dell’inconscio per affrontare le creature mostruose che ne emergono.
E non è un caso che anche Maurizio Ferraris, nella recente performance-concerto all’Auditorium di Roma nell’ambito del Festival delle scienze, abbia citato Poe come esempio emblematico di autore che sa individuare il connubio tra paura della morte e morboso trasporto verso di essa. Come ha scritto uno scrittore contemporaneo, autore di notevoli romanzi noir, Raoul Montanari, nessuno meglio di Poe ha indagato l'apparente contraddizione fra la fede quasi cieca nella ragione umana che vuole spiegare tutto razionalmente e l'abbandono “alle profondità più remote dell'animo, al mistero che pervade tutta la realtà”.
Anche la sua cifra stilistica è non casualmente in continua tensione tra una prosa asciutta e rigorosa e la ricerca di un tipo di crescendo quasi musicale, che evochi con una sorta di climax gli ambienti tenebrosi e spettrali in cui si svolgono le storie.
Poe può essere definito maestro di quattro generi letterari (giallo – noir – horror – racconto-saggio). Il primo racconto che viene letto, “Il gatto nero”, appartiene al genere noir: si parte da una situazione di caos e si giunge a un percorso delittuoso finalizzato a uno scopo che tuttavia non viene raggiunto (“Il cuore rivelatore”, “The Tell-Tale Heart” è un altro esempio di questa tecnica). “The Black Cat” venne pubblicato il 19 agosto 1843 su The Saturday Eveving Post. Poe immagina un io narrante che uccide prima il suo gatto nero preferito di nome Pluto, e poi la moglie, la quale gli aveva impedito di uccidere un altro gatto simile al primo, nascondendola all’interno di un muro della sua abitazione.
Così il narratore racconta l’atto “perverso” che lo aveva condotto ad uccidere il gatto nero impiccandolo a una forca:
“Questo spirito di perversità, lo giuro, giunse al mio completo abbattimento. Si trattava di un imperscrutabile desiderio dell’anima di torturarsi – di violentare la sua stessa natura – di perpetrare il male per il male.” (“This spirit of perverseness, I say, came to my final overthrow. It was this unfathomable longing of the soul to vex itself — to offer violence to its own nature — to do wrong for the wrong’s sake only”; trad. di Livia Bidoli).
La conclusione tragica del racconto si verifica quando il narratore batte sulla parete dentro cui aveva occultato il cadavere della moglie, ma dove era rimasto intrappolato un altro gatto, anch’esso nero e con una grande macchia bianca a forma di patibolo sul petto: sarà proprio il gatto ad indicare, con il suo lamento, dove cercare le vittime di questo atteggiamento perverso.
Nel secondo racconto, “Eleonora”, Poe mette in luce la sottile relazione tra follia e genio (“nessuno ha ancora potuto stabilire se la pazzia è o non è una suprema forma di intelligenza”); follia che permette di esplorare i territori dell’eternità: “In their gray visions they obtain glimpses of eternity, and thrill, in waking, to find that they have been upon the verge of the great secret.” (Nelle loro nebbiose visioni, afferrano sprazzi dell’eternità e tremano, quando si svegliano, per scoprire di essersi trovati per un momento sull’orlo del grande segreto). Proprio come il poeta latino Ausonio: “Aggressi sunt mare tenebrarum, quid in eo esset exploraturi” (Affrontarono il mare delle tenebre, per esplorare che cosa ci fosse in esso).
Eleonora, come altri due personaggi di altrettanti racconti con cui forma una trilogia ideale (“Ligeia” e “Morella”), è una ragazza che il narratore aveva amato quando lei aveva 15 anni e lui 20.
Ma improvvisamente Eleonora viene assalita da cupi pensieri di morte, a cui fa da pendant ideale, quasi correlativo oggettivo, la natura che appassisce. Improvvisamente Eleonora si ammala gravemente e muore, non prima di aver strappato all’amato la promessa per cui non si innamorerà più di nessun’altra donna.
In realtà non tiene fede al patto, perché emigra in un’altra città dove si innamora di Ermenegalda, fino a sposarla. Ma una notte le compare in sogno Eleonora che dichiara che per ragioni incomprensibili agli uomini il patto è stato sciolto in Cielo, benedicendo così il loro amore.
La voce della narratrice riesce bene ad esprimere il dualismo tra la voce della razionalità logica e la musica degli abissi, quasi sottolineando che non si può trovare un motivo cogente per spiegare ciò che è insondabile.
La musica di Pallozzi riesce solo in parte ad esprimere la tensione abissale della recitazione narrativa, oscillando tra accompagnamento in chiave jazz e ripresa di stilemi del pianismo romantico.